A Guide to All Creative Directors

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E se la moda ripartisse dai sample sale?

Fallimenti silenziosi e nuove abitudini d’acquisto

E se la moda ripartisse dai sample sale?  Fallimenti silenziosi e nuove abitudini d’acquisto

La moda sta attraversando una crisi profonda e i segnali sono ovunque, dai grandi gruppi che svendono asset e immobili al collasso silenzioso del retail di lusso, fino a fenomeni come i pagamenti a rate mai sdebitati su Klarna e all'aumento vertiginoso dei sample sale nelle grandi città della moda. Ma se questi ultimi non fossero solo il sintomo di una fase di decadenza, bensì il segnale di un nuovo inizio? Cosa succederebbe se i brand decidessero di rinunciare ai distributori, ai calendari imposti e alle produzioni destinate unicamente ai negozi? Vendere direttamente, anche scarti, materiali in esubero o calzini spaiati, potrebbe diventare non solo un atto di sopravvivenza, ma anche una soluzione concreta e circolare in grado di oliare gli ingranaggi del sistema moda che sono fermi da tempo. In questi ultimi mesi abbiamo visto spopolare sample sale ovunque: svendite di una giornata o più di mega brand che offrono articoli a prezzi scontati fino al 90% sul prezzo di listino. In un periodo in cui la moda investe le proprie risorse solo sulla comunicazione, gli eventi che mettono sotto i riflettori il prodotto potrebbero essere la risposta al problema della famigerata "crisi del lusso".  

@laravioletta_ Not sure if I can let the bag go #fyp Originalton - laravioletta_

La pandemia COVID-19 avrebbe potuto paradossalmente rappresentare un periodo di svolta per il sistema moda. Per l’ennesima volta, sembra che tutti i brand e i conglomerati, invece di stravolgere il sistema, abbiano solo silenziosamente aspettato il ritorno alla normalità: aumento dei prezzi, mancanza di trasparenza sul tema della produzione, stipendi rigonfi per chi lavora sull'immagine e sgonfiati per chi invece li rende reali. Più di dieci anni fa, Li Edelkoort a Ursula De Castro - la prima una delle trend forecaster più importanti al mondo, fondatrice di Trend Union, la seconda pioniera di un racconto etico, fondatrice di Fashion Revolution - annunciarono tutto questo consigliando ai brand strategist di puntare alla trasparenza produttiva e alla vendita diretta tra brand e consumatore, per ristabilire regole in un sistema che ha palesi problemi. Ma tutto ciò doveva essere attuato realmente, e non solo sfruttato come statement comunicativo.

@nikpollina Counting down my craziest nyc shopping stories - this is the day i realized that lucury brands overproduce and sample sales arent as sustainable as i once thought - sad but if you want legit discounted bags go check them out #designerbagsforless #secretshopping #wheretoshopnyc #bestshoppingnyc original sound - Nik Pollina

In queste ultime settimane abbiamo visto dei casi incredibili sinonimo di un’obbligatorietà al cambiamento: Klarna, piattaforma per i pagamenti a rate, ha riportato perdite complessive del 17% a causa di clienti che aggiravano il sistema per non pagare i prodotti acquistati. Nel frattempo, Kering attraversa un periodo difficilissimo, con il rischio di essere declassato causa debiti che sono arrivati a fine 2024 a 10,5 miliardi di euro e una svendita di molti dei propri immobili per acquisire liquidità. Anche LVMH, oltre agli ormai ovvi problemi sul lato moda, non se la passa benissimo, con crolli di fatturato che sono arrivati in ogni settore, compreso il beverage che ha portato Moët a licenziare 1200 lavoratori. Oltre che per le big corp, non va sicuramente meglio per i brand indipendenti, consolidati o giovani che siano. Il brand culto per molti amanti del mondo avant-garde, Boris Bidjan Saberi, con base a Barcellona, ha annunciato la chiusura entro fine luglio. Contemporaneamente, uno dei brand indipendenti più interessanti a Parigi, Louise Lyngh Bjerregaard, con un post su Instagram del 17 aprile, ha annunciato la chiusura del marchio.

@cyberglocky which was your favorite? #samplesale #balenciaga #haul original sound - cyberglocky

Se da un lato concentrarsi sulla vendita diretta porterebbe gravissimi problemi per i distributori - già in crisi da molti anni, che vedono sempre più brand salutarli per organizzarsi da soli, o con gruppi e spazi indipendenti, le proprie campagne vendita e le proprie strategie di retail - dall’altro garantirebbe più controllo alle aziende. Si avrebbe, come in questo caso, la possibilità di essere liberi di vendere qualsiasi tipo di prodotto, in ogni momento dell’anno, senza basarsi su rapporti esclusivi con i negozi e concorrenze sleali. Si darebbe così la possibilità di una reale sincerità e trasparenza, e l'inclusione di scarti e materiali di recupero assicurerebbe un ritorno anche alla vendita in spazi fisici, aprendo atelier e studi per favorire una vicinanza e una potenza di racconto del brand. Come stiamo vedendo in questi giorni, i clienti partecipano non solo perché sanno delle grandi percentuali di sconto, ma anche perché sperano di conoscere chi lavora sul design del brand. Puntare sui sample sale e sulle vendite direbbe suggerirebbe anche una rottura con l’apparato spettacolare delle Fashion Week in favore di modalità più accessibili e immediate. Del resto, sono i vestiti a guidare le tendenze, non la moda. Forse, più che un segnale di crisi, il fenomeno dei sample sale ci sta dicendo che la moda vorrebbe tornare a esistere fuori dal retail tradizionale.