
Le jelly shoes sono la prova che le controtendenze esistono ancora
Una strana ode al PVC
15 Maggio 2025
A pochi passi dalla Darsena, Milano, una passante cammina per la strada con un outfit che riassume perfettamente lo stato della moda femminile nel 2025. Ha un completo blu semplicissimo, oversize ma non esageratamente largo, piccoli orecchini dorati e, ai piedi, un paio di esuberanti ballerine in rete di PVC arancione. Se sono state acquistate per centinaia di dollari in uno dei misteriosi store di The Row o prese al volo in un tabacchi della zona con una banconota da 20 euro, non ci è dato saperlo. Mentre tutto della sua mise racconta di una donna che ha bisogno di vestirsi in modo funzionale, ma elegante, le sue scarpe gelée esprimono la sua personalità. Non sembrano comode - dato che sono trasparenti, mettono in mostra un piede che si contorce, costretto a muoversi in maniera innaturale ad ogni passo - eppure il motivo per cui attirano l’attenzione non è il modo simpatico in cui la fanno camminare. C’è un altra spiegazione, più profonda della loro semplice estetica, che rende le scarpe gelée un fenomeno di cultura anacronistico. Con una crescita di oltre il 100% nelle ricerche su Google nell’ultimo anno, le calzature in PVC che imitano i “granchietti” che usano i bambini al mare stanno riscuotendo un successo inaudito nella moda di lusso. In un periodo in cui la fashion industry immagina le donne come muse della praticità, iper-chic, dal fascino senza tempo, amanti del camoscio e di tutto ciò che è vintage, chi sceglie di indossare un paio di scomodissime ed economiche gelée (anche se, come vedremo, non sempre costano poco) sembra sapere qualcosa che gli altri non sanno.
Sono chic? Sono grunge? Non ci è chiaro. Negli ultimi due decenni le hanno indossate tutti, dai fan del punk-chic Vivienne Westwood e Melissa negli anni ‘90 a quelli di Phoebe Philo, quando le disegnò per Celine nel 2014. C’è da dire che hanno subito una rapida e strana trasformazione: negli anni ’80, i sandaletti in PVC erano indossati prevalentemente dai bimbi per non ferirsi sugli scogli, mentre pochi anni dopo erano già sul red carpet, ai piedi della giovane Kirsten Dunst per gli MTV Movie Awards 1995. Un paio di anni dopo sono apparse sul grande schermo nello stoner movie The Big Lebowski (1998), con il protagonista che le abbinava a pigiami e improbabili cardigan beige. Dopo un rilancio del trend agli inizi dei 2010 grazie a Tumblr e ad American Apparel, quest’anno le abbiamo ritrovate ai piedi di Taylor Swift su Instagram per il lancio di 1989 (Taylor's Version), come anche di star del calibro di Jennifer Lawrence, Blake Lively e Lisa, paparazzate per le strade di New York. La caratteristica più interessante delle jelly shoes è che non corrispondono a nessuna corrente modaiola: non si possono definire Brat, perché non sono adatte al clubbing, ma non si possono neanche chiamare Demure perché, in un members club esclusivo di centro città, tra kitten heels e mocassini, salterebbero di certo all’occhio.
È giusto definire resistenza la scelta di indossare un paio di scarpe gelée, in un mondo di mocassini e di slim sneaker? È possibile che una scarpa così piccola, strana - e, se vogliamo, anche anti-sostenibile - sia in grado di comunicare così tanto? A giudicare dal rumore che stanno facendo in questi giorni, per le strade delle metropoli così come sui principali media di moda, pare proprio di sì. Persino i brand di lusso ne sono rimasti affascinati: The Row ne ha prodotto un paio in rete rossa per la Pre-Fall 2024, Chloè le ha fatte con un kitten heel e con la zeppa per la SS25 e Bottega Veneta ha rifatto i granchietti platform che andavano anni fa per la SS25 - tutte in vendita, rispettivamente, per 900, 490 e 690 euro. Sebbene si possa far risalire il trend alle ballerine in rete di Alaïa, uscite a maggio 2022 e diventate l’articolo più popolare e ricercato nell’ottobre 2024 secondo Lyst, la risposta sta proprio negli anni ’80 e ’90, quando le jelly shoes le indossavano l'adolescente Kirsten Dunst e The Big Lebowski: il trend non aveva senso, ed era quello il punto. Che costino centinaia di dollari o poco più di venti euro, in un periodo in cui ogni articolo di abbigliamento ha il potenziale di diventare un trend virale, la loro impraticità, il loro colore innaturale e la loro estetica infantile rendono le gelée una controtendenza. Forse una delle poche che ci rimangono.