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Che fine hanno fatto i modelli plus size?

Un trend in regressione sulle passerelle femminili, che tra gli uomini non sembra essere mai nato

Che fine hanno fatto i modelli plus size?  Un trend in regressione sulle passerelle femminili, che tra gli uomini non sembra essere mai nato

Solamente pochi anni fa una maggiore rappresentazione di corpi ha conquistato le passerelle femminili. Il mondo si è innamorato di Ashley Graham, di Paloma Elsesser e di Jill Kortleve in pochissimo tempo, presentate dalla stampa come i nuovi volti dell’intera industry capaci, finalmente, di portare il mondo della moda verso il tanto agognato cambiamento. Eppure oggi sembra di essere punto e a capo. Dov’è tutta questa inclusività tra gli uomini? A conclusione della Men’s Fashion Week degli ultimi giorni, un report di Vogue Business ha fatto chiarezza su una situazione particolare nel mondo - già strano - del fashion modelling, arrivando a dimostrare un vero regresso nel campo della rappresentazione plus size maschile. 

Secondo quanto rilevato nel Size Inclusivity Report in queste ultime Fashion Week, di ben settantadue show erano solo sei di quelli della SS24 con modelli plus-size. Un passo indietro rispetto ai già deludenti otto su sessantanove dell’anno precedente. Dei 3,044 look che hanno sfilato durante le Men’s Fashion Week SS24, solo lo 0,4% era indossato da modelli plus-size, mentre per la controparte femminile, durante la Women’s Fashion Week AW24 il dato ammontava allo 0,6%. Sempre poco, ma una notevole differenza. Milano è stata la città più rigorosa nel campo dei casting: secondo Vogue Business, lo show di Charles Jeffrey Loverboy - un brand nato a Londra da designer scozzese - è stato l’unico ad includere corpi diversi in passerella, nonostante Dsquared2 e Magliano avessero, nelle loro rispettive line-up, un paio di uomini definiti mid-size. Curiosamente, Parigi è stata più ben disposta nei confronti dei modelli plus size: KidSuper è stato lo show con la maggiore rappresentanza plus-size in assoluto, con un totale del 5,7% che ha battuto il 5,3% di Louis-Gabriel Nouchi. Anche da Louis Vuitton, in occasione del debutto di Pharrell come nuovo direttore artistico della maison, sono apparsi corpi, altezze e forme ben distinte tra loro, innalzando anche tramite la scelta del casting lo spirito altamente celebrativo che pervadeva lo show. 

Percentuali e paragoni a parte, una maggiore rappresentanza di corpi maschili diversi tra loro in passerella oggi incide sempre di più sulla reputazione di un brand, anche se sembra che molti non l'abbiano ancora compreso. Il primo motivo dietro questo ritardo è che si tratta ancora di un mercato di nicchia, in cui pochi, nel mondo del lusso, hanno deciso di addentrarsi; il secondo è invece una cifra, forse il metodo più efficace per fare in modo che anche i nomi più noti della fashion industry ne riconoscano la rilevanza: $696,712.1 milioni entro il 2030. Questo il valore che raggiungerà il mercato dell’abbigliamento plus-size secondo le previsioni di Custom Market Insights aggiornate a Maggio di quest’anno. Chiaro è che se si utilizzano solo i ricavi, per misurare il valore di un’industria più aperta alla diversità e all’inclusione, si indirizzerebbe tutto il movimento verso una tattica performativa, unicamente rivolta a migliorare lo stato economico di un brand. Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare, per farsi sentire. Come spiega lo stesso James Corbin, una delle figure di punta tra i modelli plus size di nuova generazione, «È una porta che si sta schiudendo, ma che ha bisogno di essere aperta a calci.»