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Vestiaire Collective ha bannato il fast fashion

«Il fast fashion non ha valore – e ne ha anche meno nel resell»

Vestiaire Collective ha bannato il fast fashion «Il fast fashion non ha valore – e ne ha anche meno nel resell»

Secondo alcuni è una mossa per migliorare il proprio posizionamento, secondo altri è autentica responsabilità, secondo altri ancora (e su questi ultimi torneremo a breve) la decisione sposta ma non modifica il problema. Sia come sia, ieri, Vestiaire Collective ha annunciato la decisione di bandire il fast fashion dalla sua piattaforma a partire da brand come Asos, Shein, Burton, Fashion Nova, Pretty Little Thing, Missguided, Topman, Topshop e Tezenis. Al momento Zara rimane tra i brand ammessi sulla piattaforma e la lista ufficiale non include altri nomi del fast fashion europeo (l’iniziativa sembra maggiormente concentrata sul mondo anglosassone) che comunque potrebbero essere proibiti in futuro. La presidente e co-founder della piattaforma, Fanny Moizant, ha dichiarato: 

«Volevamo ridurre gli sprechi nel guardaroba delle persone e questi sprechi provengono principalmente dal fast fashion perché non hanno alcun valore e di conseguenza hanno un valore di rivendita molto basso».

Nel corso di tre anni a partire da ora, Vestiaire Collective allargherà la proscrizione del fast fashion a un numero maggiore di brand e avvalendosi della consulenza di esperti esterni per stabilire dei criteri universalmente validi per distinguere la proverbiale pula dal grano. I criteri riguarderanno la qualità dei prodotti, le emissioni di cui i brand sono responsabili e le condizioni di lavoro. L’idea è quella di incoraggiare delle abitudini di consumo più responsabili anche se così facendo la piattaforma impedisce che agli stessi prodotti fast fashion sia data una seconda vita – secondo alcuni accelerando e non evitando il loro smaltimento. A questo proposito, Liz Ricketss, che dirige The Or Foundation, dedicata a risolvere il problema dell’abbigliamento di scarto che finisce quasi tutto, e inevitabilmente, in Ghana, ad Accra nello specifico, dove ogni anno giungono 15 milioni di articoli usati da tutto il mondo, ha detto che Vestiaire «può vietare il fast fashion sulla propria piattaforma [ma] Kantamanto non può vietarne l'ingresso in Ghana». E questo è il motivo per cui la piattaforma di resell ha anche detto di stare applicando pressioni sui politici europei per la creazione di un regolamento più stringente per lo smaltimento dei rifiuti della moda.