Vedi tutti

Dove andrà l'industria della moda nell'era post Twitter?

Da Tumblr a Mastodon, le alternative ai paradossi di Musk

Dove andrà l'industria della moda nell'era post Twitter? Da Tumblr a Mastodon, le alternative ai paradossi di Musk

È ufficiale: l'industria della moda non è fan di Twitter nell’era di Elon Musk. Il motivo? In meno di un mese, il fondatore di Tesla ha licenziato metà del personale, ha stravolto il sistema di verifica della piattaforma consentendo agli utenti di pagare 8 dollari al mese per la spunta blu per poi sospendere la funzione a causa della proliferazione di account fake, si è descritto come un "assolutista della libertà di parola" dopo aver dimezzato il team di moderazione dell'azienda. Pertanto, meno di due settimane fa, Gigi Hadid ha abbandonato la piattaforma definendola una "fogna di odio e bigottismo", poco dopo Balenciaga è stata la prima maison di lusso a cancellare il proprio account, rinunciando ad oltre circa 950.000 follower. Due giorni dopo, Macy's ha annunciato che avrebbe ritirato le proprie inserzioni pubblicitarie dall’app, unendosi ad aziende al di fuori del settore moda come General Motors, Dyson, Reuters, mentre la holding pubblicitaria Omnicom ha persino dato istruzioni ai clienti di non fare marketing su Twitter. La consistente cerchia di appassionati di moda che è solita riunirsi sulla piattaforma per offrire critiche, commentare in tempo reale sfilate, capi e outfit, potrebbe presto dover chiudere i battenti e trasferirsi in un nuova isola digitale, meno problematica ma altrettanto accogliente. 

Infatti, sebbene la centralità di Twitter in ambito moda sia scemata con l'ascesa di piattaforme più coinvolgenti come Instagram, TikTok e talvolta Pinterest, ai marchi bastano una manciata di tweet per amplificare la portata della loro ultima trovata di marketing o del lancio di un prodotto. L’app dell’uccellino blu si è presto rivelata un'alternativa meno patinata ma più autentica, popolata da un gruppo eterogeneo di addetti al settore, dai pungenti statement di Vanessa Friedman alle lucide analisi di Rachel Tashjian. Un social più community driven rispetto ad altri, che proprio nei suoi brevi assunti anima dibattiti e scambi di opinioni, una qualità che le altre app, concentrate più sull'immagine piuttosto che sulla parola, non hanno. Nell'era di TikTok, marchi come Cartier, Louis Vuitton e persino Balenciaga prima della ritirata hanno aumentato i loro investimenti sulla piattaforma, almeno fino a quando le mosse di Musk hanno stravolto gli equilibri. 

Tumblr ha iniziato a pubblicare proposte per attirare di nuovo le persone sul sito di microblogging, compresa la reintroduzione dei contenuti di nudo che ne avevano determinato il successo, qualcuno ha provato con Reddit, qualcun altro LinkedIn, altri ancora hanno sottolineato che se i gruppi di Facebook non fossero ormai relegati ad una fascia demografica agé sarebbe i surrogati naturali di Twitter. C'è chi invece si è rivolto a Mastodon, la giovane piattaforma open source che dall’alba dell’era Musk ha accolto più di un milione di utenti. Fondata da Eugen Rochko nel 2016 all’insegna della libertà di espressione, Mastodon non rende conto a nessuna grande big tech, non ha pubblicità e vive grazie alle donazioni degli utenti: in poche parole, all’apparenza, è la versione utopica di Twitter, e secondo Vogue Business, cominciano già a sorgere nuovi server (o istanze) per soddisfare i nuovi arrivati, compresi i rifugiati della moda, come Journal.Host o FashionSocial.host. Non è chiaro al momento quale sarà il destino di Twitter o Mastodon, né ci è dato sapere se le prossime incoscienti mosse di Musk ci costringeranno davvero all'esodo, sicuramente al momento la piattaforma di Rochko offre un posto in più per spargere il verbo. Eppure la storia è piena di app nate con il pronostico di rivoluzionare il panorama dei social media (vi dice qualcosa Clubhouse?), cadute poi in disuso dopo un fugace picco di entusiasmo generale.