Vedi tutti

Dobbiamo prepararci a dire addio alle etichette degli abiti?

Un’associazione americana vorrebbe che fosse così

Dobbiamo prepararci a dire addio alle etichette degli abiti? Un’associazione americana vorrebbe che fosse così

Si sta molto discutendo, negli ultimi giorni, di una proposta avanzata dalla American Apparel & Footwear Association al Congresso americano che riguarda il futuro delle etichette interne degli abiti – per intenderci, non quelle che riportano il nome del brand ma quelle di solito posizionate sul lato che includono, appunto, la composizione, le istruzioni di lavaggio e altre informazioni utili che includono indicazioni sulla provenienza, sulla sostenibilità dei capi e via dicendo. Il problema principale, secondo il documento, sarebbe che queste etichette sono arrivate a includere tante informazioni da sembrare opuscoli e presentano, per i produttori, problemi per quanto riguarda il linguaggio delle stesse: se questo va cambiato in base al mercato di vendita, c’è del lavoro extra per i produttori; se invece l’etichetta è multilingue le sue dimensioni diventano eccessive. Altra cosa che nota Alden Wicker sulle pagine di BoF, fondatrice del sito Ecocult e giornalista indipendente di moda e sostenibilità, è che l’abitudine sviluppata dai consumatori è quella di tagliare via queste etichette trasformando tutto lo sforzo dei brand in uno spreco. Risposta a questo problema, secondo l’associazione, sarebbe la conversione ai tag digitali, che tramite un QR Code o un’altra forma di codice potrebbero consentire ai consumatori di accedere a pagine web che includono in maniera pratica tutte le informazioni, in modo leggibile ed esteso. La proposta non sembra in effetti eccessiva, eppure se dovesse verificarsi potrebbe avere importanti conseguenze per la produzione, il tracciamento e la rivendita degli abiti. Ma è un progetto realizzabile?

La principale sfida, sempre secondo Alden, è quella di far adattare questa nuova policy a tutti i brand in modo unitario, in modo tale da non ingenerare confusione nei consumatori – il che comporterebbe un certo sforzo organizzativo da parte delle società che possiedono i brand. Lo sforzo si moltiplicherebbe pensando a come i diversi continenti e stati hanno diverse regole circa il tipo di etichette richieste. Secondo i firmatari della proposta, comunque, questo tipo di investimento potrebbe servire a moltiplicare i dividendi tra qualche anno, anche se la principale ambiguità risiede nella volontà dei brand di imbarcarsi in questa impresa. Già alcuni brand impiegano, in misure diverse, simili soluzioni, abbinando dei QR Code alle proprie etichette fisiche che riportano comunque informazioni essenziali come composizione, istruzioni di lavaggio e luogo di produzione. 

Ma lo switch al digitale potrebbe diventare la soluzione univoca per il futuro? Secondo l’associazione americana la cosa è inevitabile, anche se digitalizzare completamente tutte quante le etichette di tutti gli abiti potrebbe comportare delle difficoltà. Se nel campo del fast fashion o dell’high street capita effettivamente che le etichette vengano tagliate, così non è quando si parla di moda di lusso: qualunque reseller o utente di una piattaforma secondhand potrà confermare che un capo con etichette tagliate e dalla provenienza inverificabile sarebbe difficilmente vendibile. Senza parlare di come la garanzia di autenticità costituita dall’etichetta fisica risieda anche nei font usati, nella consistenza del tessuto, nella sua cucitura, – se tutto fosse ridotto a un singolo tag con un QR Code la falsificazione potrebbe risultare più semplice, almeno per quanto riguarda i consumatori per cui verificare sarebbe impossibile, magari perché stanno acquistando da una piattaforma come Vinted o Vestiaire Collective e vedono il capo solo in fotografia. Questo senza contare come, al momento dell’acquisto, sia molto più pratico poter leggere la composizione di un capo in forma analogica che scannerizzare ogni singola etichetta con il proprio smartphone. E anche chiaro che l’intero sistema dei tag digitali presuma l’esistenza di server sempre accesi, di reti e connessioni dati che devono restare integre: non è più facile e intuitivo poter fisicamente leggere le informazioni senza il tramite di schermi e connessioni?

La soluzione dell’ID digitale dei capi, comunque, presenta indubbi vantaggi – nominalmente la quantità di informazione che si può includere su un capo, la tracciabilità completa di tutti i materiali che non andrebbe affidata a codici e acronimi difficili da replicare e anche l’immediatezza nel reperimento di tali informazioni. Forse un domani dovremo davvero abituarci ai tag interamente digitali, ma fino ad allora il compromesso più ragionevole resta quello di un tag fisico più sintetico, magari con le istruzioni di lavaggio e la composizione, che affidi poi il resto delle informazioni a un QR Code.