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Gli effetti del coronavirus sull’industria della moda

Se la Cina è in ginocchio, la moda è in ginocchio

Gli effetti del coronavirus sull’industria della moda Se la Cina è in ginocchio, la moda è in ginocchio

Mentre le vittime del coronavirus salgono a 300 e le misure di quarantena diventano più severe in tutto il mondo, la Cina e la sua economia rimangono paralizzate. L’area e la popolazione al momento sottoposti al lockdown dalle autorità sono grandi quanto tutta l’Italia, l'emergenza sanitaria si sta dilatando per tutto il Sud-Est Asiatico e le conseguenze economiche iniziano a diventare pesanti specialmente per il mondo della moda. La capacità produttiva della Cina e il forte potere d’acquisto del suo pubblico sono stati fondamentali per i brand di moda in questi anni e l’emergenza sanitaria scoppiata con l’epidemia ha fatto inceppare quel vasto e complesso meccanismo sul cui funzionamento l’industria luxury si affida ormai sempre di più. In particolare la posticipazione a data da destinarsi della Shangai Fashion Week è il più allarmante dei segnali e, se la crisi dovesse estendersi anche al secondo trimestre del 2020, la tabella di marcia della produzione industriale di quest'anno potrebbe soffrire seri ritardi.

Se la temporanea interruzione di fiere commerciali ed eventi è un problema grave ma tutto sommato risolvibile nel lungo periodo, l’aspetto più immediato della crisi riguarda le catene di distribuzione. Le molte fabbriche che sono rimaste chiuse fino a ieri a causa delle vacanze di Capodanno potrebbero non riaprire oggi, con pesanti ricadute sulla schedule dei cicli produttivi industriali. Le collezioni autunnali per il 2020 infatti vengono di solito prodotte nei mesi di febbraio e di marzo in vista della distribuzione in aprile. Ma se l’epidemia dovesse prolungare lo stallo, la distribuzione non potrà attivarsi fino a maggio o giugno. Jing Daily ha parlato a questo proposito con Xi Yang, avvocato dello studio Harris Bricken e specializzato negli accordi commerciali con la Cina:

Se i brand non hanno diversificato la loro produzione fuori dalla Cina, non c’è molto che si possa fare per minimizzare le perdite. Al momento le fabbriche sono chiuse e non riapriranno nell’immediato futuro. Anche quando riprendessero la produzione, non è detto che avranno abbastanza forza lavoro per completare gli ordini o prodotti all’altezza degli standard dei buyer”.

La coincidenza dell’epidemia con il Capodanno, inoltre, ha colpito al cuore anche il panorama retail. Questo periodo di vacanze è, tradizionalmente, anche un periodo in cui il pubblico cinese compra regali e fa shopping. Ma con lo stato di lockdown che affligge numerose regioni anche il retail è in forte perdita. Un settore verso cui si è ottimisti è quello dell’e-commerce. Lo shopping digitale non ha subito la brusca battuta d’arresto che è toccata al retail e, se si considera come nel 2003 lo scoppio della SARS abbia effettivamente aiutato a lanciare piattaforme di online shopping come Taobao e JD.com, non è escluso che alcuni brand possano decidere di salvare le proprie entrate sviluppando o rinforzando i propri canali e-commerce.

In mezzo a questa crisi, Kering e LVMH hanno deciso di donare rispettivamente uno e due milioni di dollari alla Croce Rossa, insieme a loro anche L’Oreal, Swarowski ed Estèe Lauder. Una mossa lodevole sul piano umanitario anche se indubbiamente mossa da interessi tanto pubblicitari che commerciali. Ad ogni modo, pur essendo probabile che il coronavirus farà scendere il tasso di crescita dell’economia cinese dal 6,1% al 5,6%, gli insider cinesi sono ottimisti. Dopo i problemi economici causati dalla SARS diciassette anni fa infatti, si registrò un forte aumento dei consumi e in generale epidemie di questo tipo hanno una breve durata, le cui conseguenze possono essere attutite dalla grande capacità di ripresa dell’economia asiatica sia a livello monetario che sul piano delle policy fiscali.