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Mental health e primi anni 2000: dentro il mondo degli affirmation memes

Quando l’aiuto psicologico sono l’estetica Y2K e pesanti dosi di ironia

Mental health e primi anni 2000: dentro il mondo degli affirmation memes Quando l’aiuto psicologico sono l’estetica Y2K e pesanti dosi di ironia
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Il volto piallato dai filtri Instagram di Kim Kardashian ci osserva dallo schermo con una scritta in sovraimpressione: «I will party. I will not cry». In un’altra immagine, una foto deformata di Paris Hilton che esce dalla sua auto con una tuta Juicy Couture e una titanica borsa di Hello Kitty reca la scritta: «I am so based». Un’altra ancora, con un emoji sgranato che mostra il pollice verso l’alto recita: «I’m so sane it’s insane». E scorrendo la pagina-cult @afffirmations immagini del genere abbondano, carousel dopo carousel di immagini motivazionali assurde e ipercolorate, tutte sospese tra la sincerità e l’ironia, tutte dedicate a questo o quel tema del filone social di nome “mental health” ma soprattutto tutte cariche di un’estetica visuale estremamente cheesy che rievoca subito i primi anni 2000. L’artificiosità e la cheesiness impliciti nelle affirmations non-ironiche diventa una cheesiness esplicita negli affirmation memes sia visivamente che con frasi come «I can trick my brain into feeling good» o «I am not entering a deep psychosis». In effetti, i due filoni estetici, i meme e i primi 2000, condividono e coltivano la medesima fascinazione per la cheesiness che è da un lato un trigger per la nostalgia e per la riconoscibilità delle immagini stesse e che dall’altro, attraverso la sua stessa esagerazione, diventa distorsione parodica della “positività a tutti i costi” e priva di ironie delle varie mental health community online.

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Quando la pagina-cult @afffirmations era nata inventando un format tutto suo, ad esempio, le grafiche erano una parodia dell’estetica Tumblr e dunque utilizzavano stranianti foto stock di paesaggi tropicali, villette americane, personaggi come Hello Kitty, Trilli e My Little Pony. Solo in seguito sono cominciate ad apparire anche foto di una serie di star e film associabili all’immaginario dell'entertainment e del gossip dei cosiddetti Aughts ma anche ai social media delle origini coi loro selfie sgranati, alle foto delle agenzie immobiliari e dei vecchi siti arabi e russi. Altre pagine come ad esempio la più piccola e tradizionale @affirmationmemes seguono questa falsariga utilizzando grafiche tratte da iCarly, foto di Rihanna ma anche meme più canonici ma sempre afferenti all’ambito della nostalgia.

Proprio questa scelta estetica ha fatto collidere fra loro il divertente cinismo degli affirmation meme con quella nostalgia dei primi anni 2000 che sta dominando i trend della cultura pop. Questa estetica dell’eccesso e del paradosso è in realtà una maniera di rendere queste immagini «più approachable e meno noiose», come ha rivelato l’inventore del format in un’intervista rilasciata a Vice lo scorso marzo. Il founder della pagina (che ha 20 anni, vive e studia in Svezia e si fa chiamare solo “Matthew”) spiega come le sue affirmations siano in realtà abbastanza serie, aperte all’interpretazione ma non intese come meme puri, anzi. Secondo Matthew: 

«È così che mi faccio capire dalle persone che non sanno molto sulle affirmations. Vedono le mie immagini e pensano subito che siano assurde. Poi mi seguono perché pensano che siano meme o una pagina divertente e satirica. E solo dopo capiscono che so di cosa sto parlando». 

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In effetti tra gli hashtag elencati sotto alcune delle foto di @afffirmations ne appare uno che è molto eloquente: #newsincerity, accoppiato ad altri come #postmodernism e #humansoflatecapitalism. Nello specifico, #newsincerity potrebbe rappresentare come, in effetti, i contenuti più canonici sulla mental health non siano così sinceri – dunque una denuncia della cosiddetta toxic positivity, in cui cioè la “positività a tutti i costi” diventa negazione della realtà e dunque impedisce di affrontarne gli aspetti negativi in maniera davvero proattiva, impedendo cioè di elaborare in modo maturo la negatività. Intervistata da Cosmopolitan a riguardo, la psicologa Miyume McKinley ha spiegato:

«Questa idea di essere felici tutto il tempo, o della felicità come obiettivo finale, ci spinge verso il perfezionismo e, come tutti sappiamo, non esiste una cosa del genere. La realtà è che i sentimenti che non vogliamo, che ci rendono vulnerabili sono parte della vita e che sentirsi tristi, arrabbiati o gelosi fa parte dell'essere umano».

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E in effetti l’intenzione non-ironica presenti all’interno delle immagini di @afffirmations emerge dalle caption alle immagini, cha invece abbandona il tone of voice assurdista e adotta il linguaggio ottimistico canonico che le immagini sembrano prendere in giro, con tanto di emoji di fiori e cuoricini. L’effetto finale è quello di una mescolanza postmoderna di serietà e di parodia in cui si capisce poco dove stia la verità - e questo include anche i commenti, misto di affermazioni parodiche e di affermazioni “serie”. Non di meno, il grande pregio di questa e di altre pagine è quello di affrontare la questione della mental health alla luce della Millenial irony e dunque superando l’empasse posto dalla toxic positivity e dal suo monolitico ottimismo privo di sfumature.