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Gli artisti fake di Spotify per aggirare le royalty

Se la musica che ascolti non esiste

Gli artisti fake di Spotify per aggirare le royalty Se la musica che ascolti non esiste

Quella tra artisti e piattaforme di streaming è una guerra che va avanti ormai da anni: dallo STEMPLAYER di Kanye West a Tidal di Jay-Z, i principali artisti del jet set hanno più volte provato a sovvertire le regole dell’industria musicale creando realtà indipendenti in cui lasciar esperire ai fan la propria musica alle proprie condizioni. «Oggi gli artisti ottengono solo il 12% dei soldi guadagnati dall’industria, è tempo di liberare la musica da questo sistema oppressivo. È tempo di prendere il controllo e costruirne uno tutto nostro» - dichiarava Ye in occasione della release di Donda 2 lo scorso febbraio, dopo aver rifiutato un contratto con Apple Music per 100 milioni di dollari. Eppure sembra che i tassi di interesse non siano l’unico motivo per cui gli artisti dovrebbero avercela con Spotify. Lo scandalo, riportato casualmente in auge da un TikTok di @dritzbitz in cui provava a cercare in rete gli artisti ambient andati virale senza trovare alcun riscontro sul web, risale in realtà a due estati fa, quando Music Business Worldwide pubblicava un case study su 50 musicisti ritenuti fittizi e che si ipotizzava svolgessero un ruolo chiave in un “piano di risparmio” da parte di SpotifyRollingstone riferiva che nomi come Ana Olgica, Charles Bolt, Samuel Lindon, in cima a playlist come Deep Focus, Sleep o Peaceful Piano con milioni di stream, fossero in realtà pseudonimi attribuiti a brani creati da più compositori (o un unico compositore) sotto la giurisdizione di Epidemic Sound, casa di "produzione musicale" svedese altrettanto fittizia. Ora sorge spontaneo chiedersi: perché Spotify dovrebbe creare brani e artisti a tavolino e inserirli nelle playlist più quotate? Qual è lo scopo e qual è il profitto? Una sorta di rocambolesca evasione fiscale. 

@dritzbitz Watch what you listen to! #spotify #streaming original sound - dritzbitz

La società di streaming musicale più quotata al mondo paga in effetti le royalty, che semplificando potremmo definire come quel compenso che viene riconosciuto a colui che cede i diritti di commercializzazione e sfruttamento di un dato prodotto o servizio (cioè l’artista) su base proporzionale. Nel pratico l'azienda divide il pagamento totale tra tutti gli artisti presenti sulla piattaforma in base alla loro porzione di stream complessivi, con la pratica degli artisti fittizi dunque Spotify pagherebbe un tasso di royalty nettamente inferiore rispetto ai brani di "veri artisti" in lizza per gli stessi posti nelle playlist. Una teoria confermata da un ex insider dell’azienda che ha confermato a Variety che la strategia è solo una delle "tante iniziative interne per ridurre le royalties che Spotify paga alle major". Ad oggi una più attenta disamina del caso ha inoltre smentito tutti coloro che hanno suggerito che la quantità totale di stream accumulati da questi artisti non fosse abbastanza voluminoso da avere un impatto reale sulle spese di Spotify. Nel 2017, i 50 "falsi artisti" individuati da MBW hanno totalizzato circa 520 milioni di stream, dunque se consideriamo che, senza contare le royalty di pubblicazione, la stima standard del pagamento di Spotify ai titolari dei diritti di musica registrata per stream è di circa $0,004, Spotify avrebbe risparmiato 2,08 milioni di dollari

@dritzbitz Replying to @emilierosexo so who is behind all of the fake Spotify artists?! #spotify #streaming original sound - dritzbitz

In realtà il problema non riguarda semplicemente la poca trasparenza dell’azienda in materia fiscale, riguarda anche e soprattutto come questi giochi economici influenzino la musica che ascoltiamo, oltre che la carriera e gli introiti degli artisti. Non solo il sistema delle playlist permette di aumentare esponenzialmente il numero di streaming sulla base di un algoritmo pilotato, ma lo stesso vale per le classifiche che escludono gli artisti ‘reali’ che a parità di stream dovrebbero rivestire il posto di quelli fittizi. La radice del problema è in parte la natura sempre più passiva del nostro consumo quotidiano di musica. Le persone spesso chiedono ad Alexa, o ad un altro assistente digitale, di trovare musica di sottofondo per un compito specifico: studio, allenamento, relax, persino per dormire, oppure si affidano a una playlist preposta allo scopo, senza prestare molta attenzione agli artisti o ai titoli delle canzoni e questo crea un'opportunità di abuso: con l'intelligenza artificiale che prende le decisioni, tutto può essere nascosto nell'algoritmo.