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Il programma Discovery Mode di Spotify è ingiusto?
Secondo molti l’iniziativa penalizzerebbe gli artisti indipendenti
09 Marzo 2025
Nel novembre 2020 Spotify ha annunciato Discovery Mode, un'iniziativa che permette agli artisti di ottenere una maggiore esposizione all’interno della piattaforma in cambio di una riduzione del 30% sulle royalties. Il servizio di streaming continua ancora oggi a presentare il progetto come un'opportunità per chi vuole dare priorità a determinate tracce della propria proposta musicale, influenzando così il modo in cui gli algoritmi di Spotify suggeriscono le canzoni agli utenti. Le critiche, però, non si fermano. Secondo un'inchiesta del Guardian, molti osservatori del settore musicale e associazioni per i diritti degli artisti continuano a considerare Discovery Mode come una forma di “payola”, la pratica – oggi illegale – portata avanti da alcune radio nel secondo dopoguerra che consisteva nel ricevere finanziamenti in cambio della messa in onda di determinati brani, gonfiando artificialmente la loro popolarità. Anche se il programma di Spotify non prevede un pagamento diretto, gli esperti sostengono che la riduzione delle royalties potrebbe penalizzare gli artisti indipendenti, favorendo chi ha maggiori risorse economiche per sostenere questa strategia promozionale. L'Artist Rights Alliance, un'associazione statunitense che rappresenta gli interessi degli artisti musicali, in un editoriale pubblicato su Rolling Stone ha definito il Discovery Mode un modo per fare soldi sulle spalle dei musicisti. Anche la stessa Commissione Giustizia del Congresso degli Stati Uniti, che tra le altre cose si occupa di antitrust e questioni di copyright, ha sollevato dubbi sul fatto che il programma possa portare a un’«asta al ribasso», costringendo gli artisti ad accettare pagamenti inferiori per avere più possibilità di essere ascoltati.
@ginotheghost Spotify’s Discovery Mode is literally “Payola” and is accelerating the race to the bottom for artists #fypシ #music #songwriter #podcast #producer #music original sound - Gino The Ghost
Il Guardian riporta che persino alcuni dipendenti di Spotify hanno espresso perplessità sulle implicazioni etiche dell’iniziativa, facendo notare che i brani promossi vengono riprodotti a discapito di altri artisti. Inoltre, diversi musicisti e manager hanno evidenziato come la mancanza di un apposito disclaimer possa ingannare gli ascoltatori, che non sanno se un brano è stato selezionato per via dei suoi meriti artistici o perché parte di un accordo commerciale. Dal punto di vista economico, Discovery Mode si è rivelato altamente redditizio per Spotify. Secondo documenti interni citati dal Guardian, nell’arco di un anno il programma ha generato ricavi superiori a 60 milioni di euro, con significativi profitti derivanti soprattutto dal settore della musica indipendente. Inoltre, il programma si inserisce in un piano più ampio di monetizzazione portato avanti dalla piattaforma: oltre a Discovery Mode, Spotify ha lanciato altri strumenti a pagamento come Marquee e Showcase, che consentono agli artisti di ottenere visibilità attraverso annunci promozionali. Spotify, pur non commentando i dati sugli introiti generati, ha risposto alle critiche negando qualsiasi analogia con la cosiddetta “payola”, sostenendo che gli utenti possono accedere a una policy – da molti giudicata eccessivamente generica – sulle modalità che determinano i suggerimenti musicali all’interno della piattaforma.
Hey @Spotify do you think you are helping artists with "Discovery Mode?" pic.twitter.com/VroQCUyFoD
— WZRD Gundlach (@WZRDShip) January 16, 2025
Nel frattempo, il dibattito sulla necessità di rivedere i modelli di business delle principali piattaforme di streaming musicale non si ferma, continuando a sollevare dubbi sulla sostenibilità etica del settore. Un altro caso che recentemente ha messo Spotify in cattiva luce riguarda un'inchiesta di Harper’s Magazine. La rivista statunitense ha raccontato che per anni Spotify avrebbe cercato di influenzare i gusti degli utenti, in modo da spingerli a utilizzare maggiormente le playlist di sottofondo per le loro attività quotidiane. Anche per questo motivo, la piattaforma avrebbe incentivato la scoperta di tali raccolte basandosi principalmente sull'immaginario e sul "mood" evocato, più che sugli artisti e le canzoni presenti al loro interno. Spotify avrebbe così potuto popolare le sue raccolte di cosiddetti "fake artist", che collaborerebbero con la piattaforma per produrre una grande quantità di brani da sfruttare nelle sue celeberrime playlist d’atmosfera – come per esempio la nota “Stress Relief”, “Lo-Fi House” o “Chill Instrumental Beats”, tra le molte. L’operazione consentirebbe a Spotify di risparmiare sui diritti d’autore da versare ai veri musicisti, grazie per l’appunto ad accordi preliminari e più vantaggiosi con alcuni compositori selezionati.