Il disco di Andrea Laszlo De Simone è un volo magico ermetico Il nuovo progetto del cantautore plana sulle cose generando “Una Lunghissima Ombra”
Dopo una lunga attesa fatta di anticipazioni varie, tra singoli pubblicati la notte di capodanno, annunci a sorpresa e misteriosi progetti visivi, venerdì scorso è finalmente uscito Una Lunghissima Ombra, il nuovo disco di Andrea Laszlo De Simone, cantautore piemontese, regista, compositore, produttore, poeta celeste, messaggero cosmico e padre di famiglia (non sempre necessariamente in quest’ordine). Lo diciamo subito senza timore di smentita alcuna, si tratta di uno degli album italiani più importanti dell’anno. Cosa che si capisce anche dall’ampio spazio riservatogli sulla stampa italiana – vedi le cover story di Rolling Stone e Rumore - ma non solo.
Già, perché per uno strano scherzo del destino De Simone è più famoso in Francia che qui da noi. A coronare questo successo d’oltralpe, nel 2024 ha ricevuto anche il prestigioso Premio César per la colonna sonora del film Il Regno Animale di Thomas Cailley (2023), suggellata dal bellissimo brano omonimo. Molti dei temi che l’avevano affascinato nel film sono presenti anche nel nuovo album, come la relazione padre-figlio e il rapporto con la natura, «l’essere umano inteso come creatura, come animale al cospetto di una realtà che appare ineluttabile».
Chi è Andrea Laszlo De Simone
Un breve recap per chi si fosse perso le puntate precedenti. Andrea Laszlo De Simone è un musicista torinese che ha mosso i primi passi come batterista prima nella band del fratello - i Nadar Solo – e poi nel progetto Anthony Laszlo (in coppia con l’amico chitarrista Anthony Sasso), approdando infine all’esordio solista nel 2012 con Ecce Homo: un disco casalingo, quasi naif, registrato con mezzi di fortuna, lo-fi più per necessità che per scelta. I primi riscontri positivi sono arrivati nel 2017 con la pubblicazione del secondo album Uomo, Donna, forte dei singoli Sogno l’amore e Vieni a Salvarmi. Per descriverne il sound senza tempo si sono scomodati alcuni nomi importanti del cantautorato e del prog italiano degli anni ’60 e ‘70, tra cui Claudio Rocchi, Enzo Carella e il primo Alan Sorrenti, ma anche e soprattutto Lucio Battisti e i Radiohead, con alcuni omaggi a quest’ultimi più o meno espliciti: l’ultima traccia del disco - Sparite Tutti – ad esempio, ha la stessa identica batteria di Weird Fishes (da In Rainbows) ed è ispirata tematicamente a How To Disappear Completely (da Kid A).
Ma il vero successo per il cantautore piemontese è arrivato nel 2019 con l’uscita di Immensità, un ep di 4 canzoni (Immensità, La Nostra Fine, Mistero e Conchiglie) o - in alternativa - una suite di 25 minuti in quattro capitoli (il sogno, la realtà, lo spazio, il tempo). Durante la pandemia sono poi arrivati il singolo dedicato ai figli Dal giorno in cui sei nato tu (2020) e Il Film del concerto in Triennale (2021), immaginato come un ipotetico «percorso dal buio alla luce».
Come ha spiegato lo stesso De Simone la suite Immensità era «un percorso spiroidale che aveva come fulcro l’elaborazione del lutto e come scopo la rinascita». Concettualmente, il suo epilogo naturale non poteva che essere il singolo successivo intitolato Vivo (2021) in quanto «inno alla vita e alla sua inevitabile precarietà» - «Tutto questo per me rappresenta il percorso ‘dal buio alla luce’, viverlo e suonarlo durante la realizzazione de Il Film del Concerto è stato semplicemente bellissimo». Ma siccome nella musica di De Simone c’è quasi un sempre un senso di circolarità, nel 2022 è uscita anche l’altra faccia della medaglia di Vivo (poi riunite in un’unica “moneta” a 45 giri) – intitolata I Nostri Giorni. Le due canzoni - ha dichiarato il cantautore - «Sono legate fra di loro come lo sono la gioia e la tristezza, la tragedia e la consolazione, la vita e la morte».
Una Lunghissima Ombra: un disco da vedere, un film da ascoltare
Questa circolarità si percepisce anche nel nuovo lavoro pubblicato venerdì. Una Lunghissima Ombra riparte nuovamente dal buio della traccia iniziale e si conclude con la canzone depositaria del titolo, che descrive in una sola strofa tutto quello ascoltato in precedenza - Io mi accorgo di esser diventato grande, vedo solo facce stanche / E quando viene sera, proietto una lunghissima ombra - e quindi in realtà rappresenta sia il commiato che il punto di origine.
Il disco si compone in tutto di 17 tracce, di cui 5 strumentali - un prologo (Il Buio) e 4 interludi (Neon, Diffrazione, Spiragli e Rifrazione) - che fanno da contrappunto a 12 canzoni vere e proprie, legate l’una all’altra da un tema centrale, come in una vera e propria “opera”, che nelle parole stesse di De Simone dovrebbe rappresentare «i pensieri intrusivi, quelli che sono costantemente presenti dentro di noi anche quando stiamo pensando ad altro e che finiscono per proiettare lunghe ombre sulla nostra esistenza».
Ascoltando il nuovo album di andrea laszlo de simone sentendomi un po' vivere un po' morire un po' galleggiare nell'universo un po' nel mezzo di una crisi esistenziale pic.twitter.com/5G6X3nhvwv
— camilla (@sleeeepingg) October 17, 2025
Usiamo il condizionale solo perché se le canzoni hanno un tema generale, è vero anche che De Simone lascia sempre nascosta dentro di loro una piccola zona di mistero: c’è sempre un cono ombra, se vogliamo restare in tema, una piccola inquadratura da cui l’ascoltatore riesce a intravedere soltanto la silhouette del significato, senza riuscire a metterlo bene a fuoco. Questo lo obbliga a compiere uno sforzo immaginifico, a riempire un vuoto di senso dentro l’universo sconfinato di queste canzoni, che a volte si espandono e si dilatano anche molto oltre la naturale scadenza della musica pop, con brani da 6, 7, o addirittura 8 minuti. È come se a un certo punto De Simone (con)cedesse il timone all’ascoltatore, che d’un tratto diventa suo malgrado una specie di “starsailor buckleiano”, un navigatore di stelle che ha perso la rotta e naviga a vista nella canzone, lasciandosi trasportare dall’istinto e dal proprio spazio di manovra interpretativa.
Basti pensare alla copertina sul cui significato i fan si sono sbizzarriti: è uno specchio, una visione, la nebulosa di Oort, una strada nella nebbia, oppure molto più semplicemente del fumo ricavato da un fumogeno che era avanzato dalle riprese del video di Vieni a Salvarmi, come ha svelato poi De Simone. Il significato, sempre a detta di De Simone, è «l’imponderabilità della vita». E quella linea nera, che alcuni avevano preso per la linea dell’orizzonte, è «la crepa che attraversa la vita di chiunque». Anche quando viene costretto a dare spiegazioni, De Simone non entra mai troppo nei dettagli per lasciare spazio all’agency del pubblico.
Per agevolare questo processo, il disco ha anche un accompagnamento visivo, definito «film» per comodità, quando, in realtà, essendo totalmente privo di narrazione, non è assimilabile nemmeno al concetto di videoclip in senso stretto quanto a quello di video-arte. In pratica, si tratta di un progetto audiovisivo composto da una serie di «quadri filmici», ovvero di inquadrature fisse di luoghi quotidiani particolarmente famigliari al cantautore: la città di Torino vista dall’alto, una strada di collina, l’albero di un parco, la giostra di un luna park, luoghi normali, scelti apposta per non attirare l’attenzione e stimolare l’immaginazione del fruitore. «Volevo provare ad allontanarmi dal linguaggio del videoclip, che tende a vincolare il significato delle canzoni, per ricreare quel genere di sensazione che si ha quando si ascolta la musica in cuffia seduti su una panchina a guardare fondamentalmente il nulla», ha commentato il cantautore.
spero vivamente che Andrea Laszlo De Simone stia vivendo la migliore delle vite possibili.
— greta elisabetta (@gretelisabetta) August 2, 2023
Questo non significa che non ci sia un’idea alla base del lungometraggio, che - spiega ancora De Simone - è una rappresentazione metaforica del processo di formazione di un’ombra: le inquadrature fisse rappresentano il punto di luce, i testi delle canzoni usate come sottotitoli rappresentano l’oggetto (ovvero i pensieri intrusivi che rimbombano nella testa) e la musica rappresenta l’ombra che l’oggetto proietta, quel senso di inquietudine, misto a malinconia che soprattutto in certe sere uggiose d’autunno ci prende e ci avvolge come una coperta. Queste ombre musicali sono fatte di musica concreta (lo spirare del vento, il crepitio del fuoco, lo scorrere di un fiume, i rumori di fondo della città) e suoni orchestrali curatissimi che si avviluppano e si dilatano in lunghe code a seconda dei casi, tra cori, archi, fiati e un’altra infinità di strumenti antichi e moderni, come lo scacciapensieri che scandisce il passare del tempo all’inizio di Aspetterò.
I riferimenti musicali sono più o meno sempre gli stessi già citati in passato: c’è il volo magico di Rocchi nell’Aria del primo Sorrenti, quello tra le nuvole di Modugno e quello più melodico di Battisti che plana su distese orchestrali celestiali all’altezza dell’incrocio stellare immaginario e impossibile tra Umberto Bindi e gli Spiritualized di Ladies & Gentlemen We Are Floating in Space, o i Mercury Rev di Deserter’s Songs. Una fusione di tradizione cantautorale e modernità pop psichedelica che ha pochi eguali nel panorama musicale italiano contemporaneo. Non mancano poi i riferimenti ai suoni più elettronici e distopici dei suoi amati Radiohead, soprattutto nella parte finale del disco, dove riecheggiano nella struttura sincopata di Quello che ero una volta e sfociano in qualcosa di ancora più ardito nel capolavoro inaspettato di Non è reale. Si tratta dell’unica influenza musicale citata e riconosciuta da De Simone nelle interviste, che per il resto si è più volte dichiarato non un grande conoscitore di musica, se non quella presente nelle colonne sonore dei film con cui è cresciuto.
È probabile che derivi da lì l’omaggio al tema di Moon River contenuto nel singolo La Notte, un grido d’aiuto disperato - Se c'è qualcuno che non ha paura, io prego mi soccorra - spogliato della rabbia contenuta in Vieni a Salvarmi e adagiato su una melodia allegra da spiaggia italiana anni ‘60. L’effetto è un po’ quello della musica degli Smiths che riuscivano a farti cantare cose terribili su melodie scintillanti. Questo forte contrasto tra musica e oggetto è una caratteristica del disco che si manifesta anche a ruoli invertiti, come ad esempio in Pienamente, uno dei pochi spiragli di luce con un testo estremamente positivo, che invita a vivere a pieno la vita, ma musicalmente «suona quasi come la lettera di un suicida».
Ultimo elemento sonoro particolare è costituito dalla voce filtrata che potrebbe rimandare ancora una volta ai Radiohead di Kid A. Ma mentre Thom Yorke aveva scelto di distorcerla per evitare qualsiasi tipo di sovrapposizione biografica tra la sua persona e quello che canta, De Simone non usa la sua vera voce per altri motivi: «mi sembra calata troppo nel presente, troppo nella realtà. E invece, forse per inclinazione personale, tendo a spostare la musica in un contesto magico e parallelo all’esistenza, come se fosse su una linea temporale che ci passa giusto accanto».
Cercando il coraggio di ascoltare il nuovo album di Andrea Laszlo De Simone (coraggio che non troverò)
— Francesca ⊹ (@5antimeridiane) October 17, 2025
Venendo agli “oggetti”, tra i tanti pensieri intrusivi cantati nel disco uno dei più frequenti è quello legato al senso di colpa: Colpevole ne sancisce la nascita, Quando il suo rifiuto iniziale e Un Momento Migliore la sua accettazione. All’interno di questa trilogia della colpa, Colpevole è la canzone che più di tutte ci inchioda al presente e alle nostre responsabilità nei confronti del resto del mondo con un testo durissimo e poetico. L’incipit rimanda a Soldati di Ungaretti, solo che qui a cadere non sono soltanto le foglie, ma i rami interi - Come rami recisi dal vento / Buttati uno sull'altro / Senza uno scopo / Buoni solo a prendere fuoco. Quei rami siamo tutti noi che bruciamo come potrebbe bruciare la nostra coda di paglia: non un atto d ’accusa, ma un tentativo di scuotere le coscienze «perché la coscienza a volte pure si sbaglia».
Non è un caso che Colpevole sia subito seguita da Quando, lo splendido e ultimo singolo che descrive il momento in cui la nostra mente tenta di giustificare le nostre contraddizioni e rifiuta il senso di colpa. È un goffo tentativo di giustificazione umana o come ha detto De Simone «una goffa quanto umana ricerca di comprensione» - È colpa del respiro, fragile come me se soffro tanto, ma sono vivo / È colpa del silenzio, timido come me se non ti dico quel che penso / È colpa del rumorе, pavido come me se non riеsci ad ascoltare.
Infine, la trilogia del senso di colpa si conclude con la dolorosa assunzione di responsabilità di Un Momento Migliore, il singolo pubblicato a Capodanno, con tanto di campionamento del countdown di Amadeus a La notte Che Verrà. A fare questa assunzione non è una persona, ma il mondo intero, che qui De Simone si è immaginato come se fosse una persona reale, un mondo antropomorfo che si vergogna di sé stesso.
Questo è solo uno dei tanti pensieri intrusivi che invadono la mente durante l’ascolto del disco, ma ce ne sono ancora tantissimi avvolti nel suono, intrappolati nelle parole, persi e dispersi nel fumo e nella nebbia della copertina e dei vari frame visivi di questo grandissimo progetto. «La poesia è poesia quando porta in sé un segreto» diceva Ungaretti, considerato non a caso un precursore dell’ermetismo. Allo stesso modo, nel disco di Andrea Laszlo De Simone sembrano esserci ancora molti segreti da svelare: il suo è un ermetismo musicale, una lunghissima ombra dietro la quale si cela ancora molta poesia.