FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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Cosa vuol dire Gorpcore oggi? Il paradosso estetico di un trend che si basa sulla funzionalità

Poco tempo fa su TikTok circolava un meme simpatico sul momento in cui, finalmente, si mostra alle proprie scarpe da trekking la natura per cui sono state progettate. In città, un paio di sneaker create per i tratti scoscesi di montagna non ha molto senso, eppure c’è tutta un’estetica dedicata. Abbiamo deciso di chiamarlo Gorpcore, il look di chi indossa abbigliamento tecnico in città - da Good Old Raisins and Peanuts, lo snack di frutta secca che sono soliti portare scalatori e camminatori durante le loro avventure all’aria aperta - e ad oggi rappresenta uno dei trend principali dello streetstyle. In giro per le strade di tutte le capitali della moda (luoghi in cui il rischio di intoppare in uno sterrato immerso nel verde è relativamente basso), si aggirano total look firmati Arc'teryx, La Sportiva, And Wander, Patagonia, Gramicci, ROA, Merrell e Keen, oltre a una quantità improbabile di accessori corredati di corde e moschettoni da arrampicata.

@letthemeatcarbs They’re no longer white #salomon #salomonxt6 #goretex #hiking #saklikent #turkey original sound - SAINTED

In un momento in cui il fatturato delle principali aziende di moda tende verso il negativo, il Gorpcore traina le vendite dell’abbigliamento sportivo, portando il settore verso risultati sorprendenti specialmente in Italia. Secondo un nuovo report di Mediobanca, nel 2025 il paese è leader europeo nella produzione e nell’export di articoli sportivi (22%), con il segmento Mountain Attitude che incide per il 29% sul fatturato totale. A giudicare dalla crescente domanda per l’abbigliamento tecnico, diventa opportuno mettere in discussione la rilevanza culturale che gli sport all’aria aperta stanno generando online e in passerella. Adesso che lo streetstyle premia la funzionalità invece dell’hype, la qualità dei brand tecnici verrà meno? 

Il successo del binomio moda-sportswear è tangibile. Marchi tecnici come On, Vibram, Salomon e The North Face hanno accettato di collaborare con brand incentrati invece su moda ed estetica come Loewe, Balenciaga, MM6 Maison Margiela e Cecilie Bahnsen. Parallelamente, negli ultimi due anni abbiamo assistito all’ascesa delle borracce come accessorio collezionabile e status symbol, con i brand Yeti, Stanley e Hydro Flask che hanno guidato il trend fino allo sfinimento sociale, e al boom culturale - incentivato dai brand di sportswear - di running club e palestre specializzate in città, come Nike Strength Studio o Alo Yoga. Lo sportswear - quello vero, non quello relegato a magliette a maniche corte e sneaker colorate del decennio precedente - è riuscito così ad occupare ogni spazio sociale, dall’aperitivo al campeggio, dai fitcheck su TikTok agli show in Fashion Week.

@momentsabloom outfits for the countryside #outdooroutfits #natureoutfit #hikingoutfit #autumnfashion #cosyvibes #gorpcore Second Chances - Gregory Alan Isakov

«Il fenomeno Gorp e il boom del techwear urbano hanno trasformato l’abbigliamento tecnico in un simbolo culturale», racconta Daniele DeNegri, fondatore dell’agenzia di comunicazione Green Media Lab che gestisce clienti del calibro di La Sportiva, Vibram e Patagonia. Ma se da un lato il trend ha dato rilevanza a brand autentici, dall’altro, «quando un’estetica diventa tendenza il rischio è che venga replicata senza comprenderne davvero il contenuto». L’osservazione del founder di Green Media Lab è condivisa anche da Andrea d’Amico, Managing Partner dell’agenzia Attila&Co (Cisalfa Sport, Sease, Puma). D’Amico riconosce che anche se lo sportswear è entrato nel mondo della moda trent’anni fa, oggi al consumatore medio non basta più l’estetica. «La performance non è più confinata al campo o alla palestra: viviamo in una società iperattiva e stratificata in cui un capo deve funzionare in ogni contesto», aggiunge d’Amico, giustificando in ultimo l’ascesa del Gorpcore in città come Milano o New York, dove non ci sono sentieri, ma c'è la necessità di indossare abiti che si adattino ai cambiamenti di temperatura e alle diverse situazioni che si affrontano in una giornata. 

Quindi, se lo sportswear tecnico si è infiltrato nello streetstyle e la moda vuole trarne beneficio con collaborazioni e imitazioni, bisogna temere che la funzionalità venga meno? A quanto pare, dipende: mentre è vero che un aumento della domanda per un prodotto può danneggiarne la produzione, vittima di una supply chain affaticata e frammentata, l’interesse da parte dei consumatori per l’abbigliamento tecnico rimane invariato,  focalizzato sulla prestazione più che sull’estetica. Secondo quanto riportato da DeNegri, «oggi il consumatore è più informato, cerca autenticità e sostenibilità reale, e soprattutto vuole sentirsi parte di un sistema coerente» - da cui il boom di running club e yoga studio, verrebbe da aggiungere.

«Abbiamo assistito ad una crescita costante nell’interesse verso brand outdoor e sportivi, anche in target che prima ne erano lontani come gli under 30. La vera sfida, oggi, è mantenere autenticità e prestazione anche parlando a un pubblico più ampio». Il successo della produzione italiana corrisponde esattamente ai nuovi bisogni del consumatore di sportswear funzionale, con l’esempio proposto da DeNegri di regioni dalla profonda tradizione manifatturiera come il distretto di Montebelluna per le calzature per sport outdoor. Ma non è stata solo la storia a rendere le Alpi un riferimento internazionale (il 63,3% del fatturato italiano per la sezione Mountain Attitude proviene dall’export) per l’abbigliamento di montagna, bensì la capacità dei produttori italiani di «intercettare i cambiamenti globali e rispondere alla domanda crescente di prodotti che sappiano coniugare funzionalità, estetica e attenzione alla sostenibilità». 

Insomma, sembrerebbe proprio che non sia stata l’estetica montana ad affascinare la moda, quanto la prestazione tecnica e l'adattabilità dell’abbigliamento sportivo. Come sottolinea d’Amico, stiamo assistendo a un cambiamento radicale nelle priorità dei consumatori, che non si lasciano più convincere solo dal look di un capo. «Non riguarda solo lo sportswear, ma anche il mondo del beauty e del lifestyle: è l’ascesa  del concetto di wellness come stile di vita, una visione che non si limita alla forma fisica, ma include movimento, alimentazione consapevole, sonno, salute mentale, equilibrio tra lavoro e vita privata». L’abbigliamento, così come la skincare e gli integratori, le saune e gli allenamenti mirati, nel 2025 deve avere uno scopo pratico e personalizzato. Il concetto di benessere, come aggiunge d’Amico, «diventa strumento di identità, e lo sportswear l’uniforme di questo nuovo modo di vivere». Tecnologia, estetica e sostenibilità diventano improrogabili per un brand che vuole rimanere a galla nel panorama incerto di adesso, conclude d’Amico. «Il consumatore oggi cerca tutto questo ma, giustamente, lo vuole a un prezzo accessibile. E lì la sfida è ancora aperta».