A Guide to All Creative Directors

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LVMH sta affrontando la sua più grande crisi di sempre

Quando anche Dior non riesce più a brillare

LVMH sta affrontando la sua più grande crisi di sempre  Quando anche Dior non riesce più a brillare

Ieri sera, sotto il tetto di vetro della piramide del Louvre, si è tenuta l'assemblea generale annuale del gruppo LVMH. Presentati dal massimo dirigente del gruppo, Bernard Arnault, molto meno sorridente rispetto agli anni precedenti, i risultati sono chiari: le azioni della società si sono quasi dimezzate dallo scorso aprile, cancellando ben 221 miliardi di euro dal valore di mercato del gruppo, facendolo uscire dalla lista dei cinque titoli più grandi d’Europa e privandolo del titolo di azienda di maggior successo in Francia. Inoltre, la fortuna di Arnault è scesa a 149 miliardi di dollari: ancora una cifra estremamente elevata, certo, ma una caduta drammatica per il magnate, sceso dal primo al decimo posto nella classifica delle persone più ricche al mondo.

Ma di chi è la colpa? Sicuramente della crisi generale del lusso, del ritiro degli acquirenti cinesi e dei dazi imposti negli Stati Uniti da Donald Trump, ma non solo. Tra la tendenza di Arnault ad acquisizioni a volte inutili e controproducenti, investimenti frammentati in moda, bellezza, ristorazione e ospitalità che preoccupano gli investitori, e la mancanza di un piano di gestione chiaro ed efficace, la crisi era inevitabile. «Finché LVMH cresceva in modo significativo, gli investitori non si preoccupavano troppo della struttura del gruppo, ma quando le cose si fanno difficili, sono pronti a penalizzarlo con uno sconto da conglomerato ha dichiarato Ariane Hayate, gestore di fondi presso Edmond de Rothschild Asset Management, che possiede azioni di LVMH. Il gruppo dovrebbe «rivedere il suo portafoglio,» ha aggiunto, suggerendo che potrebbe essere saggio vendere alcune delle sue 75 marche.

Oltre a una miriade di marchi mal gestiti e varie crisi, due elementi specifici hanno recentemente causato grandi problemi al gruppo LVMH. Il primo riguarda la divisione Vini e Alcolici, di cui abbiamo già parlato ieri. In un contesto di calo dell’industria dell’alcol, con una nuova generazione che predilige bevande analcoliche e una forte diminuzione della domanda di champagne e altri alcolici di lusso - i clienti ora preferiscono tequila e bourbon americano, molto più economici - il segmento alcolico del gruppo è in difficoltà, trascinando giù anche il resto. Problemi che avrebbero potuto essere evitati dai nuovi CEO della divisione, Jean-Jacques Guiony e Alexandre Arnault, che hanno aggravato la situazione il 1° maggio, giorno della Festa del Lavoro in Francia, annunciando che il calo delle vendite avrebbe portato alla perdita di 1.200 posti di lavoro.

Il secondo fattore che ha trascinato verso il basso il colosso del lusso negli ultimi mesi è la maison Dior. Un tempo considerata uno dei marchi più forti e influenti del gruppo, nonché dell’intero mercato del lusso, la maison francese è ora in stallo. Tra i rincari esagerati che hanno irritato i clienti, spingendoli a evitare il negozio durante le sessioni di shopping, e la cattiva stampa seguita alle accuse di sfruttamento di lavoratori irregolari in Italia per abbattere i costi, il 2025 è iniziato male per la Maison. Sebbene la questione sia stata risolta con danni limitati lo scorso mese, il danno è fatto. E sebbene l’arrivo di Jonathan Anderson come direttore creativo sia un segnale positivo, non è certo che sarà sufficiente a risollevare la reputazione danneggiata della maison, anche perché le sue prime collezioni (con la linea uomo attesa per la prossima settimana) impiegheranno del tempo prima di arrivare nei negozi e diventare disponibili per l’acquisto. Sembra quindi che LVMH dovrà aspettare ancora sotto la pioggia prima che arrivino giorni migliori, se mai arriveranno. «Nei vent’anni in cui abbiamo seguito LVMH, non abbiamo mai visto così tanti segnali d’allarme,» ha dichiarato Pierre-Olivier Essig, responsabile della ricerca di AIR Capital. «La crisi finanziaria globale e la pandemia sono state grandi sfide, ma le dimensioni attuali di LVMH rendono questa recente perdita di valore senza precedenti. Questa è chiaramente la più grande crisi nella storia di LVMH,» ha aggiunto. Una crisi che, tuttavia, non sembra spaventare Bernard Arnault che, a 76 anni, non mostra segni di stanchezza, rallentamento o desiderio di cedere o lasciar andare il suo impero. A meno che, naturalmente, non sia l’impero a lasciar andare lui.