
Come se la passano le spiagge italiane con l’overtourism Tra accessi contingentati e sit-in delle associazioni
Il tema delle spiagge libere in Italia negli ultimi anni è diventato oggetto di crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione, sia per la pressione turistica che interessa le coste italiane nei mesi estivi, sia per le questioni relative alla gestione del demanio marittimo e al diritto di accesso libero al mare. Il tutto tocca molteplici aspetti – ambientali, legali, economici e sociali –, ma si articola principalmente su due piani strettamente collegati: da un lato, la necessità di preservare ambienti costieri fragili tramite misure di regolazione degli accessi; dall’altro, il problema dell’occupazione sistematica di lunghi tratti di litorale da parte degli stabilimenti balneari, spesso in assenza di una corretta applicazione della normativa sulle concessioni. Per quanto riguarda la gestione dei flussi turistici, alcune amministrazioni locali hanno introdotto negli ultimi anni sistemi di prenotazione obbligatoria per accedere a spiagge molto frequentate ma di ridotte dimensioni, che non sono in grado di sopportare una presenza massiccia di persone senza subire conseguenze ambientali. È una misura che era già stata attuata durante la pandemia, quando le limitazioni sanitarie avevano imposto un controllo sugli accessi per garantire il distanziamento, e che oggi è stata ripresa con finalità diverse – più vicine alla sostenibilità e alla conservazione del territorio.
È il caso, per esempio, di alcune spiagge della Sardegna, regione che in estate soffre particolarmente la pressione turistica: a Stintino, l’accesso alla nota spiaggia de La Pelosa è contingentato tramite prenotazione e pagamento di un piccolo contributo, mentre a Baunei, per Cala Goloritzé (raggiungibile solo a piedi o via mare) il numero di accessi giornalieri è stato limitato per proteggere la biodiversità del luogo. Anche nel Lazio il comune di Sperlonga ha adottato misure simili per la spiaggia di fronte alla grotta di Tiberio, con l’obiettivo di tutelare un’area di interesse sia naturalistico che archeologico. In tutti questi casi, la logica non è quella della privatizzazione, ma della gestione attiva del territorio, secondo criteri di sostenibilità ambientale e di uso responsabile dei beni comuni. Negli ultimi anni, anche grazie alla maggiore attenzione mediatica e alla crescente mobilitazione sui social network, si è visto un coinvolgimento più ampio da parte della cittadinanza – in particolare tra le fasce più giovani della popolazione – sul tema dell’overtourism, che incide direttamente sulla questione delle spiagge libere. In molte località costiere italiane, accedere a tratti di litorale non occupati da stabilimenti balneari è diventato sempre più complicato.
Sempre più persone scelgono le spiagge libere
— Mare_libero (@mare_libero) July 23, 2024
Gli stabilimenti sono un modello antico e invasivo,figlio di un'idea delle spiagge legate più allo sfruttamento economico che alla loro vera bellezza naturale.
Le concessioni sono scadute, pianta l'ombrellone dove vuoi.#marelibero pic.twitter.com/FZGA9pBQ4L
In questo contesto, le misure di regolazione degli accessi introdotte in alcune spiagge rispondono – seppur in maniera parziale – all’esigenza di tutelare dalle conseguenze degli affollamenti gli ecosistemi costieri, promuovendo un modello di turismo più attento alla capacità di carico del territorio e al diritto collettivo alla fruizione degli spazi pubblici. In parallelo a queste iniziative istituzionali, negli ultimi anni si è sviluppato un movimento dal basso che punta a riportare l’attenzione sul diritto all’accesso libero alle spiagge italiane, in particolare in relazione all’uso privato di tratti di costa che appartengono formalmente al demanio pubblico. In diverse località, da tempo gruppi di cittadini e associazioni continuano a mettere in atto forme di protesta simbolica, piazzando ombrelloni e teli in zone normalmente occupate da stabilimenti balneari, per sottolineare il principio che qualsiasi spiaggia è un bene comune e che ogni persona dovrebbe potervi accedere senza dover pagare.
Le ragioni di queste proteste trovano fondamento in una serie di sentenze civili che hanno stabilito come molte concessioni balneari siano oggi prive di una base legittima, a causa del meccanismo del rinnovo automatico. Questo sistema è stato più volte prorogato dalla legislazione italiana, nonostante una direttiva europea del 2006 che impone ai Paesi membri di mettere a gara tutte le concessioni che hanno a che fare con lo sfruttamento economico di beni pubblici – comprese quindi le spiagge. In teoria, le concessioni dovrebbero essere assegnate tramite procedure trasparenti e aperte alla concorrenza, ma nella pratica, in Italia, vengono spesso rinnovate agli stessi soggetti da decenni, con canoni d’affitto molto bassi e senza una reale valutazione. Per questo, nel 2020, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata applicazione della direttiva.
@breakingitaly Repubblica ha diffuso la storia vissuta da una madre che si è vista negare l’accesso a uno stabilimento balneare di Gallipoli perché aveva con sé dei crackers senza glutine per la figlia celiaca. Questa vicenda ha fatto riaccendere il dibattito sulle concessioni balneari in Italia e le regole che i vari lidi provano a imporre ai bagnanti. Ne abbiamo parlato su Breaking Italy, puntata intera su YouTube. #breakingitaly #news #notizie #gallipoli #spiaggia suono originale - Breaking Italy
Tuttavia, a oggi, nessun governo ha adottato misure concrete per invertire questa tendenza. Anzi, la scadenza delle concessioni esistenti è stata ulteriormente prorogata fino al 2027. I governi nazionali – sia di destra che di sinistra – negli anni hanno evitato di fissare regole chiare per l’organizzazione delle gare, mentre molti comuni (che formalmente avrebbero il compito di gestire il demanio marittimo) sostengono di non poter agire in assenza di un quadro normativo nazionale o per carenza di personale tecnico-amministrativo. Secondo numerose associazioni, però, questi ostacoli sono insormontabili solo sulla carta. Il Codice degli Appalti fornirebbe già di per sé un impianto normativo sufficiente per poter bandire gare pubbliche, anche in assenza di una legge specifica sulle concessioni balneari. Ciò che manca, secondo questa visione, è la volontà politica di intervenire in un settore in cui gli interessi consolidati sono molto forti. In diversi piccoli comuni costieri, infatti, i rapporti tra amministratori locali e gestori degli stabilimenti sono spesso caratterizzati da legami personali o familiari, e il consenso politico può dipendere in misura significativa dal sostegno di questi operatori economici.














































