
Nel 2025 la Gen Z si indebita per andare in vacanza Sempre più under-30 chiedono un prestito per le ferie
Dove andare in vacanza? La domanda dell’estate è tornata, insieme alla pressione che comporta. Per molti, la possibilità di trascorrere un periodo lontano dalla città dove si lavoro tutto l’anno non è affatto scontata. Le difficoltà economiche si intrecciano a un clima geo-politico incerto, e le conseguenze arrivano fino al cuore della stagione estiva. Secondo un’inchiesta di Repubblica, quest’anno circa 9 milioni di italiani non andranno in vacanza per motivi economici. Ma accanto a chi rinuncia cresce un fenomeno parallelo, meno dichiarato ma sempre più evidente: c’è chi parte comunque, anche a costo di indebitarsi. Nel 2025, la vacanza sembra diventata un diritto irrinunciabile, da difendere anche con strumenti finanziari di microprestito. Nei primi cinque mesi dell’anno, si stima che siano stati erogati oltre 220 milioni di euro in prestiti personali destinati a finanziare viaggi e ferie. L’importo medio richiesto si aggira intorno ai 5.500 euro, da restituire in un periodo di tre o quattro anni. A sorprendere è il fatto che quasi un terzo delle richieste provenga da persone sotto i 30 anni: una generazione cresciuta con Ryanair e Airbnb, oggi schiacciata tra stipendi barcollanti e un costo della vita che rende il weekend a Barcellona una spesa da spalmare in 36 comode rate.
Vale la pena indebitarsi per colpa della FOMO?
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— ੈ (@wiIdfIowerrrr) July 13, 2025
Dietro al boom delle ferie a credito non c’è solo il desiderio di evadere c’è una pressione culturale crescente: quella di rappresentare il proprio tempo libero online, di performare la vacanza, di raccontare visivamente il proprio benessere. In un clima dominato dall’immagine, non basta riposare, così la vacanza perde la sua funzione primaria, rigenerare corpo e mente, e diventa un contenuto da produrre, un evento da documentare. Relax e successo vanno a braccetto, tra feed e caption curati al punto giusto. E chi non può permetterselo? Spesso si affida al credito al consumo per FOMO, ossia pur di non restare fuori dal racconto collettivo. La discrepanza tra possibilità reali e aspettative performative produce cortocircuiti evidenti. Il tempo libero si trasforma in un obbligo morale, mentre si afferma l’idea che anche il riposo vada quantificato. Le alternative – piccole gite quotidiane, giorni a casa tra amici o familiari – sembrano insufficienti se non condivise, fotografate, rese pubbliche. E così, la libertà si piega alla rappresentazione.
Eppure esistono ancora forme di pausa che sfuggono alla retorica del viaggio documentato. Rimanere a casa, leggere un libro con le tapparelle abbassate e il silenzio irreale della città che si svuota non è una sconfitta, ma un gesto terapeutico, uno spazio mentale che si sottrae alla logica dell’esposizione continua, un tempo sospeso che non chiede di essere monetizzato. Non è tanto la vacanza in sé a essere diventata necessaria, quanto la sua rappresentazione. Prendendo in prestito un concetto di Baudrillard, non si va più in vacanza per riposare, ma per dimostrare di esserci andati. Il simulacro – la copia senza originale – prende il posto dell’esperienza. E se per ottenere il tramonto giusto serve un microprestito, poco importa. Nessuno posterà il saldo in rosso. Solo i Negroni vista mare.














































