
Le prossime vittime di Trump sono gli influencer? Nemmeno le celebrità dell’internet sono esenti dalle politiche di immigrazione del Presidente statunitense
Lo scorso mese diverse testate internazionali avevano riportato come Khaby Lame, influencer italo-senegalese e detentore del profilo TikTok più seguito al mondo, era stato deportato dagli Stati Uniti dopo aver superato il termine previsto dal suo visto di permanenza sul suolo americano. La vicenda era emersa proprio nel momento di massima tensione dovuta alle proteste diffuse negli USA contro le politiche dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) e la detenzione di numerosi immigrati, sia regolari sia irregolari. La questione delle deportazioni è una delle pratiche più controverse e visibili degli ultimi anni negli Stati Uniti. L’amministrazione Trump, nel corso del suo secondo mandato presidenziale, ha infatti incrementato significativamente le attività di controllo nei confronti dei residenti non cittadini, ponendo particolare attenzione ad accademici, studenti e attivisti che nel corso degli anni si sono apertamente schierati in modo critico contro il governo o il partito repubblicano. Tuttavia, il caso di Khaby Lame ha portato alla luce una nuova dimensione di questo fenomeno, evidenziando come anche lo star-system digitale, composto da influencer e creator internazionali, sia diventato un potenziale obiettivo di questi rigorosi controlli politici.
BREAKING:
— ADAM (@AdameMedia) June 7, 2025
ICE has detained Senegalese TikTok star Khaby Lame.
Khaby has 162 Million followers on TikTok.
The source of this arrest is Bo London who says he reported him and worked with DHS to arrest him.
This story will be huge. pic.twitter.com/jYB9iucXWx
Secondo quanto riporta Business of Fashion, infatti, gli avvocati che assistono influencer e creator stranieri residenti negli Stati Uniti stanno offrendo consigli molto netti: evitare completamente temi politici sui social media. Genie Doi, avvocata specializzata in immigrazione, ha dichiarato apertamente: «Ogni volta che ne ho la possibilità, dico ai miei clienti di ripulire i propri profili social, persino dai semplici like o repost di contenuti apparentemente innocui, come meme contro la guerra o post di figure politicamente esposte come JD Vance» (a fine giugno una news di un turista norvegese a cui era stata negata l’entrata negli Stati Uniti per aver ricondiviso un meme del Vice Presidente era andata virale sui social). In un mondo digitale che spesso premia contenuti controversi e posizioni nette, la pressione sugli influencer internazionali sta aumentando sensibilmente. David Melik Telfer, avvocato di Los Angeles specializzato in diritto dell’immigrazione, ha evidenziato come la maggior parte dei content creator internazionali risieda negli USA con un visto O1-B, riservato agli artisti e agli intrattenitori. Tuttavia, il Dipartimento di Stato americano ha recentemente intensificato l’esame delle domande per questi visti, iniziando a controllare sistematicamente anche l’attività sui social media. «Stanno controllando ogni profilo social», ha affermato Telfer, aggiungendo che la partecipazione a proteste o l’espressione pubblica di posizioni politiche possono mettere a rischio la permanenza negli Stati Uniti.
@hasandpiker i was detained by border patrol coming back into the US #hasanabi original sound - hasanabi
Che questo sia il colpo di grazia da parte di Trump per l’industria dell’intrattenimento americana? Dopo le diverse leggi introdotte nell’ultimo anno per “salvaguardare” il mercato cinematografico di Hollywood, provvedimenti che hanno visto l’opposizione di numerosi insider e figure chiave del settore, ora il Presidente americano sembrerebbe sempre più determinato ad applicare politiche di protezionismo anche all’influencer economy. Quest’ultima, già nel corso dell’ultimo anno, ha vissuto un progressivo distacco e raffreddamento da parte del sistema moda, che un tempo vedeva proprio negli influencer una risorsa primaria per raggiungere un pubblico globale. In un contesto di economia digitale sempre più interconnessa, dove i confini nazionali si sfumano davanti alla diffusione virale di contenuti come i meme italiani diventati autentici fenomeni globali, ci si chiede se sia effettivamente possibile o realistico porre delle barriere rigide. O se, piuttosto, queste politiche restrittive rischino soltanto di isolare gli Stati Uniti dalla nuova frontiera della comunicazione digitale, allontanando talenti internazionali e penalizzando, alla fine, proprio il mercato americano che queste politiche vorrebbero proteggere, come sta succedendo nei settori scientifici.













































