
È iniziata la fuga dei cervelli americana? Mentre in Italia i laureati cercano fortuna all'estero, i ricercatori statunitensi fuggono da Trump
Chi è nato negli anni Novanta in Italia avrà sentito spesso parlare di “fuga di cervelli”. Con questo termine si indica l’emigrazione di talenti e professionisti altamente specializzati – formatisi in un Paese – verso nazioni straniere che offrono opportunità più allettanti. L’Italia è alle prese con una grande fuga di cervelli da anni, ma nel 2024 le cose sono andate peggiorando. Secondo gli ultimi dati ISTAT infatti nel 2024 ben 156 mila cittadini italiani hanno lasciato il Paese per trasferirsi all’estero, segnando un aumento del 36,5% rispetto al 2023, il valore più alto degli ultimi 25 anni. Il saldo migratorio (ovvero la differenza tra il numero di immigrati – in questo caso rimpatriati – e il numero di emigrati) per il 2024 è stato invece bassissimo: infatti appena 53 mila hanno fatto ritorno a casa, lasciando un buco di competenze che si traduce in un enorme spreco di capitale umano. A partire sono soprattutto neolaureati, ricercatori e professionisti con dottorati di ricerca. Le destinazioni principali sono Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), Paesi che garantiscono non solo stipendi più alti. Il problema della fuga dei cervelli però non è solo rivolto al futuro ma anche al presente: l’Italia, per esempio, investe nella formazione degli studenti e spende miliardi di euro (secondo Forbes negli ultimi 13 anni l’Italia ha perso 134 miliardi in capitale umano) senza poi riuscire a creare le condizioni per “tratteneli” a lavorare. In questo modo il danno è elevato perché il cervello in fuga va ad arricchire un Paese che non ha investito su di esso.
Three out of four U.S. scientists are considering leaving the country. America is on the verge of a brain drain - one that will cost lives, discoveries, and our global edge.
— Dr. Catharine Young (@catgyoung) March 30, 2025
Il fenomeno, come detto, non è nuovo: già nel corso di tutto il Novecento si verificò un forte esodo di cervelli verso Stati Uniti, Regno Unito e Germania Ovest. Figure come Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia hanno sperimentato in prima persona l’attrattiva delle università americane e anglosassoni, ma negli ultimi anni il governo italiano ha lanciato diverse iniziative per invertire la rotta. Programmi di “Rientro dei Cervelli”, incentivi fiscali, borse di studio e i fondi del PNRR dedicati all’innovazione. Tuttavia, questi strumenti spesso risultano frammentati e insufficienti rispetto alle condizioni offerte all’estero. Ma da inizio 2025 è iniziato un possibile cambio di tendenza a livello globale, con il numero di cervelli in fuga dagli Stati Uniti si sta alzando sempre di più. Infatti, dall’insediamento del 47° presidente, Donald Trump, si sono registrati numerosi tagli ai finanziamenti per la ricerca, riduzione del personale nei centri accademici e crescenti limitazioni alla libertà dei ricercatori.
Queste condizioni hanno spinto oltre 1.900 ricercatori, professori e scienziati americani a firmare una lettera aperta per lanciare un SOS sul rischio di «decimare l’impresa scientifica nazionale» e denunciare la censura su temi sensibili come cambiamento climatico, vaccini e studi etici. La situazione negli Stati Uniti è talmente delicata che molti scienziati e studiosi stanno pensando di espatriare per poter continuare a lavorare senza impedimenti politici. Un sondaggio pubblicato su Nature rivela infatti che il 75% degli scienziati americani intervistati sta valutando seriamente il trasferimento in Europa, segnando quella che potrebbe essere la più grande inversione di rotta dei cervelli dagli anni Trenta. In risposta a questa ondata, il 10 aprile il fisico Roberto Battiston e il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe hanno pubblicato il manifesto ReBrain Europe, in cui chiedono alle alle istituzioni europee di aprire i propri laboratori, snellire le pratiche burocratiche e creare visti e permessi di lavoro specifici per ricercatori di alto livello provenienti dagli Stati Uniti. In questo scenario incerto, l’Italia e l’Europa hanno un’occasione storica: trasformare una crisi in un’opportunità di rilancio, sia per il Paese sia per la scienza mondiale. Puntando su infrastrutture di eccellenza, processi meritocratici definiti e percorsi di carriera chiari, potremo non solo trattenere i nostri talenti, ma anche attrarre i migliori cervelli in fuga dagli USA. Il futuro della ricerca e dell’innovazione italiana potrebbe ripartire proprio da qui.













































