Perché i bar scrausi funzionano ancora Il loro fascino quasi esotico è sempre più apprezzato dai giovani, tuttavia c’è sempre un "ma"

Negli ultimi anni, soprattutto grazie a Instagram e TikTok, è cambiato il modo in cui i più giovani percepiscono e frequentano certi locali particolarmente autentici – quelli che magari un tempo venivano considerati di seconda categoria. Soprattutto nelle grandi città stanno tornando di moda i bar "scrausi" – che in genere si riconoscono per avere arredi datati, menù semplici, prezzi popolari e un servizio molto (forse troppo?) diretto. A pensarci bene, questi sono locali che negli anni passati sarebbero stati facilmente ignorati dalla maggior parte dei giovani. Ad esempio, il magazine Zero descrive così l’ormai celebre Bar Picchio di Milano: «È la rivincita del bar di quartiere, l’unico locale milanese in cui ho pagato un bloody mary 2,50 euro. [...] Guardate il pavimento di ceramica color azzurro piscina, il biliardo in cui ci si giocava l’onore quando via Melzo era malfamata.» Oggi sempre più bar del genere sembrano essere diventati, almeno per un certo tipo di pubblico, affascinanti, quasi "esotici", al punto che in certi casi finiscono per essere consigliati sui social media. Se in passato questo tipo di bar veniva etichettato, nel migliore dei casi, come "popolare", oggi spesso si parla di "posti sinceri" – e il fatto che tali locali non rincorrano le mode e restino fedeli a sé stessi, nonostante tutto, è esattamente ciò che li rende cool agli occhi dei più giovani. Pagine come Poveritivo – che su Instagram conta oltre 30mila follower, ottenuti nell’arco di pochi mesi – o Posti sinceri contribuiscono a diffondere un’idea di bar autentico diversa da quella più patinata e sofisticata promossa dalle tradizionali guide sulle grandi città. Per una parte del pubblico, infatti, questa involontaria forma di coerenza è un antidoto all’approccio marketing-oriented tipico di alcune nuove realtà. Ciò non significa che le molte proposte più contemporanee – come le numerose vinerie aperte a Milano, Roma o Bologna – non abbiano ragione d’esistere; questi locali, infatti, offrendo piatti ricercati come accompagnamento alla proposta alcolica, stanno contribuendo a rendere più vivace il panorama culinario italiano dei grandi centri.

L’ascesa dei "bar scrausi", se così si può dire, di contro va letta come un fenomeno parallelo e di tutt’altra portata – ancora dipendente da certi trend tipici dei social media. Non a caso, è particolarmente evidente a Milano, dove c’è una concentrazione piuttosto alta rispetto ad altre città di persone che si occupano di content creation, cosa che contribuisce a rendere più rapida la diffusione di tendenze precise – per quanto di nicchia e magari passeggere. È anche vero che gli abitanti delle grandi città ormai sono più abituati a seguire e adattarsi a certi trend, e a farlo prima che non siano più di moda. Finire in un reel su Instagram o in un video su TikTok è spesso positivo per i gestori dei locali, che in questo modo godono di un momento di notorietà all’interno di una bolla precisa – per quanto piccola. Ma questo processo di riscoperta dei bar di serie B può avere però anche effetti negativi. Da qualche anno, infatti, è nettamente aumentata la quantità di persone che intercettano i contenuti di pagine come Poveritivo: un locale segnalato in un video pubblicato sulle principali piattaforme può arrivare, in breve tempo, ad avere una diffusione enorme, contribuendo a cambiare la fisionomia di quegli stessi bar. L’attenzione generata, di solito, viene meno apprezzata dagli habitué, che in genere sono gli stessi residenti della zona. Una delle possibili conseguenze di questo processo è che i bar "scrausi" finiscano paradossalmente per perdere quell’atmosfera intima che li caratterizzava. Inoltre, l’aumento della clientela può spingere i gestori ad aggiornare menù e prezzi, rinunciando così alla dimensione familiare che inizialmente li aveva resi attraenti. Questa dinamica si inserisce in un fenomeno più ampio: negli ultimi anni sono nati numerosi progetti che, in modo diverso, si occupano di raccontare la parte più autentica di città apparentemente molto turistiche, tra cui la stessa Milano, uscendo dai circuiti tradizionali e indirizzandosi non solo ai visitatori ma, per l’appunto, anche a chi quei centri urbani li abita. Le case editrici si sono rese conto del fenomeno e hanno investito sui content creator che operano in questo preciso ambito, perché di solito, grazie ai loro molti follower, garantiscono un buon numero di vendite. Il rischio, però, è sempre lo stesso: un posto per pochi, alla fine, diventa eccessivamente mainstream.