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Perché girare film e serie TV negli Stati Uniti conviene sempre meno? I costi da sostenere per andare all’estero sono paradossalmente molto inferiori

Negli ultimi trent’anni, girare un film o una serie televisiva negli Stati Uniti, e in particolare in California, è diventato progressivamente più costoso rispetto a farlo all’estero. Questa differenza crescente ha contribuito a spostare una parte significativa della produzione audiovisiva statunitense oltre i confini nazionali: si stima che almeno un terzo delle ore complessive di film e serie statunitensi venga oggi realizzato fuori dal Paese. In passato, la produzione cinematografica e televisiva americana era concentrata quasi esclusivamente in California, soprattutto a Los Angeles. La maggior parte dei professionisti del settore vive ancora oggi qui, dove si trovano anche le sedi principali delle case di produzione e delle piattaforme di streaming. Tuttavia, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, è iniziato un processo di delocalizzazione delle riprese, incentivato dall’adozione diffusa del tax credit in molti stati degli USA. Questo è un meccanismo fiscale che garantisce sgravi alle produzioni che scelgono di girare in una determinata area geografica. Negli Stati Uniti, oltre 35 stati – tra cui Michigan, Arizona e Kentucky – offrono oggi forme di incentivo per attrarre produzioni. In particolare, la Georgia è diventata un polo centrale per l’industria, tanto che tutti i film della Marvel dal 2008 in poi sono stati girati lì. Nonostante ciò, numerosi Paesi esteri si sono rivelati ancora più competitivi sul piano degli incentivi fiscali, attirando un numero crescente di produzioni statunitensi. Il Regno Unito, ad esempio, è ormai un punto di riferimento per le grandi produzioni internazionali, grazie sia al suo sistema di incentivi, sia alla solidità delle infrastrutture e delle professionalità presenti. Non è un caso che il nuovo film degli Avengers sia stato girato proprio lì, così come lo sarà il prossimo episodio di Star Wars.

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Anche l’Italia, fino allo scorso anno, era molto apprezzata per la sua capacità di accogliere produzioni estere, unita a un sistema di tax credit competitivo, alla varietà delle location e alla qualità delle maestranze. Tuttavia, alcune modifiche normative introdotte dall’attuale governo hanno ridotto l’attrattività del Paese, provocando un calo delle produzioni internazionali e il blocco della quasi totalità del settore, con ricadute molto gravi sui lavoratori. Altri Paesi europei come Ungheria, Repubblica Ceca e Germania continuano invece a rappresentare destinazioni fortemente richieste, sia per i costi contenuti che per la disponibilità di strutture e professionisti qualificati. Anche se la California dispone di un proprio sistema di tax credit, la percentuale di agevolazione offerta non è paragonabile a quella disponibile in molti altri Paesi. A questo si aggiungono i costi generalmente più elevati per produrre nello stato, che rendono complessivamente meno vantaggioso realizzare lì film o serie TV. Si è arrivati al punto che trasferire parte del cast e della troupe all’estero, anche per lunghi periodi e con spostamenti intercontinentali, risulta comunque più economico che girare negli Stati Uniti. Un confronto riportato dal New York Times evidenzia in modo efficace tale disparità: a Budapest, una squadra di sette attrezzisti per un mese di riprese costa intorno ai 60mila dollari, mentre a Los Angeles con 53mila dollari si riesce a pagare appena un singolo tecnico con le stesse competenze. Per questo, cresce la preoccupazione che Los Angeles possa subire una trasformazione simile a quella avvenuta a Detroit negli anni Settanta con l’industria automobilistica, cioè una progressiva delocalizzazione che colpisce un settore fino a oggi centrale per l’economia locale.

La questione è già stata sollevata in diverse occasioni da rappresentanti dell’industria cinematografica, che chiedono soluzioni concrete per rendere sostenibile tornare a girare in California. La riduzione delle produzioni ha avuto effetti evidenti: molte attività legate alla filiera del cinema e delle serie televisive hanno chiuso, colpite da un calo costante della domanda. In risposta, è stata avviata anche una campagna, #StayinLA, che punta a ottenere incentivi fiscali più forti per trattenere le produzioni nello stato. Tuttavia, i segnali provenienti dalle principali case di produzione non sembrano andare in quella direzione. La stessa Netflix, tra le poche realtà che ancora puntano molto sugli Stati Uniti, ha annunciato un piano di investimento da 1 miliardo di dollari in Messico, confermando una tendenza che appare difficile da invertire nel breve periodo. Nel dibattito è intervenuto anche Trump, che ha annunciato l’intenzione di introdurre dazi del 100% sui film girati fuori dagli Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato di riportare la produzione nel Paese e creare nuove opportunità di lavoro nel settore. Al momento, però, non è chiaro come una misura simile potrebbe essere applicata, né se verrà effettivamente introdotta. La proposta ha suscitato molte reazioni: secondo diversi osservatori, rischierebbe di penalizzare ulteriormente un’industria già in difficoltà, senza affrontare in modo efficace le vere cause della delocalizzazione.