A Guide to All Creative Directors

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Ora anche i professori universitari usano l’AI

È arrivata la fine della didattica accademica?

Ora anche i professori universitari usano l’AI È arrivata la fine della didattica accademica?

Per chi, come chi vi scrive, ha vissuto l’università durante la pandemia, è chiaro quanto la didattica a distanza abbia spinto anche le menti più brillanti della nostra generazione a barare. Anche se all’epoca, il massimo che si poteva fare era cercare una risposta online, sperando che miracolosamente apparisse quella giusta, o confrontarsi su Whatsapp con qualche amico/collega rispetto alle risposte date ai test. Era stato anche per questo che in alcune università, molti professori avevano intuito questo nuovo trend e avevano scelto di rendere alcuni esami “open-book”, permettendo così l’uso di appunti. Una sorta di tacito avvertimento, che anche se si fosse stati beccati, la pena non sarebbe stata pesante come qualche mese prima perché eravamo studenti in un «momento storico senza precedenti». Oggi, invece, la situazione è cambiata e non poco. Secondo il sondaggio annuale di HEPI UK, il 92% degli studenti ha utilizzato l’intelligenza artificiale in qualche forma nel contesto accademico, un netto aumento rispetto al 66% dello scorso anno. Spesso, tra chi si è laureato prima del 2023 capita di pensare che, qualora capitasse di essere studenti oggi, la qualità della nostra formazione sarebbe infinitamente inferiore rispetto a quella che abbiamo ricevuto solo quattro anni fa. Non è solo una questione legata al fatto che ogni studente del pianeta sembra ormai ipnotizzato dai poteri di ChatGPT ma ora anche molti docenti appaiono affascinati, o sopraffatti, dall’idea che l’AI possa semplificare la vita professionale. Dopo l’episodio avvenuto alla Northeastern University, in cui una studentessa ha scoperto l’uso dell’intelligenza artificiale da parte di un suo professore e ha chiesto il rimborso delle tasse universitarie, il dilemma etico sull’utilizzo dell’AI si fa sempre più fitto. Dal momento che uno strumento di questo tipo si sta radicando così profondamente nella vita universitaria, viene spontaneo chiedersi: è davvero la fine dell’università per come l’abbiamo conosciuta? O è solo l’ennesima rivoluzione tecnologica a cui, in un modo o nell’altro, finiremo per abituarci?

Negli ultimi due anni, o quantomeno da quando ChatGPT è diventato accessibile al pubblico, l’intelligenza artificiale è diventata una presenza imprescindibile nella vita universitaria degli studenti. Secondo un’indagine condotta dal New York Magazine, già a gennaio 2023, appena due mesi dopo il lancio di del modello di linguaggio di OpenAI, quasi il 90% degli studenti universitari americani aveva utilizzato il chatbot per supportare lo svolgimento dei propri compiti accademici. Da allora, questa tendenza non ha fatto che consolidarsi, le applicazioni più frequenti riguardano la sintesi di testi, la spiegazione di concetti complessi e la generazione di spunti per la ricerca, ma circa il 18% degli studenti ammette esplicitamente di aver incorporato porzioni di testo generate da AI direttamente nei propri elaborati. Non è solo una questione di arti liberali, ormai anche nei corsi STEM (science, technology, engineering, mathematics) gli studenti si affidano completamente regolarmente a chatbot come ChatGPT, Google Gemini e Claude di Anthropic per automatizzare analisi di dati, svolgere compiti di programmazione o risolvere esercizi tecnici, che dovrebbero essere alla base della loro conoscenza. Una tendenza che emerge in maniera eclatante anche sui social, dove migliaia di studenti si vantano di passare l’università non grazie allo studio, ma grazie alla miriade di nuovi gadget tecnologici. Come dimostra il commento di una studentessa dello Utah riportato dal New York Magazine, «oggi l’università misura semplicemente quanto bene sai usare ChatGPT»

Anche se gli studenti, in maniera più eclatante, stanno ormai compromettendo i loro anni di vita accademica con l’uso dell’AI, non sono più gli unici. Se fino a qualche anno fa i professori guardavano con disprezzo e diffidenza i nuovi modelli di intelligenza artificiale, la loro bussola morale sembra essersi ricalibrata. La prima reazione del mondo accademico all’emergere dei chatbot generativi è stata caratterizzata da un misto di scetticismo e isteria di massa, eppure oggi il panorama è radicalmente cambiato: secondo una ricerca pubblicata da Ithaka S+R nel giugno 2024, circa il 75% dei docenti universitari statunitensi ha già adottato, anche solo parzialmente, strumenti di intelligenza artificiale nelle proprie pratiche didattiche. Secondo alcune testimonianze raccolte dal New York Times, molti insegnanti la utilizzano per snellire la preparazione dei materiali, generare quiz, correggere elaborati o persino creare dispense e slide in tempi più rapidi. In altre parole, l’AI sta assumendo un ruolo sempre più simile a quello di un assistente didattico automatizzato, capace di alleviare il carico burocratico e logistico che spesso grava sul personale accademico. Agli studenti, però, tutto questo non va giù. Può essere per l’ipocrisia percepita da parte dei docenti, o per il fatto che, soprattutto nelle università private, le salate rette universitarie vengono giustificate con la promessa di un’educazione di alta qualità. Insomma, per molti studenti una formazione mediata dall’AI perde di valore, tanto che le lamentele arrivano direttamente agli atenei oppure si riversano online, dove piattaforme come Rate My Professors sono ormai piene di critiche all’uso eccessivo dell’intelligenza artificiale in aula. Sui social, poi, alcuni studenti trovano inaccettabile che i loro lavori (svolti interamente “a mente umana” e senza aiuti) vengano contestati o persino accusati di essere automatizzati da sistemi di rilevamento AI come Turnitin, spesso usati dagli stessi professori che fanno largo uso dell’intelligenza artificiale per preparare le proprie lezioni.

@arbacn.net #college #ai original sound - aisha

Come in ogni ambito, la preoccupazione sull’uso dell’intelligenza artificiale è spesso alimentata dall’assenza di una regolamentazione chiara su queste nuove tecnologie. In ambito accademico, questa lacuna è particolarmente evidente: secondo un’indagine globale condotta dall’UNESCO, su oltre 450 istituzioni scolastiche e universitarie meno del 10% ha sviluppato linee guida ufficiali sull’uso delle applicazioni di intelligenza artificiale generativa. Si tratta di un vuoto normativo che lascia studenti e docenti in balia dell’ambiguità, costretti a muoversi in una zona grigia in cui ogni utilizzo dell’AI può essere percepito tanto come innovazione quanto come frode, a seconda del contesto. Le preoccupazioni maggiori, comprensibilmente, riguardano il futuro delle nuove generazioni, che crescendo in un contesto scolastico fortemente supportato dall’AI, iniziano a manifestare carenze significative nel pensiero critico, nella scrittura e nella comprensione. Come ha sottolineato su TikTok l’utente @hannamariaf, ex insegnante di scuola elementare, nei suoi tre anni di attività ha osservato in prima persona come le nuove tecnologie abbiano progressivamente allontanato i bambini dal concetto stesso di apprendimento. Forse l’unica soluzione è tornare a carta, penna e calamaio, a meno che, ovviamente, non venga inventata anche lì una nuova forma di intelligenza generativa.