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Chi ha paura dell’AI nella moda? Tra rischi di bolle industriali, stime da rivedere e un certo timido ottimismo

Il 2025 è l’anno in cui l’AI è entrata nelle nostre vite. Le sue potenzialità sono enormi per la vita quotidiana, ma soprattutto hanno creato molto timore per il loro impatto su un mercato del lavoro già parecchio difficile. Il che è doppiamente vero per il mondo della moda, che è stato colpito da una crisi durissima che sta portando a una nuova mentalità dell’efficienza e a numerosi licenziamenti. A questi problemi ora se ne aggiunge un altro: il futuro stesso del mercato delle AI, che sta crescendo tumultuosamente spingendo molte aziende a una folle corsa per l’acquisizione di materie prime e soprattutto di fonti di energia in grado di alimentarle.

Nelle ultime settimane, tra esperti e commentatori del settore ha iniziato a emergere la consapevolezza che quella delle AI potrebbe essere una bolla speculativa: un rapido e irrazionale rialzo dei prezzi di un asset alimentato dall’entusiasmo collettivo e dalla speculazione del mercato, anziché dall’effettivo valore degli asset, seguito inevitabilmente da un crollo. Il tutto in un momento in cui l’AI non sta portando i favolosi profitti che molti speravano.

Il problema è capire cosa succederebbe se la bolla dovesse scoppiare. I rischi riguardano in realtà i giganti della Silicon Valley, ma un eventuale collasso del mercato potrebbe danneggiare un’industria della moda già fragile? Molte sono le chiacchiere e molte di più le paure ma, proprio per la moda, è essenziale distinguere i rischi reali dai semplici timori che un nuovo medium suscita inevitabilmente. Ma prima di tutto capiamo che cos’è questa “bolla AI”. 

Che cos’è la bolla AI?

@sahas.chopra

Will the AI bubble burst anytime?

original sound - Sahas Chopra

Per farla molto breve, negli ultimi mesi i produttori di chip, i proprietari dei data centers e le aziende tech hanno continuato a investire denaro gli uni nelle aziende degli altri, aumentando sempre di più i prezzi. OpenAI, ad esempio, non ha mai registrato un trimestre in utile: è in perdita dal 2022. Solo tra luglio e novembre di quest’anno ha bruciato 12 miliardi di dollari e secondo le stime generali non raggiungerà la redditività per altri cinque anni. Questo perché i costi dei server e della ricerca superano di gran lunga i guadagni. Ma allora come si mantiene?

Dato che tutti i provider di servizi tech hanno bisogno di servizi AI, intervengono gli investitori. Aziende come Microsoft preferiscono pagare OpenAI che dover costruire tutto internamente, dunque pompano miliardi nell’azienda per farla crescere. OpenAI a sua volta compra i chip di Nvidia, necessari per addestrare e sviluppare gli algoritmi. Nvidia reinveste poi altri miliardi direttamente in OpenAI o altre startup come CoreWeave o Nebius, per costruire data center pieni dei suoi stessi chip.

Nel frattempo, OpenAI deve ospitare i propri dati, dunque paga Oracle che, a sua volta, compra chip da Nvidia. In questo modo, i soldi rimbalzano da un’azienda all'altra, gonfiando i valori di mercato (Nvidia a 4,5 trilioni, OpenAI a 500 miliardi) senza che ci sia letteralmente traccia di un vero profitto. Tutto ruota intorno al fatto che OpenAI ha anni di vantaggio nello sviluppo delle AI, così queste aziende, più un elevatissimo numero di investitori, fondi e banche, stanno scommettendo sul suo ruolo futuro.

Come si diceva, il problema è che al momento OpenAI è in forte perdita e la domanda per i chip di Nvidia è del tutto artificiale perché l’intero ecosistema è circolare. Finché rimane un circolo chiuso potrebbe andare tutto bene, ma nel momento in cui si verificasse una recessione, intervenisse un ostacolo normativo geopolitco come una guerra commerciale, la “forza” della bolla verrebbe meno e questa stessa collasserebbe sotto il peso schiacciante di 1,5 triliardi di debito che, secondo Morgan Stanley, accumulerà di qui a tre anni.

Martedì scorso, Barclays ha abbassato il rating del titolo di Oracle, uno dei pesi massimi del settore che ha investito enormemente in data center negli ultimi tempi accumulando debiti altrettanto enormi. Per capire quanto Oracle sia indebitata, basti pensare che per ogni dollaro di proprietà dell’azienda, cinque sono in debito da restituire. Il debito attuale è di 111,62 miliardi di dollari. Nella stessa settimana, Sam Altman di OpenAI non è riuscito a spiegare come coprire i 1,4 trilioni di dollari di spesa in computing per cui aveva stretto accordi con i fornitori e le azioni della startup CoreWeave sono scese del 22% in una settimana.

Queste che vi stiamo raccontando sono tutte crepe di un sistema che richiede trilioni di investimenti fissi, in un momento in cui nessuno ha abbastanza soldi per investire - una specie di grande partita a poker dove la posta continua ad alzarsi ma nessun giocatore potrebbe davvero pagare. Lo scoppio della bolla distruggerebbe le azioni Nvidia o Palantir, che crollerebbero del 20-30%, obliterando circa 40 trilioni di dollari in valore dal mercato azionario.

Di recente, l'hedge fund manager Michael Burry (quello che predisse il crollo del mercato immobiliare nel 2008 e ispirò il film The Big Short) ha annunciato di aver scommesso contro le azioni di Nvidia e Palantir, scrivendo su X: «A volte vediamo bolle. A volte c’è qualcosa da fare. A volte, la mossa vincente è non giocare affatto». Oggi, Burry ha confermato la scommessa: ha comprato 9,2 milioni di opzioni put (il cui valore aumenta al diminuire del prezzo dell'asset) che, se la bolla dovesse scoppiare, si tradurranno in un guadagno di 240 milioni, con un assurdo ritorno del 2600%. 

Burry ha poi chiuso e de-registrato il proprio fondo di investimenti proprio come aveva fatto nel 2008. Un segnale che l’autore australiano Shanaka Anslem Perera ha definito nel suo Substack il “protocollo Cassandra”, con un cenno alla mitologica profetessa di sventure che lo stesso Burry menziona nel suo nickname di X che sarebbe "Cassandra Unchained". Ma cosa c’entra la moda?

Quanto si usa l’AI nella moda? 

Secondo un rapporto di The Business Research Company dello scorso settembre, il settore dell’AI nella moda valeva circa 1,26 miliardi di dollari nel 2024 e doveva salire a 1,75 miliardi di dollari entro il 2025, con uno strabiliante tasso di crescita del 39,2%. Un'altra analisi, questa volta di MarketsandMarkets, prevede una crescita media annua del 41% e un’altra ancora di Precedence Research del 40,8%. Da qualunque lato la si guardi, il settore ha sulla carta le potenzialità di moltiplicarsi per decine di volte nei prossimi anni, un cambiamento che molti attendono ma che ancora non si è verificato del tutto.

Rileggendo il report The State of Fashion 2025 di McKinsey si legge che il 50% dei dirigenti di aziende di moda considera l'AI generativa un elemento chiave per scoprire e sviluppare prodotti innovativi. Secondo il report, altre categorie in ordine decrescente di importanza in cui l’AI vedrà sviluppi sono il marketing, il design, le raccomandazioni agli utenti, lo shopping online e la logistica e i rifornimenti. Chiudono la classifica l’ottimizzazione della customer experience e l’automazione dei resi. 

Anche tra i consumatori, l'82% vorrebbe che l'AI rendesse lo shopping più veloce, riducendo il tempo speso a sfogliare cataloghi o cercare offerte. Ma al di là delle semplici aspettative, come sta utilizzando l’AI oggi la moda?

A cosa serve l’AI nella moda di oggi 

@tatabazaar Comment below if you want the link to the Substack! #fashionai #startups #ai #entrepreneur original sound - Tata Bazaar

In un recente articolo di Vogue si parla di come l’AI stia trovando applicazione presso i grandi gruppi del settore. I due più grossi player che la usano, LVMH e Moncler, stanno ancora esplorando il suo potenziale nella gestione dei dati e delle operazioni e per migliorare l’esperienza e-commerce. Moncler lo ha usato finora per creare video 3D dei prodotti che, basandosi sui test iniziali, dovrebbero aumentare del 49% l’engagement dei consumatori. Anche Swarowski ha riunito tutti i dati necessari all’operatività del brand (dai clienti agli asset creativi)  per creare un portale di AI generativa con tool Google accessibile ai dipendenti per marketing e customer service.

Per LVMH, la strategia è diversa. Al momento il gruppo sta capendo come utilizzare questa tecnologia in base ai dati a sua disposizione: quelli di tutti i clienti sono già stati in un grande database unificato. Attualmente il suo potenziale risiede negli algoritmi di raccomandazione sia per l’e-commerce che per i venditori in negozio. Più interessante, come si legge su Vogue, è la sua capacità di «suggerire i clienti con il potenziale più elevato da contattare» e di «fornire raccomandazioni con diversi livelli di granularità, indicando ad esempio quali zone sono più adatte per determinati prodotti e quali negozi».

Le funzioni più “elevate” della moda che secondo molti potrebbero sostituire i lavoratori in carne e ossa, comunque, non sembrano pronte a essere affidate alle AI. Anzi, scorrendo oltre a quelle di Vogue, anche le pagine di BoF, l’impressione finale è che la tanto temuta AI verrà utilizzata per quei compiti tediosi e meccanici che normalmente passerebbero sotto il nome di “burocrazia” e “lavoro ingrato”. Il che in verità è una buona notizia per i brand più piccoli, che possono risparmiare tempo e risorse su inventari e pianificazioni.

Proprio in questi giorni, poi, Golden Goose ha annunciato una collaborazione con Google Pixel grazie alla quale le AI dell’azienda verranno integrate nel processo di customizzazione artigianale per cui il brand è già celebre. L’idea è una brillante variazione sul tema del coinvolgimento dei clienti attraverso la tecnologia, ma è da notare che la sua messa a terra coinvolge comunque gli artigiani del brand, facendo sì che l’AI diventi uno strumento per dare molto più margine di libertà di customizzazione ai clienti. Da notare, quindi, è il principio per cui, come in altri casi, l’AI migliora, espande e sveltisce processi già esistenti, senza però sostituirli.

«Vogliamo diventare il più efficienti possibile nei processi operativi e nelle attività aziendali che non riguardano direttamente i clienti, in modo da poter investire maggiormente nel coinvolgimento emotivo del nostro pubblico, sia nel mondo digitale che nella vita reale» ha detto a BoF Nick West, co-founder e CEO di Bandit Running, sintetizzando un po’ il feeling generale che si riscontra online. 

Nonostante le grandi paure manifestate dalla stampa e dagli investimenti, la verità è che l’AI non sembra pronta a soppiantare né il design né il marketing di moda. Insomma, non sarà una versione con le sfilate di 2001: Odissea nello Spazio. Il che però non significa che l’AI non sia qui per restare. E questo lo ha spiegato di recente Jeff Bezos.

 Bolle industriali e bolle finanziarie 

Il rischio di una bolla speculativa, come dicevamo prima, consiste sostanzialmente nello spreco di risorse e nella perdita di capitali che è capace di portare intere aziende al collasso in modo più o meno rapido con effetti a catena disastrosi su posti di lavoro. Una bolla speculativa è a tutti gli effetti un crollo economico la cui onda d’urto può causare danni anche gravi. Ma non tutte le bolle sono identiche: quella del 2008 era una bolla economica, coinvolgeva banche e case e poneva tantissimi individui “normali” nel suo fronte di detonazione. 

Quella dell’AI riguarderebbe un singolo settore estremamente gonfiato e sarebbe dunque una cosiddetta “bolla industriale”, proprio come è stata definita il mese scorso da Jeff Bezos alla Italian Tech Week: «Le bolle industriali non sono così dannose: possono rivelarsi positive, perché quando la situazione si stabilizza e si vedono chi sono i vincitori, la società trae beneficio da quelle invenzioni», ha detto Bezos.

Secondo il fondatore di Amazon, probabilmente non c’è una maniera di arginare il corso degli eventi rispetto a quello che sta succedendo nella Silicon Valley, né si possono fermare i cicli sempre più frenetici di investimenti, indebitamenti e spese. Ma pare che tutti si siano resi conto che una bolla esiste. Quando (e se) esploderà, si perderanno molti soldi, ci saranno chiusure e fortune capovolte ma ciò che rimarrà sarà l’infrastruttura dell’AI, integrata in quasi ogni aspetto delle nostre vite e del nostro lavoro, moda inclusa.

Cautela e fiducia 

@kanekallaway This AI tool will help you build a brand from scratch #ai #artificialintelligence #tech #techtok #ecom #ecommerce #brand #clothingbrand #particlpartner original sound - Kallaway

Cautela e fiducia sembrano essere i due opposti sentimenti con cui CEO, professionisti interni del settore e anche grossi player come LVMH stanno affrontando l’arrivo di questa nuova tecnologia. Volendo rimanere solo nell’ambito della moda, la cautela deriva dal fatto che l’AI può aiutare in tante cose, ma al di là del rendere più efficienti certi progressi oppure ottimizzare l’engagement dei clienti, non c’è moltissimo che possa fare per sostituire veri lavori. Anzi, certe predizioni di due o tre anni fa su come l’AI avrebbe dovuto aggiungere centinaia di miliardi ai profitti della moda si stanno rivelando anche troppo ottimistiche

Il che è anche il motivo per cui un investimento in AI come quello fatto da LVMH riguarda la costruzione di una libreria di algoritmi modulari, che potremmo immaginarci come una specie di “cassetta degli attrezzi” da poter usare da soli o in combinazione per specifiche esigenze dei vari brand. Anche qui, nulla che riguardi direttamente il design, la creatività o l’aspetto tangibile dell’esperienza che la clientela ha con i brand. Che poi è ciò che fanno i brand indipendenti, che sfruttano l’AI come un cervello per elaborare e interpretare dati e inventari. Tutto il resto di ciò che si dice, da guardaroba digitali a designer cibernetici, è più o meno ancora nel reame della fantascienza.

La fiducia, e questa è la nota fondamentale, deriva dal fatto che certe funzioni interne, di gestione della supply chain e della produzione possono davvero essere semplificate dall’AI. Questa tecnologia è vista con ottimismo perché, un po’ come un nuovo media, al pari di Instagram o di Internet nel passato (anche lì ci fu una disastrosa bolla, quella del dot-com) potrà cambiare per sempre come si gestiscono grandi imperi e piccoli progetti. Servirà ovviamente risolvere prima il problema ambientale e di risorse, ma non sembra che l’AI ci porterà a una moda meno umana o meno interessante di quella che conosciamo. Per quello sono responsabili gli uomini d’affari. In fondo, il destino trascina chi non lo segue.

Takeaways

- Nel 2025 l'AI è entrata nelle nostre vite, ha creato potenzialità enormi per la quotidianità ma ha generato timori per l'impatto su un mercato del lavoro fragile, specialmente nella moda colpita da una crisi durissima con licenziamenti e una nuova mentalità dell'efficienza.

- La bolla speculativa dell'AI è emersa come rialzo irrazionale di prezzi da entusiasmo collettivo, seguito da un crollo, mentre l'AI non ha portato i profitti sperati.

- Produttori di chip e tech companies hanno investito l'una nell'altra gonfiando prezzi; OpenAI non ha mai registrato utili, ha bruciato 12 miliardi tra luglio e novembre 2025 restando in perdita dal 2022, con costi di server e ricerca che hanno superato i guadagni.

- Microsoft ha pompato miliardi in OpenAI per crescita rapida, OpenAI ha comprato chip Nvidia che ha reinvestito in startup come CoreWeave, creando un circolo che ha gonfiato valori (Nvidia a 4,5 trilioni, OpenAI a 500 miliardi) senza profitti, basato su anni di vantaggio AI.

- La domanda Nvidia è stata artificiale per l'ecosistema circolare; una recessione o guerra commerciale ha fatto collassare la bolla sotto 1,5 trilioni di debito entro tre anni (Morgan Stanley), con Barclays che ha abbassato il rating di Oracle (debito 111,62 miliardi, 5:1 debt-to-equity) e Altman incapace di spiegare 1,4 trilioni di costi computing.

- Michael Burry ha scommesso contro Nvidia e Palantir con 9,2 milioni di put options per 240 milioni di guadagno (2600% ritorno), poi ha chiuso il fondo de-registrandolo come nel 2008, definendolo "protocollo Cassandra".

- Il mercato AI fashion ha raggiunto 1,75 miliardi nel 2025 (crescita 39,2%, The Business Research Company), con McKinsey che ha rilevato il 50% dei dirigenti favorevoli all'AI generativa per prodotti innovativi, priorizzando marketing, design e logistica.

- L'82% dei consumatori ha voluto AI per uno shopping più veloce; un gruppo come LVMH ha usato l'AI per dati unificati e raccomandazioni, Moncler per video 3D (+49% engagement) e Swarovski per portali generativi, semplificando burocrazia e supply chain senza sostituire la creatività, offrendo ai brand piccoli più tempo per engagement emotivo.

- Bezos ha definito la bolla AI "industriale" e potenzialmente positiva: esplosa, ha lasciato vincitori con infrastrutture durature integrate nella vita, inclusa la moda.

- Cautela e fiducia hanno guidato il settore: l'AI ha semplificato funzioni interne come la supply chain, ma predizioni su profitti da centinaia di miliardi si sono rivelate ottimistiche; ha richiesto prima risolvere l'impatto ambientale, lasciando la responsabilità umana agli uomini d'affari.