A Guide to All Creative Directors

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Capire l'ossessione per condividere la posizione online

E perché è stato normalizzato fare sapere agli altri dove ci troviamo

Capire l'ossessione per condividere la posizione online E perché è stato normalizzato fare sapere agli altri dove ci troviamo

Fino a pochi anni fa, la condivisione costante della propria posizione geografica attraverso app come Dov’è su iPhone veniva percepita, in determinati contesti, come un potenziale campanello d’allarme. In alcune circostanze, questa pratica nascondeva una forma di controllo più o meno esplicito da parte del partner o dei familiari, spesso giustificata da motivazioni legate alla trasparenza nella coppia o alla sicurezza. L’abitudine di monitorare in tempo reale gli spostamenti dell’altra persona evidenziava – e in parte è ancora così – dinamiche relazionali problematiche, rivelando una mancanza di fiducia reciproca, un bisogno di rassicurazione costante o, nei casi più gravi, una vera e propria invasione della privacy. Quello che poteva sembrare un gesto innocuo non di rado finiva per diventare, soprattutto nelle relazioni amorose, una forma di sorveglianza normalizzata. Nel contesto familiare, invece, la condivisione della posizione è stata talvolta utilizzata dai genitori per proteggere i figli adolescenti o giovani adulti, con l’intenzione dichiarata di garantire la loro sicurezza. Tuttavia, anche qui la linea tra cura e controllo si è spesso rivelata sottile. Se da un lato può essere rassicurante sapere dove si trovano i propri cari, dall’altro la tracciabilità continua può compromettere l’autonomia individuale e alimentare una relazione basata sulla sorveglianza più che sul dialogo e sulla fiducia.

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Con il tempo, la percezione di strumenti come Dov’è di Apple, Family Link di Google, Life360 o Findmykids, tra gli altri, è decisamente cambiata. Oggi, il loro utilizzo è sempre più normalizzato e contestualizzato all’interno di dinamiche relazionali consapevoli e trasparenti. In sostanza, la condivisione della posizione in tempo reale con amici e familiari è diventata un'abitudine sempre più diffusa, anche in Italia, soprattutto tra i più giovani, per i quali rappresenta ormai una prassi quasi del tutto sdoganata all’interno delle dinamiche sociali e affettive. A tal proposito, il sito The Conversation – una piattaforma di approfondimento accademico fondata in Australia e attiva anche negli Stati Uniti – riporta che, in molti casi (ma soprattutto per i genitori), la condivisione della posizione risponde a un bisogno psicologico: consente di sentirsi più rassicurati e di gestire l’incertezza del quotidiano. Anche solo in linea teorica, avere la possibilità di conoscere in ogni momento la posizione dei propri cari rappresenta, per molte persone, una fonte di tranquillità, nella convinzione che sia possibile intervenire più rapidamente in caso di emergenza o necessità.

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Nel contesto familiare, il desiderio di avere sempre accesso alla posizione dei figli nasce spesso da un bisogno di controllo da parte dei genitori, alimentato dalla percezione – sempre più diffusa – che il mondo esterno sia pieno di pericoli. Questa percezione, però, può essere fuorviante: molti genitori tendono a confondere i pericoli reali con i rischi potenziali. Al contrario, affrontare possibili fonti di rischio è una componente essenziale dello sviluppo, perché aiuta i bambini e gli adolescenti ad alimentare la fiducia in sé stessi e ad affrontare le paure. Il problema nasce quando questo tipo di controllo persiste anche con la crescita, in momenti in cui la richiesta di autonomia e indipendenza diventa fisiologica. In questa fase, monitorare costantemente gli spostamenti dei figli può risultare controproducente: anziché trasmettere sicurezza, può aumentare la fragilità, minare la fiducia reciproca e ostacolare la capacità dei figli di prendere decisioni da soli. Il rischio pedagogico è che la geolocalizzazione costante sostituisca strumenti più costruttivi come il dialogo e la progressiva responsabilizzazione.

Inoltre, sapere dove si trova una persona non equivale automaticamente a garantirne la sicurezza. La condivisione della posizione può offrire un’illusione di protezione, ma senza una relazione di fiducia e comunicazione rischia di diventare un gesto di per sé vuoto o, peggio, oppressivo. Soprattutto nei legami affettivi, questa abitudine può trasmettere il messaggio implicito che controllare il proprio partner sia normale o persino necessario, contribuendo a normalizzare una forma di sorveglianza relazionale. Dinamiche del genere, se interiorizzate in famiglia, rischiano di essere replicate in età adulta all’interno delle relazioni sentimentali. La condivisione della posizione può certamente essere utile in situazioni specifiche, ad esempio quando c’è una reale condizione di pericolo, ma in altri casi può trasformarsi in uno strumento di controllo coercitivo, specie nei contesti in cui sono presenti abusi. Alcune donne, in particolare, possono faticare a riconoscere la geolocalizzazione continua come una limitazione della propria libertà e riservatezza, soprattutto se tale comportamento è stato normalizzato.