
Gli sportivi sono i nuovi hypebeast Il mercato delle sneaker è cambiato e con esso anche la clientela
C’è stato un momento, tra la fine degli anni 2010 e l’inizio di questa decade, in cui migliaia di ragazzi passavano ore davanti allo schermo nel tentativo di “coppare” l’ultimo drop su SNKRS, l’app ufficiale di Nike. Era l’epoca delle Jordan 1, delle Dunk Low e delle collaborazioni con Travis Scott o Off-White, in cui una sneaker non era solo una scarpa ma un passaporto sociale. Si chiamavano hypebeast o, nella loro versione più purista, sneakerhead. Avevano GOAT e StockX tra i preferiti, facevano resell come piccoli broker del lusso e costruivano la loro estetica sui feed di Instagram, alimentati dalla trap americana e dalle divise di Supreme, Palace e BAPE.
In quegli anni, gli hypebeast erano una subcultura dominante: il punto d’incontro tra strada e lusso, predecessori diretti dei maranza, dell’estetica Opium e degli Hedi Boys. Poi, con la pandemia, qualcosa si è incrinato. Le sneaker hanno perso la loro aura di desiderio e, insieme a essa, la logica che le sorreggeva. Non si trattava più solo di modelli o silhouette passate di moda, ma del loro significato. Spendere 300 euro per un paio di scarpe da non indossare più non sembrava un gesto aspirazionale, ma un vezzo fuori contesto. Chiusi in casa, con una nuova attenzione verso la praticità, la natura e il comfort, i consumatori hanno cominciato a vedere le sneaker come simbolo di un’epoca iperconsumistica da cui volevano prendere le distanze.
Il gorp-core ha ucciso l'hype
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Il risultato è che, oggi, l’hype non muove più il mercato come una volta. Nike, il brand che più di tutti aveva costruito l’architettura di quel desiderio, ne sta pagando le conseguenze. Negli ultimi dodici mesi, le vendite globali del colosso americano hanno registrato un calo del 10% rispetto all’anno precedente, con un fatturato di 46,3 miliardi di dollari. Il trimestre più recente ha mostrato una flessione ancora più netta: -12% nei ricavi totali e -14% nelle vendite dirette tramite SNKRS e canali retail propri. Numeri che raccontano la fine dell’era in cui un drop bastava a mandare in crash un’app o a creare code chilometriche fuori dai negozi.
Negli ultimi anni, mentre l’hype culture rallentava, un nuovo tipo di desiderio ha iniziato a emergere: quello per la funzionalità autentica. Come ha sottolineato Business of Fashion, i brand gorp-core come Salomon, On, Hoka o Saucony stanno guidando una transizione culturale che unisce moda e performance in un unico linguaggio. Non si tratta più di scegliere tra estetica e funzionalità, ma di trovare un equilibrio tra le due. Guillaume Meyzenq, CEO di Salomon, ha spiegato che il pubblico urbano di oggi è pronto a scoprire la dimensione tecnica del brand, abituato ormai a muoversi tra città e outdoor con la stessa fluidità.
Secondo i dati di Circana citati da BoF, nel 2025 le vendite globali di sneaker performance sono cresciute del 6% da gennaio ad agosto, mentre quelle lifestyle si sono fermate al 4%. Anche Nike, che per anni ha dominato l’immaginario street, sta correggendo la rotta: meno Dunk e collaborazioni moda, più modelli tecnici e innovativi, in particolare nel running e nel basket. Il brand ha rilanciato linee ispirate agli anni ’70, ma con tecnologie contemporanee, cercando di riconnettersi alla sua identità originaria di marchio per atleti.
Il mercato delle sneaker oggi
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— Jenesse (@jenesse) March 14, 2024
Oggi, il mercato si trova in una fase di ridefinizione profonda. I brand che avevano costruito la loro forza sull’esclusività stanno cercando nuove forme di rilevanza. Le sneaker di oggi devono davvero funzionare, non solo sembrare performanti. Chi le acquista non si accontenta più di “vestire” lo sport, ma vuole sentirsi parte di un movimento autentico, anche solo nei piccoli gesti quotidiani. Come ha spiegato un ex dirigente Nike a Business of Fashion, il consumatore contemporaneo cerca un equilibrio tra stile e praticità, una scarpa che possa essere indossata con la stessa facilità al bar, in palestra o durante un’escursione. Allo stesso tempo, l’estetica sportiva si è evoluta, diventando più sofisticata e trasversale, capace di unire l’attenzione per la forma a quella per la funzione.
L’hype, che per anni è stato la principale valuta culturale della streetwear economy, non basta più a sostenere le vendite né a generare appartenenza. Il consumatore post-hypebeast non compra più per farsi vedere, ma per sentirsi parte di qualcosa di concreto, funzionale, sostenibile. Nike lo ha capito e il suo recente ridimensionamento delle release lifestyle ne è la prova: il brand sta tornando alle origini, puntando su performance, innovazione e storytelling legato all’attività sportiva reale, non solo al desiderio estetico. Toccherebbe dire che gli hypebeast sono cresciuti e con loro anche le necessità di mercato. Chi una volta non dormiva per “coppare” ora investe sulle running shoe, forse è solo un segno dei tempi?














































