
Gli istituti tecnici sono la chiave per salvare il Made in Italy Formazione, lavoro e industria: il nodo dimenticato della moda italiana
La speranza della manifattura italiana non sta nei proclami del Ministero, ma nelle maestranze che trasformano il saper fare in orgoglio cittadino. In questa direzione si inserisce l’ITS TAM di Biella, che forma tecnici per il tessile e la maglieria con corsi gratuiti finanziati da fondi europei, colmando un divario sempre più evidente tra domanda e offerta di lavoro qualificato. Dalle inchieste sui subappalti, fino ai video TikTok dei maltrattamenti degli operai nel Pratese, abbiamo assistito a casi diventati virali. Ma una speranza c’è. Il problema è complesso, ma due aspetti aiutano a inquadrarlo meglio.
Il primo è storico: il “Made in Italy” come comunicazione, nasce da un'invenzione americana per rilanciare il nostro paese come brand. Ha funzionato per trent’anni, finché, tra la metà e la fine degli anni ’90, arrivarono le joint venture, cioè accordi tra imprese italiane e realtà straniere. Per gli imprenditori significarono guadagni enormi, ma per i loro eredi un futuro incerto. Interi distretti e i loro migliori operai furono mandati per anni in Asia e in altri paesi a basso costo di manodopera, per trasferire competenze, standard qualitativi e persino macchinari. Da lì, la produzione iniziò a spostarsi sempre più all’estero: costi ridotti ma competenze antiche, ed un “Made in Italy” che intanto perdeva sostanza.
La seconda è culturale: l’allontanamento dei giovani dai ruoli nelle fabbriche. Il mito creativo ha separato chi progetta da chi realizza, generando un enorme gap tra artigiani e designer. La narrazione sbagliata sulle aziende manifatturiere, fatte di aree provinciali del paese e l’idea di fabbriche grigie e tristi, ha spinto molti ragazzi verso università private di moda, mettendo il lavoro sulle immagini al centro con ripercussioni anche nel campo industriale, spesso con corsi astratti e poco utili in un mercato creativo del lavoro ormai logoro. Facendo sì che ci dimenticassimo che il fatto in Italia nasce proprio quando le aziende tessili iniziano a dialogare a stretto contatto con creativi italiani.
Ma non tutti i distretti italiani hanno fallito, alcuni, come il distretto tessile del Biellese, ogni anno, attirano tantissime figure da tutto il mondo che vogliono imparare e conoscere al meglio il mondo dei tessuti, i processi industriali che si celano e le modalità di gestione aziendale. Questo territorio, come tutti i distretti industriali italiani, tiene insieme natura e lavoro. Qui hanno messo radici i giganti come Ermenegildo Zegna, Piacenza e tanti altri lanifici che ancora producono i tessuti di lana tra i migliori al mondo. Ma non solo: questo territorio ha creato anche figure diventate leggenda del Made in Italy, quello vero.
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Una su tutte Nino Cerruti, che a vent’anni ereditò il Lanificio F.lli Cerruti, tornato soltanto nel 2022 sotto proprietà italiana, come sottolinea Il Sole 24 Ore. Il signor Nino, e altri come lui, hanno dimostrato che si può influenzare il mondo intero partendo dalle montagne piemontesi, da luoghi che sembrano fatti per guardare solo verso se stessi. È una lezione che gli istituti tecnici italiani raccolgono, con ottimi risultati soprattutto nelle regioni dei distretti industriali. Oggi le aziende manifatturiere cercano giovani pronti a rimettersi in gioco. Se da un lato le imprese hanno l’obbligo di svecchiarsi, dall’altro senza nuove generazioni rischiano di non esistere più. Veneto, Piemonte, Lombardia, Emilia, Puglia, Umbria, Campania e Marche restano i poli principali, territori che per decenni sono stati invidiati nel mondo.
Paola Fini, docente di project management, educazione finanziaria e marketing al TAM di Biella, evidenzia quanto sia indispensabile affrontare anche i nodi economici. L’interesse da parte dei ragazzi è alto. Per lei, la manifattura non può fermarsi al saper fare ma deve includere la capacità di leggere i processi economici e organizzativi che li sostengono. Solo così i futuri professionisti potranno muoversi con consapevolezza in un settore che richiede non soltanto mani esperte, ma anche teste in grado di gestire risorse e responsabilità.
ragazzi non fate un liceo, fate un istituto tecnico, con un diploma di liceo ti ci pulisci il culo e l’università la puoi fare anche con un diploma di istituto tecnico
— federico (@loustian) September 21, 2021
A questa visione si lega anche Mirco Giansetti, collaboratore di TAM e CEO di T.C.P. Engineering, che richiama un dato importante: entro il 2035 il tessile europeo avrà bisogno di oltre 600.000 nuovi professionisti, molti con competenze in sostenibilità, digitalizzazione e gestione dei processi. Il problema è che oggi sono ancora troppo pochi i giovani che scelgono percorsi tecnico-professionali, e questo rischia di lasciare scoperte molte posizioni. Uno squilibrio che potrebbe diventare critico per il futuro del Made in Italy.
Per Giansetti, il ruolo degli ITS è riaccendere l’interesse verso questi mestieri, mostrando agli studenti cosa c’è dietro ogni capo, dallo studio di nuove fibre alla chimica sostenibile, dal controllo qualità alla gestione dei processi produttivi. Un segnale positivo però c’è: negli ultimi anni, anche grazie a progetti di orientamento e all’attenzione crescente verso la sostenibilità, si sta risvegliando un certo interesse per le discipline tecniche.













































