
A che punto siamo con la moda coreana? Oltre l’ecosistema di Gentle Monster, c’è un intero mondo da scoprire
Negli ultimi cinque anni, della Corea del Sud si è parlato moltissimo, grazie soprattutto all’ascesa del k-pop e all’inserimento degli idol nel fashion system, oltre al dominio dei prodotti cosmetici e skincare nel settore beauty. Eppure, nonostante le star coreane occupino costantemente le front row alle sfilate delle fashion week, i talenti coreani nel sistema moda non sono ancora riusciti a colmare completamente il divario geografico, riscuotendo in Occidente lo stesso successo ottenuto sul mercato domestico. Sebbene esistano esempi di successo come l’ecosistema di Gentle Monster, che dopo aver dominato il settore eyewear si è espanso nella profumeria con Tamburins e, più recentemente, nel mondo degli accessori headwear con ATiiSSU, molti nomi della moda coreana restano ancora relativamente sconosciuti in Occidente, nonostante il Paese goda di un appeal simile a quello che aveva il Giappone quindici anni fa. Infatti, negli ultimi tre anni, secondo Bloomberg, le ricerche globali su Google legate alla moda coreana sono aumentate del 200%, segno tangibile di un interesse in forte crescita da parte del pubblico internazionale. Un picco significativo è stato registrato nel marzo 2025, quando, secondo i dati di Accio, le ricerche per la parola chiave «Korean fashion» hanno raggiunto un indice di 83 su 100. Con la recente partecipazione di Post Archive Faction come guest designer al Pitti Uomo e l’apertura del primo store europeo di Gentle Monster presso 10 Corso Como a Milano, diventa naturale chiedersi: a che punto siamo con la moda coreana? Per capire meglio come viene percepito lo stato della moda coreana dall’interno del fashion system, abbiamo intervistato Yumi Choi, celebrity stylist e fashion director per gruppi k-pop come le NJZ (in precedenza NewJeans).
La creatività non manca
Dalle passerelle delle big four allo sportswear, fino al fast fashion, i brand coreani continuano a evidenziare come il loro principale punto di forza rimanga una profonda connessione con le subculture e le estetiche di Seoul. È difficile, infatti, trovare competitor diretti tra questi brand, dato che ciascuno si rivolge spesso a target molto diversi. «Personalmente non ho mai pensato che la moda coreana sia solo incentrata sul concetto. Lo vedo piuttosto come una delle tante direzioni che convivono qui. Certo, esistono molte proposte stilistiche che si muovono attraverso il concetto o le sfumature emotive, e credo che anch’io, in modo naturale, sia stata influenzata da quest’atmosfera», spiega Choi, sottolineando come il valore espressivo e l’intensità visiva siano elementi chiave nella moda coreana. Secondo Choi, più che di sottovalutazione da parte dell’Occidente, si tratta di una differenza di linguaggio visivo e sensibilità emotiva: «Viviamo in un’epoca in cui tutto è connesso digitalmente e in tempo reale, quindi non è più una questione di ritardi temporali. Però penso che esistano ancora sottili differenze di ritmo e di tono emotivo, ed è proprio questa distanza a dare alla moda coreana la sua identità specifica».
Choi ha inoltre osservato come le forme più interessanti di espressione creativa oggi provengano da realtà più piccole, spesso indipendenti, che lavorano sottotraccia costruendo un linguaggio intimo e sofisticato. Se per esempio ADERERROR ha fatto del glitch e dell’errore visivo il suo linguaggio stilistico, Matin Kim punta la sua intera direzione creativa su una femminilità sobria, minimalista e wearable, con capi essenziali che riflettono l’estetica di una Seoul moderna. A cavallo tra due mondi invece c’è ADSB Andersson Bell, che trova ispirazioni kitsch e colorate, ma le adatta al classico layering intrinsecamente coreano. L’elemento distintivo dei brand coreani emersi negli ultimi anni è la loro capacità di costruire universi estetici coerenti, profondamente radicati nelle estetiche locali, pur mantenendo una visione globale. La differenza principale rispetto al sistema moda occidentale è che, grazie a una tale differenziazione creativa, non esiste la stessa dinamica competitiva interna: i brand riescono a crescere parallelamente, ognuno coltivando un portfolio di clienti fidelizzati che non si legano solo al prodotto, ma all’universo estetico e narrativo del marchio. Tra le voci emergenti che riflettono questa sensibilità, ha indicato brand come GOOMHEO, capaci di tradurre l’emozione in estetica, intrecciando storytelling e forma in modo coerente e personale. Per chi, come lei, è cresciuta all’interno della complessità culturale coreana, questo tipo di sensibilità rappresenta non solo una cifra identitaria, ma anche una direzione futura per la moda della penisola.
Il mercato è ancora acerbo?
Se in Occidente l’ondata coreana non ha ancora travolto il sistema moda con la stessa intensità con cui ha trasformato l’industria musicale o quella beauty, è innegabile che in Asia la Corea del Sud abbia ormai monopolizzato un’intera generazione di consumatori, costruendo un ecosistema moda profondamente digitale, interconnesso e sempre più competitivo a livello globale. Come riporta KoreaTechDesk, un segnale concreto di questa traiettoria arriva dal recente investimento del colosso cinese Alibaba, che ha acquisito una quota del 5% di Ably Corporation, piattaforma leader nel fashion commerce femminile in Corea del Sud. L’operazione da 100 miliardi di won (circa 71 milioni di dollari) ha portato Ably a una valutazione da 3 trilioni di won (2,1 miliardi di dollari), rendendola il primo unicorn coreano del 2025.
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Anche Musinsa, piattaforma leader dell’e-commerce moda coreano (simile per stile operativo ad ASOS), sta espandendo le proprie operazioni fuori dai confini nazionali. Il Korea Times a giugno ha raccontato che, dopo aver costruito un’offerta di circa 8.000 brand coreani sulla propria piattaforma e-commerce, l’azienda ha annunciato l’apertura di store fisici in Cina e Giappone con l’intenzione di estendere il proprio raggio d’azione anche in Europa e Medio Oriente. Il progetto intende offrire un servizio integrato per i brand partner, dal marketing alla logistica, fino alla gestione operativa nei mercati locali. Un modo per garantire una presenza - oltre grazie alla distribuzione in boutique - a centinaia di brand indipendenti locali. Parallelamente, anche i dati economici confermano la solidità strutturale del settore. Invest Korea sottolinea come le esportazioni di abbigliamento sudcoreano siano cresciute del 4,4% dal 2010, un risultato importante se si considera la forte concorrenza asiatica e le turbolenze del commercio globale. Sul fronte interno, invece, il mercato moda coreano è oggi stimato attorno ai 49 trilioni di won (circa 35 miliardi di dollari), con un tasso di crescita annuo del 2-3%, trainato in particolare dal casual wear e dallo sportswear, come riportato da GoOver.
L’evoluzione tra passato, presente e futuro
Secondo l’analisi di Business of Fashion, la forza della moda coreana risiede proprio in questa struttura ibrida, che da un lato vede un’identità stilistica distintiva e dall’altro una capacità tecnologica, produttiva e commerciale che pochi mercati al mondo riescono a eguagliare. In un contesto globale sempre più attento al rapporto tra creatività e accessibilità, il K-fashion offre un equilibrio raro: prodotti ben realizzati, con materiali di qualità, proposti a prezzi contenuti ma ancora aspirazionali. Un posizionamento che, a differenza di molte Maison europee, riesce a mantenere un linguaggio contemporaneo, che parla direttamente alle nuove generazioni, senza sacrificare qualità o visione. A rafforzare questa percezione c’è anche Choi che ha raccontato come la principale differenza tra il sistema moda Occidentale e quello coreano risieda più nel ritmo che nella metodologia: «Se da un lato le grandi Maison europee si muovono con lentezza e struttura, Seoul segue un ritmo completamente diverso: intuitivo, veloce, quasi istintivo. La scena coreana è capace di generare un’energia particolare, che amplifica la concentrazione e affina i sensi.»
gentle monster currently has more than 100 in-house artists [incl. haus dosan, nudake & tamburins] who specialize in spatial art, including architecture, interior design, sculpture, media art, engineering, pottery, robotics, and kinetic art [...] pic.twitter.com/PdeKBWlxoK
— N (@maigosia) December 17, 2023
Un’energia che, secondo Choi, affonda le sue radici nella storia del paese: «Penso che l’unicità dello styling coreano derivi da una profonda consapevolezza emotiva e da un’altissima capacità di adattamento. La Corea ha attraversato moltissimi cambiamenti culturali in poco tempo, e questo ha creato una flessibilità che si riflette anche nel modo di vestire. Lo styling coreano spesso mescola contrasti: è audace ma delicato, futuristico e insieme nostalgico. Ed è proprio questa complessità a renderlo affascinante.» Un sentimento condiviso anche da Sorya Park, project manager per la Corea presso Daxue Consulting, che analizzando le prospettive di internazionalizzazione del settore ha spiegato a BoF che «Sarà una sfida per molte aziende coreane espandersi all’estero, ma la nostra storia dimostra che sappiamo adattarci: abbiamo costruito un’economia moderna in pochissimo tempo.» Resta quindi da capire se la traiettoria della moda coreana sarà un processo lento e strutturato oppure un boom accelerato, come quello economico che ha trasformato il paese negli anni ’80 e l’ha reso oggi l’egemonia culturale di un’intero continente. In entrambi i casi, sembra proprio che il potenziale ci sia e si muove velocemente.














































