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Alla moda conviene davvero pensare solo agli ultra-ricchi? Il panorama dei consumatori del lusso sta cambiando

Per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008, escludendo il boom post-pandemia, il mercato globale del lusso ha registrato una contrazione dell’1%, come riporta il recente report True-Luxury Global Consumer Insights 2025 firmato da Boston Consulting Group e Altagamma. Il dato segna un nuovo inizio per un settore che, dopo un rimbalzo tra il 2021 e il 2023, sta ora entrando in una nuova fase definita di “reset”, dominata da incertezza e domanda altalenante. L’iniziale crescita del lusso, quella dei primi anni 2000 conclusasi con il tracollo finanziario del 2008, era stata alimentata da una crescente democratizzazione della moda e da un’espansione della base dei consumatori che aveva aperto le porte ai clienti aspirazionali che, coi loro numeri, avevano alimentato strepitose vendite. Oggi, però, non solo il contesto macroeconomico è diventato più instabile, ma le dinamiche di consumo si stanno riconfigurando, principalmente grazie al nuovo protagonismo del lusso esperienziale: i clienti cercano sempre meno il possesso e sempre più emozioni, momenti da ricordare, autenticità e un maggior value-for-money. Il che significa che il sistema della moda dovrà decidere su chi scommettere, se sulle molte vendite dei clienti aspirazionali o le poche, ma importantissime, dei clienti top-tier. Al momento si propende su questi ultimi - ma alla moda conviene davvero pensare solo agli ultra-ricchi?

@fabricateurialist Luxury fashion price increases and how they correlate to revenue growth #luxuryfashion #lvmh #hermes #brunellocucinelli #kering #greenscreenvideo original sound - Fabricateurialist


Alla base della crisi che sta mandando la moda nel panico c’è una radicale alterazione nel panorama globale dei consumatori. In primo luogo, c’è la diminuzione dei consumatori cinesi del lusso, passati dal rappresentare il 33% della spesa globale nel 2019 al 25% nel 2024 - una cifra che dovrebbe ridursi di un ulteriore 5% quest’anno, a causa dall’andamento dell’economia del paese. Ma è la progressiva scomparsa dei consumatori aspirazionali, ad ogni modo, a rappresentare al momento uno dei problemi più grandi per il lusso. Storicamente la base più ampia del settore, sono passati dal rappresentare il 74% della spesa globale nel 2013 al 61% nei prossimi mesi. Come spiega il report, a causa degli aumenti dei prezzi, della perdita di valore percepito e di una maggiore prudenza finanziaria il 35% dei consumatori aspirazionali ha già ridotto o sospeso la propria spesa per beni di lusso negli ultimi 12 mesi, e il 65% prevede di mantenerla stabile o ridurla ulteriormente nell’anno successivo. È normale che i clienti aspirazionali siano spariti: con un budget annuale per lo shopping di lusso sotto i 5mila euro, tendono a spendere quando le economie nazionali sono forti, laddove i clienti più ricchi tendono a spendere in maniera anticiclica, e cioè a prescindere dalle fluttuazioni del mercato, rafforzando la loro posizione anche in periodi di crisi. 

Un cambio alla base clienti

Un terzo dei clienti aspirazionali ha riallocato il proprio budget verso altre categorie: il 22% verso risparmi o investimenti finanziari, il 13% verso trattamenti di benessere e longevità, un altro 13% verso il lusso second-hand, il 12% verso tecnologia e innovazione, il 12% verso moda premium e fast fashion, il 10% verso hotellerie e ristorazione, il 10% verso arredamento e design, e l’8% verso altri settori. Ma se la spartizione degli acquisti da parte dei clienti meno abbienti sembrerebbe aver sbilanciato la piramide dei consumatori, in realtà la fetta di consumatori top-tier (la più piccola, che rappresenta lo 0,1% della popolazione ovvero 600mila individui nel 2024) è responsabile del 23% della spesa totale nel settore, pari a circa 236 miliardi di euro. Le fasce più basse, che includono sia gli aspirazionali che spendono dai 2mila euro in giù che i clienti entry-level, la cui spesa può andare dai 5mila ai 20mila euro all’anno, costituiscono ancora il 90% del mercato ma contribuiscono solo al 55% della spesa complessiva. Il lusso deve essersi dimenticato dei clienti aspirazionali proprio dopo aver osservato che, nel post-pandemia, i brand con una clientela composta per almeno la metà da consumatori aspirazionali hanno registrato un calo dei profitti, mentre quelli focalizzati sui clienti top-tier hanno continuato a crescere.

Mentre i consumatori d’élite, che rappresentano un terzo del mercato e la punta della piramide della clientela, continuano ad essere i principali obiettivi da inseguire per il lusso, la restante base si sta sgretolando, vittima di una policy commerciale esclusiva, dedicata interamente agli ultraricchi. A conferma di quanto l’intera piramide sia importante per il lusso, il report fornisce ulteriori dati che dimostrano che l’età di appassionati delle grandi firme si sta rimpicciolendo, con il  70% dei consumatori Gen Z che si identifica ancora con un brand in confronto al 67% dei Millennial e al 55% delle generazioni più anziane.  
 

Meglio una boutique o una spa?

I clienti top-tier hanno un potere d’acquisto annuo che supera i 50mila euro ma che spesso si spinge molto più in là. La loro centralità nel futuro del lusso è supportata da un aumento registrato costante dei super-ricchi mondiali (oltre 940mila nel 2024), la cui ricchezza aggregata passerà da 68 a oltre 103mila miliardi di euro. Il 46% di questa ricchezza è concentrato nel Nord America, seguito dall’Europa (24%) e dalla Cina (11%). Questa evoluzione implica una nuova sfida per i brand del lusso: intercettare e servire questi consumatori globali le cui abitudini di spesa, però, vanno ben oltre l’acquisto di beni personali. I top-tier spendono ogni anno una media di oltre 500mila euro, con una distribuzione che tocca categorie come gioielli e orologi (34%), trattamenti di benessere e longevità (21%), hotellerie e alta ristorazione (56%), automobili di lusso (36%), vini e spirits (66%) e arte e design (71%). Negli ultimi 18 mesi, la categoria “wellness & longevity” ha registrato un incremento dell’8%, con una previsione di ulteriore crescita del 10% nei prossimi 18 mesi. Anche design e arti figurative è cresciuta (+4% passati, +8% futuri), riflettendo un trend culturale sempre più diffuso: il benessere è il nuovo lusso. Abbigliamento e calzature stanno vivendo una fase di rallentamento, e i brand di moda non sono bravissimi a sedurre i clienti top-tier: oltre la metà lamenta di essere subissato da seccanti mail automatiche e l’89% si è espressamente lamentato della deludente qualità dei prodotti, anche quelli fatti su misura. Il che potrebbe forse spiegare perché i loro enormi budget stanno premiando spa di lusso, hotel pluri-stellati, investimenti artistici, automobili, iscrizioni a club privati e gioielleria, ma non abiti, borse e alcolici
 

Ma il lusso è pronto a decrescere?

@imperfectidealist Reply to @avtpark | Many luxury brands are still made in sweatshops, and many destroy unsold stock #luxurybrands #ethicalfashion #slowfashiontiktok Blue Blood - Heinz Kiessling

L'unico consiglio che viene dato ai brand, date le esigenze dei propri clienti, è quello di curare maggiormente le relazioni con gli ultra abbienti, facendole sembrare il meno transazionali possibile (in altre parole, bisogna farli sentire speciali) mentre non presta molta attenzione per il recupero degli aspirazionali, facendoli passare in secondo piano. Ma rinunciare a un’intera fascia commerciale potrebbe portare a una decrescita dei volumi in categorie come abbigliamento, profumi e accessori entry price, a meno traffico nei punti vendita, a una diminuzione del “buzz” digitale e alla successiva erosione del posizionamento di un brand nella cultura mainstream. È vero che investire sul top-tier consente di ottenere marginalità molto più alte, consumi più consistenti e continuativi, però fa lievitare i costi: questi clienti cercano autenticità ed eccellenza, richiedono non solo nuovi investimenti nel campo del “clienteling”, sistemi tecnologici che tengano traccia di tutti e un ripensamento generale di molti dei sistemi produttivi che dovrebbero dare una battuta d’arresto  alla massificazione dell’offerta e costringere i brand a spendere molti più soldi nella creazione di prodotti ancora più perfetti e preziosi. 

I grandi brand quotati in borsa sono disposti a far scendere i volumi e ad attendere che le marginalità salgano? Secondo i dati di un report del 2023 di Pambianco e PWC, il 78% della moda di lusso è prodotto in Italia, quindi cosa succederebbe se la produzione, come sta accadendo oggi, dovesse diminuire? Già da mesi, CNA Federmoda e CNMI fanno risuonare allarmi e chiedono investimenti al governo per un reparto la cui crisi è ampiamente documentata: nei primi tre mesi del 2025, le richieste per la cassa integrazione hanno visto un’impennata del 66% rispetto allo stesso periodo del 2024, un anno già problematico. In termini strategici, dunque, il lusso si trova davanti a un bivio: continuare a servire la fascia aspirazionale, per portare vantaggi in termini di volume e rilevanza culturale pur esponendosi a marginalità bassa e diluizione del brand, o rinunciare a questa fascia e focalizzarsi sul top-tier, per guadagnare in marginalità, autenticità, fedeltà e resilienza, pur comportando una riduzione di scala, nuovi e imprevisti investimenti per la cura, il tracciamento e la segmentazione dei clienti oltre che nel controllo della filiera e nella produzione che deve essere ineccepibile e nel tipo di costose esperienze che il mondo dei VIC richiede. Solo se i brand riusciranno a riposizionarsi correttamente sull’alta gamma il trade-off avrà funzionato. In quanti ci riusciranno?