A che punto siamo con il mercato dei falsi? Il tasto dolente del sistema moda persiste

A che punto siamo con il mercato dei falsi? Il tasto dolente del sistema moda persiste

Dupe, falsi, contraffazione. Sono termini che nel linguaggio del lusso suonano ancora come un tabù, una macchia fortemente difficile da rimuovere. Nonostante gli sforzi congiunti di Maison, tecnologie avanzate e interi team di esperti dedicati all’autenticazione, il mercato dei fake non solo resiste, ma evolve. Non si tratta tanto di quantità, ma in questo momento ormai si parla proprio di qualità. In teoria, tra l’esperienza degli addetti ai lavori e il costante progresso delle tecnologie di intelligenza artificiale, la contraffazione dovrebbe essere in netto declino, e invece sembra che siano proprio questi sforzi ad alzare l’asticella, spingendo chi produce falsi a perfezionarsi fino a rendere l’autenticazione una sfida sempre più sottile, anche in quei contesti dove un tempo bastava uno sguardo esperto. Il Giappone ne è l’esempio perfetto: considerato uno dei mercati di resale più affidabili al mondo, grazie a un sistema rigido di verifica noto come “kaitori”, il paese vanta di leggi anticontraffazione tra le più severe al mondo e procedure di controllo maniacali tra meticolose analisi della pelle, delle cuciture, dei numeri seriali, fino all’utilizzo di luci UV per identificare micro-dettagli invisibili a occhio nudo. Eppure, anche qui, qualcosa sta cambiando. Come ha spiegato poco tempo fa Vidyuth Srinivasan, CEO di Entrupy, al Japan Times, i falsi hanno ormai raggiunto un livello tale da rendere indistinguibili texture, finiture e persino l’aspetto opaco di alcuni materiali. Dettagli che un tempo erano segnali inequivocabili di falsificazione, oggi vengono riprodotti con un’accuratezza quasi chirurgica. Ma il problema non è solo tecnico: come riporta lo State of The Fake Report 2025, nel 2024, il tasso di falsi nel resale è rimasto stabile all’8,4%. Mentre le tecnologie avanzano, il falso diventa virale – con l’hashtag #dupe che ha superato i 6,3 miliardi di visualizzazioni su TikTok –  e inizia a essere percepito più una scelta che un inganno. Allora, com’è possibile che, dopo decenni di lotta, sia ancora così difficile debellare il mercato dei falsi?

I falsi sono sempre più al passo con i tempi

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Se è vero che la battaglia contro i falsi si combatte ormai su più fronti, i numeri raccontano una realtà lontana dal declino. Secondo l’ultimo report di Catawiki, marketplace internazionale online di aste, solo nel 2024 sono stati bloccati articoli contraffatti per un valore superiore ai 10 milioni di euro, in aumento del 20% rispetto a due anni fa. In Italia, i beni rifiutati prima ancora di arrivare sul marketplace ammontano a oltre 3 milioni di euro, con una concentrazione di falsi nelle categorie più esposte al collezionismo, dalla memorabilia calcistici (8,9%), musicali (8,06%), ma anche borse (5,34%), scarpe (3,60%) e accessori moda. A impressionare è anche la rapidità con cui certi segmenti si trasformano in terreno fertile per i contraffattori. Le carte Pokémon, per esempio, hanno registrato un incremento dei falsi del +172,60% in un solo anno, seguite da penne e accendini (+114,41%) e sneaker (+30,49%). Un fenomeno trasversale che non riguarda più solo il lusso tradizionale, ma si estende a ogni oggetto desiderabile, raro o evocativo. Nel frattempo, anche Entrupy, la piattaforma principale nell’autenticazione AI-based, conferma che il problema resta sistemico: nel 2024 il tasso di contraffazione rilevato su borse e sneakers è sceso solo marginalmente, passando dall’8,9% all’8,4%, mentre il volume assoluto di falsi non accenna a diminuire. 

Eppure, tra la fine del 2024 e la prima metà del 2025, il dibattito pubblico sembrava suggerire una svolta. Il concetto di digital passport, un sistema di tracciabilità integrato tramite chip NFC, pensato per garantire autenticità, provenienza e sostenibilità, è stato salutato come il nuovo standard del lusso responsabile. Maison e marketplace hanno iniziato a implementarlo, scommettendo su una tecnologia capace di certificare ogni oggetto dalla fabbrica fino al rivenditore finale. Ma la realtà, ancora una volta, è più sfumata. Durante il workshop Spot the Fake tenutosi a Milano, Lorenzo Altimani, fashion expert di Catawiki, ha mostrato come i superfake di ultima generazione riescono già a clonare anche i chip NFC. In alcuni casi, questi chip sono funzionanti e restituiscono persino una risposta positiva se letti da uno smartphone. La simulazione tecnologica è diventata parte integrante della strategia di inganno, trasformando lo strumento di tutela a illusione di garanzia. Se anche i sistemi più sofisticati possono essere imitati, diventa evidente che la tecnologia, da sola, non basta. Per questo Catawiki ha scelto un approccio misto, che integra l’analisi digitale con la valutazione professionale di un team specializzato. Ogni borsa, ogni oggetto, passa attraverso mani competenti prima di raggiungere l’utente finale.

Una questione culturale (ma anche economica)

@davidslifestyle6

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L’innovazione nel mercato dei falsi non dipende solo dalle tecniche produttive sempre più sofisticate, ma anche da un netto cambio di percezione culturale. Se fino a pochi anni fa essere scoperti con un oggetto contraffatto poteva provocare imbarazzo e stigma sociale, oggi la questione sembra del tutto normalizzata, soprattutto tra i giovani consumatori. Qualche mese fa, avevamo approfondito il fenomeno di DHGate, un marketplace cinese dedicato interamente ai cosiddetti dupe, copie 1:1 di altissima qualità. Non più prodotti approssimativi, ma repliche quasi indistinguibili dagli originali, disponibili a poche centinaia di euro, una frazione del prezzo retail ufficiale. Dietro a questa improvvisa popolarità c’è, almeno in parte, un contesto economico ben preciso. Secondo RetailBrew, infatti, l’aumento esponenziale delle tariffe commerciali tra Stati Uniti e Cina ha avuto (e continuerà ad avere) un impatto drastico sui prezzi di molti articoli di lusso. In risposta, le fabbriche cinesi hanno iniziato a puntare direttamente ai consumatori occidentali tramite piattaforme social, bypassando retailer tradizionali e dazi doganali.

A confermare la connessione tra dazi e aumento della contraffazione è anche Srinivasan, che sottolinea come l’applicazione di tariffe sempre più elevate, in particolare su beni di lusso provenienti dalla Cina,  ha contribuito a rendere molti articoli di brand noti semplicemente inaccessibili per una grande fetta di consumatori, spesso aspirazionali o comunque non fidelizzati. Di fronte a questa crescente pressione economica, è quasi inevitabile che una parte del pubblico inizi a cercare alternative più economiche, così da creare uno spazio fertile per l’espansione dei contraffattori. Il fenomeno è particolarmente visibile sui social, dove in pochi mesi sono esplosi contenuti che promuovono la possibilità di acquistare Birkin, Kelly, Boy Bag e tutte le principali borse delle Maison da presunti “produttori cinesi”. Il messaggio che passa è semplice – salta i rivenditori ufficiali, compra alla fonte e risparmia. Questi video presentano i prodotti come surplus originali provenienti dalle stesse fabbriche che servono i grandi brand internazionali, suggerendo implicitamente che si tratti degli stessi articoli, solo a un prezzo ridotto. Ma, come spiega ancora Srinivasan, si tratta di una narrazione solo in apparenza credibile e l’idea del “factory direct” è studiata per rassicurare il cliente e renderlo complice. In realtà, ciò che viene venduto non ha nulla a che vedere con gli originali, bensì sono falsi ben realizzati, confezionati con una comunicazione scaltra e adattata perfettamente al linguaggio dei social e delle nuove generazioni.

Il mercato dei counterfeit è la causa o solo un sintomo?

Per quanto Maison, marketplace e tecnologie di nuova generazione continuino a investire in strumenti sempre più sofisticati per combattere la contraffazione, dall’intelligenza artificiale a interi sistemi basati su blockchain, la verità è che questa guerra si sta combattendo sul fronte sbagliato. Il cuore del problema non è esterno all’industria, ma al suo interno, è infatti il sistema moda stesso ad aver creato le condizioni ideali per la proliferazione dei falsi. Negli ultimi anni, i prezzi di molti prodotti di lusso sono aumentati vertiginosamente, spesso in modo scollegato dalla qualità effettiva del prodotto, un mea culpa ammesso, non a caso, anche da Andrea Guerra, CEO del Gruppo Prada. Le logiche di esclusività, scarsità programmata e posizionamento hanno trasformato l’accesso al lusso in un percorso sempre più elitario, distante dalle possibilità economiche della stragrande maggioranza dei consumatori. In questo scenario, il falso non è più vissuto come un inganno, ma come un’alternativa legittima, un modo per partecipare simbolicamente a un’estetica e a un’identità collettiva che altrimenti sarebbe preclusa. All’interno dello State of the Fake Report, Srinivasan osserva come, oggi, comprare un falso sia diventato «quasi un atto di ribellione». Non significa più essere truffati, ma rifiutare i codici di un sistema che esclude e frustra: «Questi prezzi non fanno per me, questa economia non fa per me, ma voglio comunque ciò che desidero. Perché dovrei privarmene?». È un sentimento che trova piena espressione nei contenuti generati su TikTok e altri social, dove la diffusione di dupe, fake e “trucchi per risparmiare” è ormai capillare.

Quello che emerge, in fondo, è che il pubblico non si limita più a decodificare i segnali del sistema moda: è pronto a sovvertirli, che si tratti di regole economiche, sociali o di tendenza. Per quanto realtà come Catawiki o Entrupy riescano ogni giorno a bloccare migliaia di articoli contraffatti, la loro efficacia resta relativa, perché agisce sulle conseguenze, non sulle cause. È una corsa a ostacoli in cui il traguardo si sposta continuamente; ogni volta che nasce un nuovo sistema di verifica, i falsari imparano ad aggirarlo, spesso con una velocità impressionante. Finché il mondo del lusso non metterà in discussione il proprio modello, non solo sul piano etico o sostenibile, ma anche su quello economico e simbolico, la contraffazione continuerà a prosperare. Non come minaccia esterna, ma come risposta interna, uno specchio preciso e inquietante delle sue stesse contraddizioni.