
Louis Vuitton aumenta i prezzi in America
Ma tra il tira-e-molla delle tariffe, non si capisce quasi più nulla
24 Aprile 2025
Con discrezione molto francese, Louis Vuitton ha aumentato i prezzi di alcuni dei suoi prodotti più iconici negli Stati Uniti, incluso un rincaro di 100 dollari per la celebre borsa Neverfull GM, che ora costa 2.200 dollari: un aumento del 4,8% che arriva poche settimane dopo l’imposizione da parte degli Stati Uniti di un dazio del 10% sulle importazioni dall’Unione Europea. La mossa segna l’inizio di quella che potrebbe diventare una più ampia ondata di adeguamenti dei prezzi nel settore della moda, come risposta alle crescenti tensioni commerciali. Secondo alcuni analisti citati da BoF, l’aumento non è stato applicato uniformemente a tutti i prodotti Louis Vuitton. Alcune borse sono rimaste invariate, suggerendo che gli articoli prodotti nei laboratori americani del marchio possano essere esenti dai rincari legati ai dazi anche se sono giunte voci attendibili su come la produzione americana del brand stenti a decollare. Non di meno, la strategia dei prezzi della maison fa già capire come la moda intende procedere: i brand del lusso sono pronti a trasferire i costi aggiuntivi ai consumatori, soprattutto nei mercati dove la domanda e la forza del marchio restano forti. Gli Stati Uniti hanno rappresentato quasi un quarto delle vendite di LVMH nel primo trimestre del 2025. Louis Vuitton non è l’unica a muoversi in questa direzione.
Anche Hermès ha annunciato un aumento dei prezzi specifico per il mercato statunitense a partire dal 1° maggio. I dirigenti di Hermès hanno sottolineato che il rincaro è pensato esclusivamente per assorbire i costi dei nuovi dazi e non interesserà gli altri mercati. Il mercato americano è cruciale per Hermès, rappresentando quasi il 17% delle sue entrate nei primi mesi del 2025. Sebbene l’azienda abbia riportato risultati solidi nel primo trimestre, la crescita ha subito un rallentamento rispetto al trimestre precedente, complice anche una domanda più debole per orologi e profumi. All’estremo opposto del mercato, anche piattaforme di fast fashion come Shein e Temu stanno adottando misure simili. Entrambe hanno rilasciato comunicazioni sui propri siti USA avvertendo i clienti di imminenti adeguamenti di prezzo, dovuti all’aumento dei costi operativi legati ai dazi. Temu ha citato dazi fino al 145% sui beni provenienti dalla Cina, mentre Shein ha ribadito il proprio impegno a mantenere la qualità nonostante l’aumento delle spese. Questi cambiamenti evidenziano uno spostamento più ampio nel panorama del retail.
I dazi imposti dall’amministrazione statunitense iniziano a farsi sentire su molte categorie di prodotto – dalle borse di lusso all’abbigliamento low cost, fino all’elettronica e ai beni per la casa. I brand si vedono costretti a ripensare strategie di prezzo, catene di fornitura e modalità di comunicazione con i clienti. Una grandissima parte, tra fast fashion, piccoli brand indie e grandi giganti della moda, puntano sulla trasparenza, informando direttamente i clienti sui costi legati ai dazi. Altri stanno valutando una ristrutturazione dei budget marketing, spostando il focus da campagne di brand awareness a tattiche orientate alla conversione dei clienti più esitanti. Per i brand del lusso, la sfida è ancora più delicata: giustificare i rincari senza allontanare la clientela fedele, mantenendo al contempo la percezione di esclusività e valore. In un contesto commerciale incerto, le aziende del settore moda stanno facendo scelte calcolate. Se queste si riveleranno vincenti, dipenderà non solo dalle politiche economiche, ma anche dalla capacità dei brand di mantenere i clienti fedeli – e disposti a spendere di più.