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Nel primo giorno di Parigi, ha vinto la nostalgia

Dior e Saint Laurent guardano al passato

Nel primo giorno di Parigi, ha vinto la nostalgia Dior e Saint Laurent guardano al passato
Saint Laurent FW23
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Dior FW23
Dior FW23
Dior FW23

Ieri, Anthony Vaccarello ha portato in passerella un nuovo, stellare show per il suo Saint Laurent, consolidando ancora una volta il nuovo, elevato corso intrapreso dal brand. Nel mezzo di questo mondo notturno, incredibilmente cool, in cui ogni uomo sembra un dandy crepuscolare e ogni donna la femme fatale di un noir, campeggiava gigantesco il “vecchio” monogramma YSL – stesso monogramma che già da anni Vaccarello ha reintrodotto in categorie best seller del brand come borse e scarpe, e stesso monogramma che, rebranding a parte, rimane marchiato a fuoco nella memoria della clientela i cui vecchi abiti o i pezzi d’archivio di Yves Saint Laurent lo possiedono ancora. La decisione di erigere un logo gigante all’ingresso della passerella non è casuale, ma vuole creare un inequivocabile richiamo al passato in linea con il ruolo di «custodi» di «un brand che sopravviverà a tutti» che Francesca Bellettini, CEO di Saint Laurent, ha di recente sottolineato in un’intervista di System Magazine. Qualcosa di simile è accaduto anche da Dior per la cui nuova collezione, presentata con un set design forse più elaborato e spettacolare degli stessi look, Maria Grazia Chiuri si è ispirata agli anni ’50, modernizzando silhouette apparentemente vintage con stoffe intessute di micro-fili d’acciaio capaci di adattarsi al corpo di chi li indossa creando un equilibrio tra outfit ispirati alla Parigi del Christian Dior storico e portabilità e funzionalità moderne. E in una giornata in cui anche gli abiti fotocromatici di Anrealage parevano usciti da I Love Lucy, non si può fare a meno di pensare non solo che la contemporaneità abbia stancato, ma che abbia anche iniziato a crearci un certo disagio. 

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In questo momento, in cui le principali pubblicazioni di settore si domandano se fashion gimmicks, look scioccanti e messiscene mediatiche «non conducano alla banalizzazione della brand awareness», come leggiamo oggi su BoF, le grandi case di moda hanno una sola sfida: creare valore. Questo valore si può esprimere via via in maniere diverse, dalla cura artigianale, alla narrativa coinvolgente, alla pura qualità del design – ma questo valore è anche un valore che non è sempre in grado di trarre legittimità dall’oggi e deriva tutta la propria auto-importanza dal passato. Qui si evidenzia la contrapposizione tra estetica e profitto dato che quel passato glorioso non sempre è stato sinonimo di successo commerciale e viceversa il successo commerciale non dà misura dell'heritage, argomento che anche Bellettini ha toccato parlando con System e dicendo di sperare che «quando si parlerà di questo periodo della storia del brand, si parlerà del ruolo che ha avuto nell'eredità complessiva del marchio, e non solo della redditività». In effetti, ad esempio, quando il Gruppo Gucci, poi Kering, acquisì Saint Laurent ventiquattro anni fa, il brand si trovava in pessime acque – il passato è bello in fotografia ma peggiora alquanto quando si passa agli archivi della contabilità. E dopo aver sperimentato per più di un ventennio con la viralità, il cambiamento e la novità, sembra che le alte sfere dell’industria del lusso, quelle che includono i grandi nomi della moda mainstream commerciale, abbiano accettato che la categoria del “nuovo” è ormai esaurita e che quella del “futuristico” ha smesso di avere senso dato che il futuro che ci vediamo davanti non ha assolutamente nulla di utopistico, anzi.

Oltre a Kunihiko Morinaga di Anrealage, il cui primo uso della fotocromia risale comunque a dieci anni fa e dunque sembra futuristico ma non lo è davvero, i campioni del “nuovo” a Parigi sono stati i fratelli Juul di Heliot Emil, brand che al futurismo e all’innovazione tecnica (una giacca nello specifico può essere stylata in 55 maniere diverse a detta di Julius Juul) accompagnano sempre gli spettri di un’apocalisse prossima ventura. Non c’era nulla di allegro o speranzoso verso il futuro nell’immagine di un uomo in fiamme che solca la passerella, e persino il cane-robot apparso nella venue della sfilata appariva un rimando ai cyborg assassini a quattro zampe della puntata Metalhead di Black Mirror. È chiaro, in ogni caso, che la Paris Fashion Week è solo all’inizio: tante collezioni devono salire e scendere dalla passerella e già solo oggi queste tendenze emerse nel primo giorno della programmazione di Parigi potranno trovare nuovi esempi o essere contraddette. Se però le scelte dei grandi brand, sia di Milano che di Parigi, possono essere considerate indicative, prepariamoci a tentativi non tanto di ricopiare il passato, ma di crearne una continuazione ideale. Le grandi saghe, dopo tutto, non partono da capo ogni volta.