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Cosa significa davvero essere modelli

Quello che non tutti sanno di un lavoro che viene ancora ridotto a semplici stereotipi, raccontato dai diretti interessati

Cosa significa davvero essere modelli  Quello che non tutti sanno di un lavoro che viene ancora ridotto a semplici stereotipi,  raccontato dai diretti interessati

La prima cosa che viene in mente alla maggior parte delle persone, pensando a un modello o a una modella, è ancora l’immagine di un ragazzo o di una ragazza dai muscoli statuari e  dai lineamenti angelici, le cui doti fisiche gli hanno permesso di guadagnare tanti soldi senza fare “niente di che”. Sono queste le parole che  servono per riassumere in poche righe la superficiale e inesatta percezione che due persone su tre hanno del  lavoro di un talent. C’è chi esclude a priori che possa essere un impegno a 360°, c’è chi sostiene che si tratti sempre di compensi high-priced e chi si pone unicamente un problema: «Quindi ti lasciano tenere i vestiti?». Nessuna di queste domande, tiene conto dei ritmi e dei pericoli che corrono quelli che spesso sono solo adolescenti, né  tantomeno dei goal e dei diritti legittimi che a quegli stessi teenager (e non solo) vanno  riconosciuti. Nel 2017, la piattaforma Models.com spiegava How should models be treated, mentre il New York Times intervistava sei donne in diverse fasi delle proprie carriere in un articolo intitolato What it’s truly like to be a fashion model e nel 2018 è stato il turno di BBC, che ha posto lo stesso quesito del quotidiano statunitense. Oggi, molti aspetti segreti mai davvero raccontati sono stati svelati, soprattutto online. Eppure, nonostante negli ultimi mesi le questioni incentrate sul lavoro dei modelli siano state  all’ordine del giorno – in seguito al caso Alexander Wang o al documentario White Hot su Abercrombie & Fitch, c’è ancora molto da fare per sfatare i cliché associati a questa  professione. 

Premessa: per intraprendere una carriera da modello o da modella non esiste un percorso  diretto, ma ci sono delle linee guida che si possono seguire se si aspira a entrare in un’agenzia.  Si comincia con “le Pola”, come le chiamano tutti nell’industria di moda, poi si scatta in TF, un Free Test, che in altre parole è no-fee. Insieme agli agenti, si punta a costruire un book con gli scatti dei precedenti lavori per trovarne di nuovi, a partecipare ai casting e a posare per clienti o stylist. Capita di viaggiare per moltissimi posti diversi, come succede da circa tre anni a Samir Ali, che ci scrive: «Ho avuto la fortuna di visitare posti che molto probabilmente non avrei mai visitato se non  fosse stato per il mio lavoro, e questo è il motivo per cui lo amo così tanto. Per citarne alcuni,  ho lavorato in Italia, Francia, Germania, Spagna, Norvegia, Svezia, Danimarca». Samir, che ha in programma di lavorare in Asia e negli USA, è stato “scoutato” su Instagram nel 2019. Allora viveva a Londra in un rifugio per senzatetto, dettaglio rivelato al suo agente mesi dopo. Prima di essere ingaggiato non sapeva nulla a riguardo e, consapevole che le persone che non appartengono al settore sanno poco o niente di come  si svolgono le sue giornate, rimane sempre disponibile a rispondere a tutte le domande. Open-minded anche rispetto al proprio futuro, ritiene interessante entrare nel mondo della  recitazione (viene dal quartiere di Peckham e ha sempre ammirato l’attore di Star Wars John  Boyega, anche lui di Peckham) e, a chi ambisce a «entrare nel business» vorrebbe dire «di essere coraggiosi, essere fiduciosi, conoscere chi siete e rimanere fedeli a voi stessi». 

Restare se stessa è stata la chiave di volta anche per Lila Braghero, modella italiana che si divide tra l’Italia, la Germania e Londra. «La prima cosa che posso dire è di non intestardirsi sul voler diventare una modella  a tutti i costi. Se deve arrivare, arriva», ci ha detto, spiegando che si tratta di un mestiere  legittimo e impegnativo come tutti gli altri, in cui essere altamente professionali, sostenendo l’importanza del rispetto sul set. E anche se con il tempo si impara a non prendersela per la leggerezza con cui la gente guarda a una  carriera come la sua – «Ah, ma quindi fai la modella e basta?», le piacerebbe davvero che si smettesse di pensare per stereotipi - cosa che rende peggiore gli altri ostacoli con cui il mondo del modeling fa i conti da anni. Lila ci ha raccontato che, nel suo percorso, ci sono stati dei momenti bui a livello fisico e mentale, per trovare il giusto equilibrio nel rapporto con il proprio corpo e con il proprio calendario. «A livello mentale non è stato facilissimo, soprattutto all’inizio», quando capita sempre di riorganizzarsi all’ultimo e dover essere pronti a tutto, lasciandosi andare e dimostrandosi pazienti allo stesso tempo. Anche Samir ha  parlato di due tipi di ostacoli personali, che vanno interiorizzati e superati con il tempo, come in qualsiasi altro lavoro:

«Come potete immaginare, essendo musulmano e lavorando nel settore della moda ci sono stati momenti in cui la mia fede è stata messa alla prova e in cui  ho trovato poi un sano equilibrio tra il mio lavoro e la mia religione. Ci sono anche limitazioni fisiche come gli infortuni, che si cerca di superare mentre si cerca di apparire naturali allo stesso tempo. Infine, un vero ostacolo è l'ansia, che è qualcosa che tutte le persone  sperimentano, compresi noi modelli».  

@fifinewbery TW: eating disorder #fyp #modelstories #modelsecrets #edawareness original sound - Fifinewbery

E se le parole riportate dimostrano chiaramente che essere un modello o una modella non è una cosa semplice né tantomeno un privilegio, dell’altro lato del modeling, quello oscuro, ultimamente si è parlato  moltissimo. Complici gli innumerevoli TikTok, che specialmente durante il primo lockdown hanno cominciato a diventare come tribunali, in cui modelli, modelle ed ex del mestiere  denunciano dinamiche e meccanismi di cui la maggior parte del mondo sa poco o niente. In quegli iPhone Diary dal titolo Pressure of being a model o Thraumatic things that happened to me as a model that just make sense (che potete vedere qui in alto), gli utenti rivelano le condizioni in cui  hanno lavorato come modelli, spesso alle prime esperienze lontano da casa e alloggiati in appartamenti costosissimi rispetto ai loro stipendi, pur se da dieci inquilini.  

A proposito dei ritmi frenetici e dei pressing psicologici a cui vengono spesso sottoposti i modelli, i dati delle indagini del 2012 e 2020 di Models Alliance parlano chiaro: il rischio è  che sfocino in veri e propri burnout, disturbi alimentari o episodi depressivi. Per dimostrarlo, anche Bella Hadid si è esposta più volte personalmente, parlando di depressione e problemi di salute mentale. Tornando al discorso sulle condizioni di lavoro dei talent, specialmente  se alle prime armi, i minimi salariali non sono sempre applicati nei termini della legge. Per  questo è nato il Fashion Workers Act, il nuovo disegno di legge presentato al Senato dello  Stato di New York, che chiede sostanzialmente tre cose, cioè di fissare i pagamenti a 45 giorni dal termine delle prestazioni, di assicurare ai modelli contratti totalmente trasparenti e di mettere fine una volta per tutte a quelle che vengono chiamate le «commissioni  misteriose» dai suoi sostenitori, e cioè le avances inappropriate o le violenze di genere che, stando a quanto riportato nel 2012, sin dai primi anni subisce quasi un terzo dei talent. In questo contesto si inseriscono le storie di Shit Model Management, la pagina Instagram che tra le altre cose l’anno scorso ha aperto il caso Alexander Wang, o iniziative come quella di WSO (World Sustainability Organization), che ha creato la prima agenzia di modelli etica e sostenibile per combattere abusi, pressing e discriminazioni, e per contribuire a riscrivere le regole del  settore.