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Il tributo all'Ucraina di Balenciaga visto da una georgiana

La moda può essere resistenza?

Il tributo all'Ucraina di Balenciaga visto da una georgiana La moda può essere resistenza?

Quando le truppe di Putin hanno invaso l'Ucraina, l'atmosfera distesa della Fashion Week dall’altra parte dell'Europa è sembrata stridente contrapposta all'orrore di una guerra, inappropriata e apparentemente insensibile verso lo scontro conflitto. In parte perché nonostante le tensioni crescenti lo scontro diretto sembrava distante e inverosimile, cogliendo tutti, classe politica in primis, totalmente alla sprovvista, in parte perché la moda, sebbene costituisca il sostentamento di una vastissima filiera, nei suoi aspetti più patinati e mainstream (sfilate, red carpet e celebrity annesse) sembra sempre fuori luogo rispetto alla vita “vera”. Non è un caso che l’unico tributo sensato in passerella sia venuto proprio da uno stilista che la guerra l’ha vissuta davvero, Demna. E anche se non era proprio la stessa guerra, l’invasione ucraina da parte delle truppe di Putin è stata un vivido deja vu per il popolo giorgiano, un tuffo nel passato ai bombardamenti del 2008 e ancor prima alla guerra del 1993, quando al posto del Dombass e della Crimea c’erano l’Ossezia e l’Abcasia. Demna adolescente, come la mia famiglia,  fu costretto a fuggire dalla repressione russa, “barattando” due kalashnikov per un cavallo in una traversata fino alla Germania dove fu accolto in un campo profughi. A vent’anni di distanza le nostre case, le tombe dei nostri cari, alcuni dei quali caduti in quella stessa guerra, sono ancora in mano agli occupanti. E nessuno può capirlo questo, nessuno che non l’abbia vissuto, un sentimento di sradicamento profondissimo, la sensazione di non poter più avere qualcosa di davvero tuo e di non essere mai realmente al sicuro. 

Un’enorme t-shirt con i colori dell’Ucraina e una lettera: così si è aperta domenica scorsa la sfilata di Balenciaga, in cui i modelli camminano in una tormenta di neve artificiale, alcuni con solo una coperta addosso, a rappresentare la fuga dei profughi dal proprio paese verso una meta sconosciuta. «La Guerra in Ucraina ha innescato il dolore per un mio trauma del passato risalente al 1993, quando la stessa cosa è successa nel mio paese d’origine e sono diventato per sempre un rifugiato. Per sempre, perché è qualcosa che rimane sempre con te. La paura, la disperazione, capire che nessuno ti vuole. Ma ho anche capito che ciò che importa veramente nella vita, le cose più importanti, tipo la vita stessa, la compassione e l’amore umano. È per questo che lavorare a questa sfilata questa settimana è stato molto difficile, perché in un momento come questo, la moda perde la sua rilevanza e il suo diritto di esistere. La settimana della moda sembra quasi una assurdità. Ho pensato per un attimo di cancellare la sfilata a cui io e il mio team abbiamo duramente lavorato. Ma poi ho capito che cancellarla avrebbe voluto dire arrendersi, arrendersi al male che mi ha già fatto soffrire per quasi 30 anni. Ho deciso che non posso più sacrificare parti di me in nome dell’ego senza cuore, senza senso, della guerra. Questa sfilata non ha bisogno di spiegazioni, è dedicata alla resistenza, al non avere paura e alla vittoria dell’amore e della pace». Con queste parole il designer ha accolto tutti alla sua sfilata al Le Bourget nella periferia di Parigi. 

La guerra lascia qualcosa di indelebile nella sensibilità di chi li abita: i preti in tunica nera e barba lunga, le babushke affacciate alla veranda con il velo intorno al viso, la povertà e i vestiti d'occasione. Demna si è trasferito all'estero ma i ricordi della sua infanzia a guardare I Simpson nell'unica tv del quartiere assieme ai figli dei vicini sono la vera materia poetica delle sue collezioni, dall'architettura post sovietica ai movimenti politici di sommossa, l'immaginario della sua terra natia è in ogni cosa che fa, ma è emerso principalmente con il collettivo "underground" Vetements che ha co-fondato con il fratello Guram nel 2014. Per la SS19 Demna Gvasalia ha presentato la sua ultima collezione per Vetements - prima di passare definitivamente il testimone a Guram - ispirata alla "famiglia e alla violenza", non solo un tributo alla sua casa, ma un progetto per educare il resto del mondo sulla lotta del popolo Georgiano e su quello che è stato riconosciuto a tutti gli effetti come un genocidio. 

Ma se vent’anni fa i bombardamenti di un paese all’altro capo dell’Europa riecheggiavano nel vuoto e le famiglie affrontava la diaspora in terra straniera senza un soldo in tasca, in un paese in cui non conscevano nè la lingua nè un volto amico, il conflitto ucraino ha mobilitato una solidarietà inaspettata. Gli equilibri politici sembrano labili come quelli di vent’anni fa, con un tiranno che non ha ancora pagato il prezzo di una lunga lista di crimini di guerra e continua a commetterne di nuovi, ma la moda, il mondo, non sono più gli stessi. Per molti il tributo che si è tenuto a Parigi con borse da 2000 euro e celebrity che non saprebbero collocare nessuno degli Stati che ho nominato fin ora sulla cartina geografica è stato uno show off di privilegiati per i privilegiati, un gesto autoreferenziale. Ma la moda, come qualsiasi altra forma d’arte, attraverso il simbolo crea un collegamento quasi metafisico con un messaggio e lo eternizza: la sfilata di Vetements del 2019 è stato un riscatto simbolico per un paese la cui storia è stata ignorata, ricordando al mondo quello che è successo nell’indifferenza generale, la sfilata a Parigi per l’Ucraina è stata un segno di vicinanza, un tributo e una rielaborazione personale di un'esperienza umana che accomuna chiunque l’abbia vissuta indipendentemente dalla nazionalità tramite un linguaggio che potrebbe sembrare futile solo a chi non lo capisce.