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Zara Atelier è davvero lusso?

Sei cappotti per riposizionare il brand più popolare del mondo

Zara Atelier è davvero lusso? Sei cappotti per riposizionare il brand più popolare del mondo

Due giorni fa, Zara ha presentato una nuova label, Zara Atelier, con una capsule di nome Collezione 01_The Coat. Si tratta di una collezione di sei cappotti che, secondo il brand di Inditex, dovrebbero celebrare «il design high-end e l’artigianato più squisito» in quello che già molte pubblicazioni hanno definito un omaggio alla couture e al lusso. La nuova collezione, presentata con una campagna scattata da Paolo Roversi, rappresenta un ulteriore passo in avanti del gigante Inditex verso il suo assorbimento dei codici del lusso, che avevamo già descritto in un articolo di qualche settimana fa. Si dice “assorbimento dei codici del lusso” e non “riposizionamento” perché, anche se il brand parla di «un’interpretazione elevata e artistica di un classico del guardaroba», i capi della collezione sembrerebbero più orientati a sembrare lusso che a essere lusso.

Nonostante la dicitura di edizione limitata, la stupenda campagna di Roversi e la dichiarazione di sostenibilità che accompagna i capi, infatti, la sensazione di lusso si limita alla costruzione e agli abbellimenti dei capi, i cui materiali preponderanti restano poliestere, viscosa, poliammide e acrilico, con solo uno dei sei cappotti a essere composto al 75% di lana, e altri tre dei cappotti che possiedono percentuali di lana che vanno da un minimo del 7% a un massimo del 55%. Una scelta di materiali dovuta all’esigenza di mantenere un price point al di sopra della media di Zara ma in linea con la media dell’high street – ma che sostanzialmente riduce l’idea di lusso a una patina comunicativa superficiale che, al di là del design vero e proprio, si riduce a «ornamenti che catturano l’attenzione e sontuosi ricami» senza però tradursi nelle materie prime del cappotto stesso. 

Fatto notevole, comunque, rimane quello dell’assorbimento dei codici del lusso da parte di Zarache ha iniziato negli ultimi anni a ridefinire la propria estetica allontanandosi dalla narrativa del fast fashion “classico” di H&M o Uniqlo e avvicinandosi a quella di brand-galassia, per usare un’espressione di Ana Andjelic, come quello  di Ralph Lauren e Armani che ha però visto il coinvolgimento di talenti di alto profilo in una serie di campagne che sono andate parecchio oltre il classico standard del fast fashion. Nello specifico, molti membri del pubblico online hanno notato come negli ultimi mesi sia stata proprio Zara a evocare una maggiore sensazione di lusso nelle proprie campagne che non altri brand di moda veri e propri. In questa ricerca dell’aura dorata del lusso si legge, da un lato, le ambizioni di un brand che deve liberarsi dalla nomea di fast fashion pur mantenendone le dinamiche produttive e commerciali; dall’altro la crescente esigenza di un pubblico che, sempre più esposto al marketing del lusso, ha iniziato a desiderare prodotti sempre più sofisticati e “vicini” al lusso – come fu ad esempio il caso della collezione plissettata di Zara che clonava, su materiali più accessibili e meno sofisticati, l’allure ultra-lusso di Homme Plissé Issey Myake.

Non di meno, Zara rimane l’unico brand sulla scena del fast fashion ad avere la potenza distributiva e finanziaria per imbastire una ristrutturazione simile: se questa collezione Atelier punta tutto su decorazioni e opulenza (al punto da essere definito da Andrea Batilla su Instagram un rifacimento di Dries Van Noten), la collezione Origins lanciata qualche mese fa con un video di Aphex Twin batteva la strada del lusso ultra minimalistico, con hoodie monocolore in 100% cashmere, giubbotti scamosciati e total look ultra-minimal pensati per catturare l’attenzione dell’altro lato della audience del lusso – quella che va in cerca della semplicità e dell’opulenza sottile e discreta. Verrebbe quasi da domandarsi se Zara stia puntando a ridefinirsi come lusso: la risposta è no. Il mercato del lusso è già ultra-saturo e quello dell’high street, invece, rappresenta un territorio molto più ampio e denso di opportunità commerciali – la nuova sfida, però, viene dal consumatore finale: sempre più sofisticato, attento ai contrassegni della sostenibilità, alle apparenze esteriori del lusso, alle modalità di comunicazione dei prodotti e delle collezioni. Trovare, identificare e soddisfare questo nuovo consumatore sarà la chiave del successo di Zara, e di tutti gli altri brand di fast fashion e non, nei decenni a venire.