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Zara e il fast-fashion che si finge luxury

Sospeso tra due mondi, il gigante del fast-fashion è un brand che non vuole esserlo

Zara e il fast-fashion che si finge luxury Sospeso tra due mondi, il gigante del fast-fashion è un brand che non vuole esserlo
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara with Charlotte Gainsbourg
Zara with Charlotte Gainsbourg
Zara with Charlotte Gainsbourg
Zara Man FW21 w. Luka Sabbat
Zara Man FW21 w. Luka Sabbat
Zara Man FW21 w. Luka Sabbat

Dopo un 2020 da dimenticare, il settore del fast-fashion si è riaffacciato al nuovo anno più deciso che mai a guadagnarsi nuovamente quella fetta di mercato persa tra pandemia e store chiusi. Tra tutti c'è ovviamente il gruppo Inditex, controllante di Zara, Bershka, Massimo Dutti, Pull&Bear e Stradivarius, pronto a chiudere il 2021 in netta crescita con un ricavo di circa 12 miliardi nella prima metà dell'anno e con un aumento di fatturato del 49% rispetto all'anno precedente. Non è un segreto che a trainare il fatturato del gruppo spagnolo ci sia Zara, diventata nel corso del tempo la realtà di punta del settore fast-fashion grazie al suo equilibrismo settoriale capace di far vivere l'azienda in un limbo tra la moda a basso costo e la promessa di un mondo valoriale in netto contrasto con quello dei suoi competitor.

Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel
Zara Studio FW21 by Steven Meisel

Al centro del successo di Zara c'è prima di tutto la capacità di essere uno specchio dei trend del momento, portando in store non più dei knock-off dei look visti poche settimane prima durante le fashion week, ma cercando invece tra le tendenze di TikTok e Instagram nel tentativo di intercettare i gusti e i desideri degli utenti. L'ultimo esempio in ordine di tempo è la collezione plissé di Zara, versione riveduta e corretta dell'Homme Plissé di Issey Miyake diventata ormai una presenza fissa nelle fit-pic o nei "get dressed with me" che intasano i feed dei social network. Quello che per molti potrebbe sembrare solo uno sgarbo al designer giapponese, è in realtà solamente al prassi di un business model che ha nelle velocità il suo principale punto di forza. Un concetto che parte dalla scelta di produrre più del 50% dei prodotti in paesi vicini alla Spagna (Portogallo, Turchia e Marocco) per ridurre i tempi di consegna, fino a quella di creare collezioni in piccole quantità, riducendo l'inventario e dando una continua idea di nuovo all'interno dei suoi store. In questa macchina perfettamente funzionante, capace di creare e produrre una collezione in cinque settimane, il ruolo di punta è però quello della comunicazione, lì dove Zara è riuscita a distaccarsi da H&M o Uniqlo, creando una terra di mezzo tra due livelli ben distinti. Dal sito fino all'allestimento in store, il brand ha progressivamente assorbito il linguaggio del luxury fashion facendolo proprio fino a trasformarsi nel paradosso di un brand che non vuole esserlo.

Con venti collezioni all'anno Zara sembra essere più vicina ai ritmi di un vero brand di moda invece che alla stagionalità del fast-fashion, ancorato per molti versi all'idea di una moda divisa in modo netto e accessibile da un'unica porta di ingresso. Come scritto da Ana Andjelic nella sua newsletter, nella sua crescita Zara ha deciso di adottare un modello a Galassia, dove più realtà vengono tenute insieme dalla storia e dal peso del brand stesso, capace di mantenere coerenti i sotto-brand che gravitano nel microcosmo. Alcuni esempi in questo senso sono quelli di Ralph Lauren e di Armani, mentre nel caso di Zara fanno parte della stessa galassia le collezioni Origins, Studio e Athleticz insieme alle linee Zara Kids, Zara Home e Zara Beauty in un modello il cui principale punto di forza è quello di fornire più entry point all'interno della filosofia del brand. A raccontarla ci pensa invece una comunicazione in cui Steven Meisel fotografa Marisa Berenson, Sasha Pivovarova, Chiharu Okunugi e Yumi Nu, in cui Chloë Sevigny è la protagonista di una campagna di Zara Home e Charlotte Gainsbourg ha una sua capsule.

Zara Man FW21 w. Luka Sabbat
Zara Man FW21 w. Luka Sabbat
Zara Man FW21 w. Luka Sabbat
Zara with Charlotte Gainsbourg
Zara with Charlotte Gainsbourg
Zara with Charlotte Gainsbourg

Nonostante tutto, Zara sembra non aver alcuna intenzione di cambiare il suo approccio alla moda, continuando a rappresentare l'alternativa economica e accessibile al luxury fashion, forte del suo status di unicum in un mondo in cui l'avanzata di Shein continua inesorabile. In equilibrio tra due mondi,  Zara è libera di raccontare ai suoi clienti una storia diversa da quella dei suoi competitor, evitando in un certo senso di assumersi delle responsabilità maggiori, non ripetendo quindi il percorso intrapreso da Cos, il brand parte del gruppo H&M che a settembre ha sfilato alla London Fashion Week segnando un precedente unico nel suo genere. Così, nell'epoca in cui nella teoria tutti condannano il fast-fashion ma nella pratica nessuno ne fa a meno, il gigante del gruppo Inditex riesce perfettamente nel suo intento di vivere a metà tra due mondi, libero di non posizionarsi in una casella precisa ma sicuramente capace di vendere al meglio quello che ha da offrire e che tutti amiamo odiare.