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5 cose da sapere sullo show FW22 di Balenciaga

Demna ritorna agli anni ‘90

5 cose da sapere sullo show FW22 di Balenciaga Demna ritorna agli anni ‘90
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22

Lo show FW22 di Balenciaga andato in scena ieri è stato, letteralmente, un «messaggio dal passato» che voleva reimmaginare come sarebbe a metà degli anni ’90 una sfilata del Balenciaga moderno. Un’operazione interessante in quanto, durante quel periodo storico, Balenciaga aveva già riaperto i battenti sotto la nuova direzione che l’avrebbe poi portata in Kering attraverso l’acquisizione da parte del Gucci Group nel 2001 ma non aveva assunto quel tipo di rilevanza culturale che ha riportato il brand tanto in auge negli ultimi anni. Lo show è stato presentato con un’estetica volutamente analogica (filtri VHS, polaroid, videocamere tenute a mano) che ricorda, più dei video degli show veri e propri, i reportage d’assalto dei giornalisti che, all’epoca, correvano lungo il red carpet e s’introducevano nei backstage – approccio che ha trovato un corrispettivo da quella fascinazione per un’estetica raver che, pur andando forte negli anni ’90, non era davvero mai emersa sulle passerelle del tempo.

Revisionismo e nostalgia, dunque, due spinte opposte per uno show che è stato una lettera d’amore all’adolescenza di Demna (che aveva 14 anni nel 1995) e che è stato tanto denso di dettagli e reference quanto importante per il futuro del brand. Ecco 5 cose da sapere sullo show FW22 di Balenciaga.

1. Da questo show, Demna Gvasalia sarà solo Demna

La conseguenza più importante di questo show (oltre che il punto di arrivo di un’evoluzione artistica iniziata negli ultimi due anni) è l’assunzione, da parte di Demna Gvasalia, di un nome d’arte: da questo show in avanti si parlerà solo di Demna. Uno statement forte, che vuole sottolineare l’iconicità di una legacy creativa che ha cambiato la maniera in cui il pubblico interagisce con la moda, ma anche, come molti hanno suggerito, una lezione in star power appresa da Kanye West, che da quest’anno è legalmente conosciuto col mononimo Ye, che porta a un nuovo livello l’idea di celebrity designer.

2. La nuova collaborazione con Kering di Harmony Korine

Per creare l’autentico feel anni ’90 dello show è stato chiamato uno dei più grandi fotografi, sceneggiatori e cineasti dell’epoca: Harmony Korine.  Autore dotato di una crudezza espressiva inimitabile, regista la cui vicenda si lega profondamente a Supreme e agli albori dello streetwear newyorchese tramite il cult assoluto degli anni ’90 Kids, Korine è stato un creativo che ha prestato spesso la propria vision nostalgica e brutalmente realistica alla moda negli ultimi anni, collaborando specialmente con Gucci, per cui ha firmato svariate campagne e video tra cui quella di Gucci Tailoring con Tyler, The Creator e A$AP Rocky; la campagna Guccci Cruise 2020 e il libro Gucci by Harmony Korine. Proprio in quell'occasione, nss magazine lo aveva intervistato discutendo della sua vicenza di creativo e dei suoi recenti lavori. Per lo show di Balenciaga FW22, Korine ha firmato il video, le finte interviste sul red carpet con Isabelle Huppert e Naomi Campbell ma anche le polaroid che costituiscono il lookbook dello show e il behind-the-scenes.

3. La triade dei trend anni ’90: decostruzione, minimalismo, anti-fashion

L’importanza dello show risiede anche nella sua meditazione sui principali trend degli anni ’90: la decostruzione, il minimalismo e l’anti-fashion. Anche se oggi questi approcci continuano a esistere ed evolversi, rimanendo in certi casi ancora underground, fu proprio negli anni ’90 che si venne a creare quella profonda spaccatura tra un lusso “da country club” altamente formale e opulento e un nuovo tipo di lusso esplorato da designer come Helmut Lang, Martin Margiela, Ann Demeulemeester, Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto. Erano gli esordi di Raf Simons alla guida del suo brand, i tempi in cui Prada e Calvin Klein mandavano in passerella outfit di immacolata semplicità e in cui anche Gucci ricopriva i suoi loghi con i completi in velluto rosso di Tom Ford.

4.      La reference a Martin Margiela

Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22
Martin Margiela SS90 vs. Balenciaga FW22

Su Twitter, Maximilian Kilworth, social editor di @hftgroup, ha sottolineato come il setting dello show, una specie di showroom-capannone illuminato da riflettori con un pavimento di terra battuta sia stato una reference allo show SS90 di Martin Margiela. Proprio quello show fu un punto di svolta per la moda di quel decennio, il primo a essere tenuto in pubblico e in un setting urbano, il primo a non tenere conto del front row e ad andare contro l’idea tradizionale del “bello” con una passerella ingombra di pietre e un setting periferico e anche il primo ad avere inviti non convenzionali, in questo caso disegnati dai bambini del quartiere periferico in cui la sfilata venne tenuta. Questo show fu anche lo show che ispirò in Raf Simons il desiderio di entrare nel mondo della moda oltre che la pietra angolare di quello che sarebbe diventato il mito di Martin Margiela – forse il designer più imitato della storia contemporanea.

5.      I designer dimenticati di Balenciaga: Michel Goma e Josephus Thimister

Nelle show-notes del brand si legge: «La collezione riempie simbolicamente un vuoto negli anni dimenticati di Balenciaga». Uno statement che da un lato vuole proiettare l’importanza che ha oggi Balenciaga nel passato in modo quasi retroattivo – verso un momento storico, i primi anni ’90, in cui il brand era stato riaperto da nemmeno una decina d’anni in attesa della rinascita ufficiale che viene fatta iniziare con la tenure di Nicolas Ghesquiere nel 1997. In realtà, prima di Ghesquiere, il brand aveva avuto due direttori creativi che oggi sono stati quasi dimenticati: Michel Goma e Josephus Thimister, che tennero rispettivamente le proprie posizioni dal 1986 fino al 1992 e dal 1992 fino al ’97. Erano anni “dimenticati” in quanto il brand si era appena risvegliato da un sonno iniziato con la morte del founder – ma lo show di ieri è anche un’occasione per tornare a guardare i lavori di quei designer, che restano entrambi eccellenti, e che molto hanno dato all’odierno DNA del brand, con il recupero delle silhouette monastiche, le mega-stole in pelliccia e l’iper-essenzialismo delle forme.