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Due direttori creativi sono meglio di uno?

Da Prada-Simons a Jones-Fendi, c'è un trend nell'industria della moda

Due direttori creativi sono meglio di uno?  Da Prada-Simons a Jones-Fendi, c'è un trend nell'industria della moda
Luke e Lucie Meier
Kim Jones e Silvia Venturini Fendi
Miuccia Prada e Raf Simons
Miuccia Prada e Raf Simons
Prada SS21
Prada SS21
Miuccia Prada e Raf Simons
Prada SS21
Prada SS21
John Galliano e Lady Amanda Harlech
Raf Simons e Pieter Mulier
Alexander McQueen e Isabella Blow
Karl Lagerfeld e Virgini Viard
Alexander McQueen e Isabella Blow

Qualche mese fa, un report di Bernstein decretava 5 anni il periodo di tempo in cui in cui individuare ascesa e caduta di un direttore creativo recentemente insediatosi in una casa di moda. Se con il successo di GucciFest Alessandro Michele ha almeno in parte smentito questa previsione, negli ultimi mesi sembra essere un altro il trend ad interessare i massimi vertici delle Maison, come racconta ora un articolo di WWD: la co-direzione creativa. Un "nuovo" modo di fare moda inaugurato platealmente quest’anno da Miuccia Prada e Raf Simons, due mostri sacri dell’industria uniti alla ricerca di un inedito capitolo nell'estetica Prada, che a giudicare dalla prima collezione presentata lo scorso settembre, è una buona fusione tra i codici visivi e storici di entrambi i designer. Aveva sorpreso molto l'annuncio dell'arrivo di Kim Jones da Fendi ad affiancare Silvia Venturini Fendi, che dopo i decenni accompagnati da Karl Lagerfeld trova una nuova spalla creativa. Un discorso simile, ma non uguale, vale anche per Jil Sander, che dal 2017 è guidato da una coppia di creativi, i coniugi Luke e Lucie Meier, che hanno risollevato le sorti del brand. Una dualità di voci è ciò che caratterizza da sempre anche Preen, brand inglese che dal 1996 unisce la visione di Justin Thornton all'approccio pratico di sua moglie Thea Bregazzi, così come Sunnei, brand based a Milano fondato e guidato da Simone Rizzo e Loris Messina

Miuccia Prada e Raf Simons
Miuccia Prada e Raf Simons
Prada SS21
Prada SS21
Prada SS21
Prada SS21
Miuccia Prada e Raf Simons
Kim Jones e Silvia Venturini Fendi
Luke e Lucie Meier

Nonostante quindi le collaborazioni di nomi altisonanti che hanno caratterizzato gli ultimi mesi - siamo ancora in attesa di scoprire come sarà Fendi firmato Jones - la co-direzione creativa non è una prassi sconosciuta al mondo della moda, tutt'altro. Al di là dei casi specifici che coinvolgono nomi di primissimo piano - e che già da soli potrebbero giustificare l'operazione - il trend potrebbe trovare nuove spinte e opportunità grazie (o a causa) delle condizioni ambientali in cui l'industria della moda si trova ad operare oggi. Come ha sottolineato WWD, un primo fattore potrebbe essere quello della rappresentanza e dell’inclusione. Tra i 265 brand che compongono il calendario ufficiale delle fashion week di New York, Londra, Milano e Parigi, il 51% dei brand è guidato da uomini, il 38% da donne e il restante 11% è caratterizzato da direzioni co-ed di coppia o da collettivi. Senz'altro i numeri parlano ancora di uno squilibrio di ruoli tra creativi uomini e creative donne, ed è altrettanto vero che la co-direzione creativa permetterebbe a più di donne di trovarsi al vertice di importanti brand di moda, ma lo farebbero sempre “accompagnate”, non completamente libere e indipendenti. (Fa sorridere che nei due casi citati sopra siano stati designer uomini - Simons e Jones - ad affiancare creative donne molto potenti). 

Al di là delle questioni di genere, la co-direzione creativa può rivelarsi la strada giusta per accogliere le istanze di inclusione e diversità che sono diventate due pilastri irrinunciabili dell’industria. L’unione di due menti creative permette la commistione di diversi punti di vista, di diverse nazionalità, etnie,  background, età, esperienze, offrendo quindi una visione finale composita e più ampia (se, ancora una volta, non teniamo conto del fatto che tutti quelli citati finora sono designer bianchi). L'aggiunta di un designer al vertice di un brand, specialmente se in un momento di crisi o per dettare l'inizio di un nuovo corso, potrebbe essere l'opzione oggi più efficace per rispondere alle esigenze del mercato e dei consumatori, senza stravolgere il marchio originario. Dal punto di vista pratico, lavorare in coppia significa spartirsi un lavoro complesso, che ormai non consiste solo più nella semplice creazione di collezioni, ma che racchiude compiti e responsabilità che abbracciano più ambiti e industrie. 

È comunque sbagliato pensare che chi si trova, o si è trovato, a dirigere una grande casa di moda l'abbia fatto completamente da solo. L’industria della moda, e i team creativi in primis, hanno sempre lavorato di pluralità, esprimendo al meglio quel carattere collaborativo che fa imprescindibilmente parte del DNA di questa disciplina. Inoltre, ogni creative designer è aiutato e supportato da un braccio destro indispensabile o da una musa irrinunciabile. Raf Simons aveva Pieter Mulier, Karl Lagerfeld aveva Virginie Viard, che non a caso oggi è la sua erede alla guida di Chanel, Kim Jones ha trovato in Lucy Beeden la sua collaboratrice più fedele, John Galliano poteva contare su Amanda Harlech, così come Alexander McQueen aveva Isabella Blow, e via discorrendo. 

Raf Simons e Pieter Mulier
Karl Lagerfeld e Virgini Viard
John Galliano e Lady Amanda Harlech
Alexander McQueen e Isabella Blow
Alexander McQueen e Isabella Blow

Dimenticandoci per un attimo questi casi illustri, si può osservare un altro filone creativo, che interpreta in modo diverso il concetto di co-direzione creativa e che potrebbe essere la soluzione ideale per rappresentare e raccontare le generazioni più giovani. Da Vetements ieri a Telfar oggi, lavorare in un collettivo creativo fa sì che le istanze, le singole inclinazioni e il nome stesso dei designer che lo compongono si dissolvano dietro l’etichetta di brand che vogliono essere davvero plurali. Questo annullamento della personalità del designer, che smette di essere centrale nella determinazione del brand e del suo immaginario, permette di lasciare spazio ai prodotti e alla visione più pura del marchio, dando la possibilità al potenziale consumatore finale di identificarvisi completamente, tanto nel mondo del lusso che in quello dello streetwear. Mai come oggi ai brand è richiesto di farsi portatori di significati, di valori e di cultura, diventando la voce, o meglio, riflettendo la voce di un pubblico variegato, che non crede più nel mito del couturier contraddistinto da una visione univoca e incontestabile, ma che predilige il confronto, la discussione, l'apertura. 

L'inedito incontro tra Prada e Simons, vista anche la natura straordinaria delle personalità coinvolte, resta quindi un unicum nell'industria della moda, ma nel suo essere irripetibile si fa anche precursore e anticipatore di un trend che segnerà il futuro del settore.