Vedi tutti

Il nuovo logo di Los Angeles e il problema di branding del turismo italiano

Ogni mercato ha bisogno dei suoi brand, turismo italiano incluso

Il nuovo logo di Los Angeles e il problema di branding del turismo italiano Ogni mercato ha bisogno dei suoi brand, turismo italiano incluso

Shepard Fairey, l’artista americano dietro Obey e al poster “Hope” di Obama, ha creato un nuovo logo cittadino per Los Angeles insieme allo studio di design House Industries. Il nuovo logo è stato commissionato dalle autorità cittadine, e specialmente dal Los Angeles Tourism & Convention Board, per dare una nuova brand identity alla città e attirare i flussi del turismo. Il risultato è stato un nuovo e meno istituzionale logo, dal vago sapore ‘80s, in un gradiente di gialli, rossi e verdi acqua che evoca le spiagge e il mare e un sole al tramonto. Per semplice che possa sembrare, il nuovo logo ha una street sensibility molto poco convenzionale nel mondo dei branding cittadini – ossia di tutto quell’apparato iconografico fatto di font, stemmi e loghi che dovrebbe riassumere l’identità di una città e delle sue istituzioni, specialmente turistiche. 

Il nuovo logo di L.A., fra l’altro, ha anche il merito di essere stato disegnato da un artista che viene dal mondo street, e che dunque è lontano dall’estetica un po’ ingessata di solito adottata dalle istituzioni. Parlando di questo logo, Jeff Beer di Fast Company fa giustamente notare:

Slogan turistici e brand identity non sono in genere così memorabili, principalmente perché si tratta di design che devono piacere a una fascia di popolazione che sia il più ampia possibile. 

Nello specifico, prosegue Beer, il vecchio logo di L.A. era addirittura così generico che non lo si poteva nemmeno registrare come trademark, aprendo la strada a una valanga di souvenir non ufficiali e usi impropri dello stesso. Questo discorso sulla brand identity delle città sottolinea la rinnovata importanza che il turismo ha assunto nel mondo post-pandemia: se il concetto di identità è astratto, il logo diventa un’identità quantificabile, controllabile e vendibile e persino le grandi città si devono dotare del proprio per riaffermare questa identità e usarla per attirare i flussi del turismo.


E in Italia?

L’Italia è un paese fondato sul turismo, che da un certo punto di vista possiede un’identità fortissima, ma che è anche diventata famosa negli anni per una serie di tentativi un po’ goffi ad aggiornare sia i propri branding cittadini che le proprie identità locali. Il problema principale, verrebbe da dire, è la mancanza di un’estetica moderna e di una concreta audacia. Prendiamo ad esempio i nuovi loghi di cui si sono dotate la Sicilia lo scorso anno, il Molise a febbraio e il logo della campagna inLOMBARDIA con cui la regione lombarda vuole rilanciare il turismo, ma anche quello della Sardegna: tutti includono una colorway arcobaleno che dovrebbe rappresentare il territorio e, in realtà, non risultano molto espressivi delle singole identità regionali – sono letteralmente solo colori. A Roma, invece, il logo è lo stesso di quel municipio: uno stemma rosso con la scritta SPQR. Ma una forma di autoconsapevolezza esiste: l’assessore al turismo del Molise, Vincenzo Cotugno, centrò bene lo scopo dell’operazione dicendo alla conferenza stampa che «un territorio per diventare ‘destinazione turistica’ ha bisogno di un brand, di un marchio identificativo».

La scorsa settimana, in una nuova iniziativa, i sindaci di Roma, Venezia, Firenze, Milano, Napoli e Palermo hanno invece presentato sei francobolli che rappresentano le piazze principali delle varie città che, come dice Repubblica, "auspicano della ripresa del turismo nel Belpaese". Un’iniziativa sicuramente nobile ma che difficilmente raggiungerà chi non è appassionato di filatelia – un hobby che si può tranquillamente definire "da anziani". La serie di francobolli con le vedute delle piazze storiche italiane rappresenta un po' il problema di molte iniziative turistiche italiane: sono boomerate. Ma in generale, sia in Lombardia che a Roma che altrove, si è fatto poco per elevare la comunicazione turistica al di sopra di video girati con un drone in cui un voice-over suggestivo descrive i paesaggi, gli spaghetti, i vicoli dell’antico borgo – un tipo di comunicazione che non ha nulla di sbagliato in sé ma è così trita e ripetitiva che lascia il potenziale consumatore un po’ insensibile. Ricordiamo in questa sede il cringe assoluto del video Terra Mia di Gabriele Muccino, una completa orgia di cliché che portò Helga Marsala di Artribune a parlare giustamente di "una vocazione comunicativa declinata al ribasso, fuori da qualunque standard innovativo e internazionale, da qualunque volontà di ricerca e svecchiamento".


Una possibile soluzione

Come si sottolineava prima, parlando del caso di Los Angeles, il nuovo logo della città servirà implicitamente anche alla produzione di merch cittadino ufficiale – sottolineando dunque come la natura di un logo sia soprattutto commerciale. In un precedente articolo sul merch dei musei  italiani, avevamo sottolineato l'importanza del merch sul piano dell'appartenenza culturale. Come la crisi portata dal lockdown ha fatto notare, infatti, il turismo è prima di tutto un mercato e i beni che vengono venduti in questo mercato sono le destinazioni turistiche che dunque hanno bisogno di identità e branding precisi. In questo senso l’Emilia-Romagna ha di recente ristrutturato il nuovo sito con un logo moderno e pulito e un’estetica moderna anche se convenzionale ma in generale attraente e sobria. Per mandare avanti il settore, infatti, serve prima di tutto una certa sensibilità verso il bene che si vende, ad esempio non costruendo supermercati vicino agli antichi castelli come stava per succedere a Barletta il mese scorso, ma anche una sensibilità sui bisogni del mercato capendo dove e quando è possibile investire e speculare – ad esempio con un merch cittadino che sia davvero attraente oppure su strategie di comunicazione che vadano al di là dell'estetica da agenzia di viaggi. Proprio come ha fatto L.A.