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‘Shiva Baby’ è uno dei film più onesti sull’ansia dei millennial

Il panico sociale di una generazione messo su pellicola

‘Shiva Baby’ è uno dei film più onesti sull’ansia dei millennial  Il panico sociale di una generazione messo su pellicola

Da pochi giorni Shiva Baby, film d’esordio della regista venticinquenne Emma Seligman è diventato disponibile su MUBI. Il film è stato accolto con grande successo oltreoceano per la sua capacità di raccontare, attraverso la vicenda individuale della sua protagonista, una serie di problematiche generazionali relative all'ansia dei millennial, che tre anni fa il WSJ definì la «Most Anxious Generation». La storia segue Danielle, una studentessa universitaria bisessuale che si mantiene lavorando come sugar baby per un uomo incontrato su Internet. Un giorno, Danielle deve andare con la sua famiglia a una veglia funebre ebraica (detta appunto shiva) e si ritroverà costretta a dover affrontare prima un vero e proprio interrogatorio da parte delle donne della famiglia, che la fanno sentire sotto esame con le loro domande sul suo futuro; poi la propria confusione sessuale, quando incontrerà la sua ex-ragazza, figli di amici di famiglia, per cui prova ancora dei sentimenti e, infine, il suo stesso sugar daddy che si presenta alla cerimonia con moglie e figlio al seguito senza sapere che Danielle si trova lì. La storia del film segue lo svilupparsi del pomeriggio, in una tragicomica escalation di ansia e nervosismo da parte di Danielle, che prova a districarsi tra i propri problemi e l’insistente ficcanasare della sua famiglia.

Un ritratto dell’ansia dei millennial

Il pregio principale del film è quello di raccontare con un espressionismo incredibilmente sincero lo stato di ansia che definisce la generazione dei millennial tramite le dinamiche sentimentali e familiari della protagonista. Il film è estremamente “parlato”, il battibeccare dei familiari di Danielle è continuo e irritante – un effetto che viene aumentato dalla colonna sonora, più vicina a quella di un thriller psicologico che a quella di una commedia. L’ansia di Danielle è l’ansia di tutti i millennial che si sono ritrovati a dover spiegare il proprio percorso di studi non-convenzionale a una vecchia zia poco convinta che li tempesta di domande, l’ansia di chi possiede una sessualità fluida ma non sa come spiegarlo a una famiglia per cui esistono solo matrimonio e figli, l’ansia di qualunque giovane che non viene preso sul serio da un boomer che semplicemente non ha l’apertura mentale per capirlo. In una parola: l’ansia di qualunque giovane che vorrebbe scappare da un’asfissiante riunione familiare.

La regia di Seligman ha una maestria incredibile nell’orchestrare questi crescendo di claustrofobia e cringe ma la vera star del film è la sceneggiatura, capace di toccare con grande disinvoltura tutti i grandi temi generazionali che riguardano i millennial e i loro problemi. Ci sono le difficoltà economiche della nuova generazione, il suo rapporto fluido e confusionario con il sesso, le difficoltà a conformarsi alle aspettative di una generazione che ha vissuto in un’epoca dalle certezze chiare e precise, la sindrome da Peter Pan, la mancanza del desiderio di avere figli e mettere su famiglia e, infine, il conflitto fra libertà personale e conformismo sociale. Per l’intero corso del film, Danielle è messa contro una schiera di uomini e donne di mezz’età che la costringe a dare conto e ragione di ogni sua decisione – anche quando lei stessa non ha francamente idea di cosa stia facendo o perché. 

Il nuovo personaggio del “messy millennial”

Shiva Baby è forse uno degli esempi migliori di quello che il giornalista Aspen Nelson ha definito il messy millennial trope, ossia un nuovo tipo di personaggio della commedia (specialmente americana) che ha superato l’immagine che le vecchie sit-com e film dipingevano degli young adult. Non a caso la premessa del film è stata da molti paragonata a una sit-com con il suo cast quasi teatrale di personaggi che si muovono nella medesima casa. I protagonisti di serie come Friends, Sex and the City o Will & Grace avevano percorsi molto chiari nella propria vita: carriere precise e sempre di successo, dimore fisse e spesso molto spaziose al centro di New York, vite amorose scandite da relazioni più o meno durevoli, pochi o nessun dubbio sul proprio status, sul proprio futuro o sulla propria sessualità. Personaggi come quelli di Girls, Master of None, Broad City, Love o You’re the Worst vivono dei conflitti del tutto nuovi rispetto a quelli visti nella comedy a cui siamo abituati: il lavoro non è sempre una continua e sicura ascesa, il sesso in sé smette di essere problematico ma lo diventano le situazioni causate dal sesso, il conflitto non si muove più nel Central Perk di turno ma si svolge anche attraverso il mondo digitale, i social media. 

Ciò che rende Shiva Baby un film fatto da millennial per millennial, però, è il fatto di non ragionare in termini assoluti, senza fornire risposte risolutive o definire dei buoni e dei cattivi. Un elemento che ha tutto il sapore del relativismo di questa generazione. Danielle è vittima di se stessa e dei suoi comportamenti, oltre che delle importune donne della famiglia e il suo sex work non è mai giudicato. Sua madre non è intollerante ma solo preoccupata e un po’ impicciona. La ex-fidanzata di Danielle le vuole bene, ma le piace provocare. Il suo sugar daddy è un marito fedifrago ma vuole davvero bene sia a sua moglie che alla sua amante. Tutti sono, in fondo, solo degli esseri umani ed è questo che la scena conclusiva sottolinea: abbiamo tutti i nostri pregi e difetti e soprattutto molte apparenze da mantenere ma la comunità che ci circonda è l’unica cosa su cui possiamo contare.