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Da Napoli a Porta Venezia: intervista a LA NIÑA

"Porta Venezia o Porta Capuana, puortace rispetto a Napule e a Milano”

Da Napoli a Porta Venezia: intervista a LA NIÑA Porta Venezia o Porta Capuana, puortace rispetto a Napule e a Milano”
Fotografo
Eleonora d’Angelo & KWSK Ninja

Si fa risalire alla metà del 1500 l’inizio della dominazione spagnola a Napoli. Una dominazione che, come quella francese a cui fece seguito, ha segnato profondamente la cultura napoletana, tanto da modificarne la lingua, l’estetica e addirittura la topografia. E poi c’è la musica, che negli anni ha subito una contaminazione sempre più forte: tanti dei più grandi autori napoletani - da Pino Daniele a Nino D’Angelo - hanno reinterpretato i loro classici in spagnolo, fino ad arrivare alla genesi di quello che può essere definito come “spagnoletano”, una nuova lingua - che fa il paio con lo spanglish - che mescola dialetto e spagnolo. LA NIÑA - la nuova vita artistica di Carola Moccia, dopo i Fitness Forever, Cyen e YOMBE - rispecchia perfettamente i canoni dell’influenza estetica e culturale spagnola su Napoli, inserendosi all’interno della rinascita artistica napoletana in maniera alquanto peculiare. Non è semplice ritrovare infatti - se non in specifici contesti dell’industria dell’intrattenimento - protagonisti femminili in grado di portare avanti l’immaginario pop napoletano, fatto di contrasti tra alto e basso, passione ed estetica. 

Non perdetevi il concerto de LA NIÑA domani 25 gennaio all'Apollo Club di Milano a partire dalle 23:00. Cliccate questo link per tutte le informazioni.

Quando nasce l’idea di LA NIÑA? 

Più che da un’idea LA NIÑA è nata da una necessità. Per anni ho scritto e cantato in inglese, a volte anche in italiano, ma sentivo di non stare dicendo tutta la verità, le parole mi suonavano vuote e deboli al punto che non sopportavo più la mia stessa voce. È stato però in seguito ad un evento molto triste, nel quale ho perso una persona estremamente importante in circostanze a dir poco tragiche, che qualcosa in me è cambiato ed ho trovato finalmente il coraggio di raccontarmi senza filtri. La lingua era proprio uno di quelli, ecco il perché del napoletano. Per la prima volta sento di essere in grado di restituire tutta la violenza e la profondità delle emozioni, sarà che il napoletano ha una potenza evocativa incontenibile in grado di risvegliare anche i cuori più dormienti, e posso dirti che il mio ha dormito molto a lungo. 

La tua estetica fonde la vicinanza culturale di Napoli con lo stile spagnolo: quali sono i riferimenti estetici su cui l’hai costruita? 

Diciamo che la mia estetica è il risultato inevitabile di una fusione antica tra due culture. La dominazione spagnola a Napoli è durata un secolo e mezzo, influenzandone la pittura, l’architettura e soprattutto la lingua. Quindi credo che un po’ di Spagna sia presente nello “starter pack” di ogni napoletano. Il nome stesso LA NIÑA, di matrice ispanica, ha un suo corrispettivo napoletano incredibilmente simile: “’A nenna” (bambina - piccolina - ragazza, ndr). Sono tantissime le affinità tra le due culture e altrettante sono le parole che la nostra lingua ha mutuato dalla loro. E la cosa incredibile è che dalle nostre parti si sente ancora un legame fortissimo con il mondo latinoamericano in generale, specialmente nella musica. Quindi più che parlare di un’immagine/estetica che ho costruito forse dovremmo parlare di genetica o geopolitica. Penso che Napoli sia la città più internazionale nella quale sia mai stata e spero che LA NIÑA sia in grado di rispecchiarne tutto il suo multiculturalismo.

 

La barriera linguistica del napoletano è, di recente più che mai, caduta. Culturalmente, quanto pensi possa essere rilevante per un’artista? 

È una cosa meravigliosa. I progetti musicali o cinematografici che da qualche tempo hanno riportato Napoli sotto i riflettori hanno “solo” dato nuova linfa vitale ad una lingua che in realtà è stata sdoganata secoli fa. Sono orgogliosa di come il napoletano riesca ad attraversare i secoli invecchiando benissimo, re-inventandosi e arricchendosi di neologismi pur mantenendo una fortissima identità. È una lingua estremamente versatile in grado di adattarsi ed interpretare le tendenze. Credo che il segreto (oltre che nella sua musicalità) sia nel suo essere incisiva e chirurgica. Non mi spiego diversamente come centinaia di canzoni siano entrate nell’immaginario di tante persone che non parlano minimamente il napoletano. Forse predispone emotivamente le persone ad accogliere un messaggio anche quando questo non è decifrabile istantaneamente. A tal proposito sto leggendo un libro magnifico (il titolo è: “Psicopolitica”) che parla proprio della perdita di Eros intesa come assenza di desiderio di comprendere l’altro, caratteristica della nostra società tecnologica e neoliberale. In questa società super veloce, auto-riferita e narcisistica penso che tutto ciò che preveda una sforzo sia un grande atto di amore e di apertura verso l’altro. Sono infatti consapevole che un progetto in napoletano come il mio richiede un certo grado attenzione, specialmente se non si è familiari con il dialetto. 

I social sono oggi fondamentali per l’espressione di una artista, e il tuo Instagram racconta una storia ben precisa e coerente. Come ci lavori? 

Grazie mille intanto. Beh, a dire il vero non posto moltissimo, a volte passa anche un mese tra una foto e l’altra. Il motivo di questa “latenza” è che voglio che il mio profilo social corrisponda all’artista che sono diventata. Non tutto vale la pena di essere condiviso, ed io non sono interessata a produrre costantemente immagini narcisiste e prive di messaggio col solo scopo di guadagnare nuovi followers. Mi rendo conto che questo tipo di approccio non paga a breve termine, tuttavia mi sento perfettamente a mio agio con questa modalità. Credo che l’over-communication stia già saturando agli occhi dei più attenti. Instagram è tanto “istantaneo” quanto mortalmente noioso, tutto sembra uguale e prevedibile anche quando si prova a celebrare la diversità, e forse bisognerebbe iniziare a parlare di ecologia dell’immagine. Con il tempo ho realizzato che l’unico modo per scampare a questa deriva malsana di auto-compiacimento ed auto-ottimizzazione fosse usare i social con molta misura, comunicando la mia arte e non la mia vita privata. Voglio continuare a vivere la musica come libertà e ricerca, decidendo io cosa postare e quando. È molto meglio perdere followers che se stessi.  

 

Che tipo di storia ha scelto di raccontare LA NIÑA? 

Ne racconto diverse, non parlo sempre della mia storia. Mi piace immedesimarmi nelle vite altrui, intepretare ruoli femminili diametralmente opposti. Attingo dalla mitologia o dalla bibbia così come dai racconti popolari o dalla strada. Voglio “dare voce” a persone o personaggi cui la storia non ha reso giustizia. Donne di potere, divinità, transessuali; per me sono tutte storie affascinanti che racconto calandole in un contesto iper-contemporaneo. SALOMÈ ne è l’esempio lampante, è una donna che grida vendetta ma lo fa vestita in latex in sella ad una moto da corsa. 

Si parla sempre di più della nuova estetica napoletana, dalla moda alla musica al cinema. Spesso però si fanno dei riferimenti prettamente maschili. Che idea ti sei fatta? 

Boh, nessuna. Però mi guardo intorno e ne vedo pochissime di donne di cui valga la pena parlare. A volerne indagare le ragioni si arriverebbe all’uovo e alla gallina e non credo sia il mio compito. 

 

Sei passata attraverso diverse vite artistiche: LA NIÑA è quella che senti più tua? 

Credo che ogni artista ti darebbe la stessa risposta: l’ultima cosa che ho fatto è la migliore. Se sono arrivata a LA NIÑA è perchè volevo somigliare sempre di più a me stessa. Volevo annullare il confine tra vita e arte, e di certo mi sento più vicina di prima a questo traguardo. Non devo più sforzarmi di piacere a qualcuno perchè quello che ho da dire è esattamente ciò che sono e non posso più cambiarlo. 

Hai preso parte a le Ragazze di Porta Venezia. Come credi che quel tipo di messaggio possa diffondersi a Napoli e incontrare l’estetica napoletana? 

Beh Napoli è una gigantesca Porta Venezia. È una città che da secoli accoglie ed ingloba diversità e culture per le ragioni storiche di cui sopra. La figura del “Femminiello” ad esempio è stata sempre ben voluta dalla cultura popolare, prima ancora che si iniziasse a parlare di “gender equality”. Questo non vuol dire che oggi non sia più necessario ribadire e celebrare la diversità. Purtroppo viviamo in un paese in cui, di tanto in tanto, bisogna ricordare a qualche decerebrato che i colori sono tanti quanto quelli dell’arcobaleno e sono tutti belli. Quindi viva Le Ragazze di Porta Venezia e qualsiasi altro manifesto in cui si combatte l’ignoranza. Come ho cantato di recente dal vivo sul palco con MYSS KETA nella mia strofa della canzone: “Porta Venezia o Porta Capuana, puortace rispetto a Napule e a Milano”