
La Gen Z si porta i genitori in ufficio Così possono parlare all'HR al loro posto
Andare a lavoro con i genitori da piccoli era un po’ come fare il cosplay dell’adulto in carriera, entrare nell’ufficio, nel negozio o nella classe ed immaginarsi un po’ come sarebbe stato diventare “grandi”. Nonostante ci sia chi si rivolge ancora alla Gen Z come se fossero bambini, i trenta si avvicinano sempre di più. Ciò significa che la maggior parte della generazione nata tra il 1997 e il 2012 è ben avviata nel mercato del lavoro (o comunque ci si avvicina). Certo, un mercato del lavoro fortemente disastroso, tra le continue recessioni, un presunto crollo finanziario dietro l’angolo e guerre commerciali in atto. Eppure c’è qualcosa che fa ben più paura di tutte le vicissitudini globali. Secondo un report di Resume Templates, quasi la metà della Gen Z si porta la mamma a lavoro per parlare con il capo.
La Gen Z affronta il mondo del lavoro con i genitori
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Il sondaggio, condotto nel luglio 2025 su un campione di 831 giovani adulti statunitensi, tutti impiegati full-time e di età compresa tra i 18 e i 28 anni, aveva l’obiettivo di misurare quanto i genitori fossero coinvolti nella vita lavorativa dei figli. Il report mostra come il supporto familiare non si limiti più alla revisione del curriculum o a un consiglio prima del colloquio, ma molti giovani delegano ormai ai genitori intere fasi del processo di selezione, dalle mail ai recruiter alle conversazioni iniziali con HR.
In alcuni casi, mamma e papà arrivano a presentarsi fisicamente ai colloqui, a rispondere alle domande dei hiring manager, a introdursi da soli o addirittura a negoziare salario e benefit. Secondo il report, più del 77% dei partecipanti ha portato almeno una volta un genitore a un colloquio, oltre il 40% li ha fatti sedere durante l’intervista, mentre circa un terzo ha avuto un genitore che ha posto domande o gestito parti della trattativa. Un comportamento che fino a pochi anni fa sarebbe sembrato preso da una barzelletta da boomer e che oggi, invece, rappresenta una realtà quotidiana per diversissime aziende statunitensi.
Per una parte consistente della Gen Z, i genitori continuano a essere interlocutori attivi anche dopo l’assunzione. L’86% fa rivedere ai genitori le proprie performance review, il 79% li coinvolge nelle comunicazioni con il manager e circa la metà affida loro conversazioni delicate come richieste di tempo libero, discussioni su un aumento o la gestione di conflitti interni. In certi casi, addirittura, i genitori parlano con il manager più spesso dei loro figli.
La generazione più mammona di sempre?
I think about how most Gen Z individuals are either dependent on their parents still, or viciously struggling to make a living. The youth have no guarantee of a stable future. The economic crisis keeps making this more evident. Atp, this shit reminds me life has never made sense pic.twitter.com/sszjPF5Vpp
— (@joyadhiamboo) June 10, 2025
Una dinamica che non nasce da un capriccio, ma da una serie di condizioni che hanno modellato la Gen Z molto prima del suo debutto nel mondo del lavoro. È vero che parliamo di una generazione cresciuta sotto una supervisione costante, con genitori (spesso appartenenti alla Gen X) che negli anni hanno supervisionato ogni attività e corretto ogni minima deviazione dei figli, convinti che la protezione fosse la forma più alta di amore. È difficile, ora, aspettarsi che quella stessa trama di iper-presenza si dissolva magicamente quando arriva il primo step dell’età adulta.
Secondo Julia Toothacre, Chief Career Strategist di Resume Templates, il supporto familiare può essere una risorsa finché resta dietro le quinte, ma quando passa in primo piano, quindi quando mamma o papà negoziano un aumento o risolvono un conflitto, il rischio è duplice: da una parte impedisce ai giovani di accumulare quelle esperienze che costruiscono autonomia, dall’altra spinge manager e colleghi a leggere questi comportamenti come mancanza di maturità.
Le consequenze della pandemia sulla Gen Z
Ma ridurre tutto a “la Gen Z non sa cavarsela da sola” sarebbe una lettura superficiale. Anche perché, storicamente, non si era mai visto un esercito di genitori presentarsi in azienda come fossero codipendenti. Eppure, a ben guardare, ha radici precise. La Gen Z è l’unica generazione moderna che ha saltato, di colpo, una sequenza intera di milestone formative. Tra lockdown, scuole chiuse, tirocini cancellati e università vissute come finestre di Zoom, si è vista sottrarre proprio quel tratto di strada, dai 16 ai 23, in cui si impara a sbagliare da soli, a discutere da soli, a crescere da soli.
Di fronte a un mercato che chiede tutto e offre poco, la famiglia diventa quindi una sorta di cintura di sicurezza emotiva. Non perché la Gen Z sia “fragile”, ma perché è stata lanciata in un contesto più instabile di qualsiasi generazione precedente, con meno tutele, meno orizzonti e meno tempo per costruire gli strumenti con cui affrontarlo. C’è anche da dire che però non tutto è una scusa e ad un certo punto anche la Gen Z dovrà sentirsi obbligata a crescere, a diventare indipendente e a “smollarsi” definitivamente dall’amore di mamma e papà. Altrimenti il rischio è che durante la prima notte di nozze, ci sarà bisogno dell’emotional support dei propri genitori.














































