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Gen Z stare: come i giovani affrontano il mondo del lavoro Spoiler: male, ma di chi è la davvero la colpa?

Gen Z stare: come i giovani affrontano il mondo del lavoro Spoiler: male, ma di chi è la davvero la colpa?

Per la prima volta nella storia, quest’anno la Gen Z supererà i Boomer nella forza lavoro. Si tratta di un passaggio naturale, legato all’aumento del numero di individui nati a metà del secolo scorso che raggiungono la pensione, mentre la cosiddetta “generazione più controversa di sempre” abbandona progressivamente l’adolescenza e si avvicina ai trent’anni. La relazione della Gen Z con il mondo lavorativo non è certamente facile, anzi si potrebbe definire quasi disfunzionale. Che il lavoro d’ufficio non sia adatto a tutti è ormai un dato di fatto, ma nei giovani il rifiuto verso certi modelli lavorativi è sempre più marcato ed evidente. Se l’anno scorso spopolava il trend del quiet quitting, ovvero la pratica di svolgere il minimo indispensabile senza manifestare particolare impegno o entusiasmo, quest’anno TikTok ha introdotto un nuovo termine, il task masking. In sintesi, obbligati a lavorare in presenza anziché da remoto, i membri della Gen Z hanno iniziato a fingere di essere impegnati evitando deliberatamente mansioni extra, quasi come una forma silenziosa di protesta. Sul finire del 2024, invece, era emerso il micro-retirement, cioè la pratica di concedersi un paio di settimane di pausa ogni sei mesi. I concetti che circolano sui social quando si tratta del rapporto tra giovani e lavoro assumono sfumature sempre più bizzarre, al punto che The Atlantic ha dedicato un pezzo ironico all’assurdità di questo lingo. Al di là delle etichette, però, il quadro generale appare piuttosto chiaro, se si parla di under 30 e lavoro, la situazione sembra peggiorare sempre di più. La domanda resta sempre la stessa: il problema è il sistema lavorativo, sempre più distante dalle reali necessità dei lavoratori, o è la Gen Z, davvero svogliata e poco motivata?

Gen Z stare: come i giovani affrontano il mondo del lavoro Spoiler: male, ma di chi è la davvero la colpa? | Image 575656
Gen Z stare: come i giovani affrontano il mondo del lavoro Spoiler: male, ma di chi è la davvero la colpa? | Image 575655

Ad peggiorare il carico, nelle ultime settimane il trend che domina la For You Page su TikTok è quello del Gen Z stare. Con questo termine si indica lo sguardo fisso e inespressivo tipico di alcuni giovani in varie situazioni sociali e lavorative. Sebbene molti critici liquidino questa espressione come sintomo di noia, indifferenza o superiorità, esperti e sociologi suggeriscono un’interpretazione più profonda. Come sottolinea Forbes, l’espressione non rappresenterebbe affatto semplice disinteresse, ma piuttosto un disagio più ampio e significativo nei confronti della cultura lavorativa contemporanea. Un’espressione piatta, quasi da zombie, spesso osservata durante incontri di lavoro o interazioni quotidiane, potrebbe essere la manifestazione visibile di un divario crescente nella comunicazione intergenerazionale e di un forte scollamento tra le aspettative dei giovani e la realtà degli ambienti di lavoro tradizionali. Se è vero che questa generazione è spesso etichettata come oppositiva, difficile da gestire e pronta a lasciare un impiego se non trova equilibrio tra vita privata e lavorativa, forse il “Gen Z stare” più che un fenomeno virale su TikTok, potrebbe essere il sintomo più evidente di una crisi sistemica.

@jayy.sss Literally proving the point#genzstare #genz #jayysss Ocarina Of Time Theme (From "The Legend Of Zelda") - Gaming World

A tal proposito, qualche settimana fa Dazed ha pubblicato un articolo incentrato su come, per andare controcorrente alla disperazione della Gen Z, l’unica soluzione sarebbe “decentrare” il lavoro dalle proprie vite. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la crisi economica globale che frena le assunzioni e un senso di apatia generazionale («sta finendo il mondo, perché dovrei stressarmi per il lavoro?»), il lavoro potrebbe essere semplicemente qualcosa che “va fatto” e non un obiettivo centrale della propria vita. Come racconta Dazed, «è importante capire come si viene valutati in un posto in cui si scambiano tempo, competenze, mente e corpo per denaro». Il sentimento è lampante anche sui social, dove molti giovani sottolineano che il lavoro non è semplicemente una fonte di soddisfazione personale, ma un contratto implicito che baratta qualcosa di irripetibile, il proprio tempo, la propria salute, per una retribuzione spesso insufficiente a garantire indipendenza economica. Una riflessione che trova eco nel libro After Work di Helen Hester e Nick Srnicek, dove gli autori spiegano che «siamo costretti a lavorare sotto minaccia di povertà, fame e perdita della casa». Non si tratta quindi di “vocazione”, ma di necessità. Anche quando il lavoro risulta piacevole, il tempo e l’energia richiesti possono facilmente annullarne gli aspetti positivi.

L’astio verso la vita lavorativa ha raggiunto un punto tale che, negli ultimi mesi, su X si è diffuso un trend a tratti amarcord sulla «unemployed life». Sono in tanti, infatti, a sottolineare come la vita senza lavoro non soltanto li renda più rilassati, ma offra loro tempo e spazio da dedicare a hobby, sport e attività che sarebbero difficilmente conciliabili con una normale routine da ufficio, c’è persino chi ironizza la possibilità di licenziarsi proprio per godersi una vita da disoccupati. Per quanto ironico e volutamente leggero, un trend del genere mette nuovamente in evidenza quanto le nuove generazioni siano ormai lontane e disilluse dall’ideale “corporate” con cui sono cresciute. Un fenomeno, questo, che aveva già preso piede con i Millennial, ma che nella Gen Z ha trovato un terreno perfettamente fertile. Le cause di questa crescente distanza sono molteplici: dagli studi rallentati o interrotti per colpa della pandemia da Covid, all’ingresso nel mondo del lavoro rimandato a causa delle recessioni economiche, fino alle opportunità di carriera drasticamente ridotte dalle continue tensioni geopolitiche e guerre economiche. Ma quindi, è davvero così terribile non avere un lavoro? Dopotutto, già nel 1984 gli Smiths cantavano malinconia «I was looking for a job - and then I found a job - and heaven knows I’m miserable now», ma la possibilità di vivere una vita idilliaca dedicata ai propri interessi personali è un lusso che pochi si possono permettere.