A Guide to All Creative Directors

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La Gen Z preferisce lavorare in ufficio?

I giovani che entrano nel mondo del lavoro preferiscono i rapporti reali e umani sul luogo di lavoro rispetto a smartworking e call da remoto

La Gen Z preferisce lavorare in ufficio? I giovani che entrano nel mondo del lavoro preferiscono i rapporti reali e umani sul luogo di lavoro rispetto a smartworking e call da remoto

In questi anni si è sentito parlare molto della Generazione Z. I ragazzi nati tra il 1997 e il 2012 sono stati etichettati, studiati, criticati ed elogiati come nessun’altra generazione prima di loro. Si è detto che rappresentano una generazione con una coscienza politica e sociale risvegliata; che sono stati rovinati dalla pandemia di Covid e dalle crisi ambientali, politiche e sociali; che sono la generazione più social di tutte, schiava di TikTok; e anche che sono i primi a considerare la vita privata e la salute, mentale e fisica, più importanti del lavoro, preferendo una paga più bassa in cambio di un miglior equilibrio tra vita e lavoro. Proprio su questo ultimo punto, un recente report di JLL ha analizzato ancora una volta il rapporto tra la Generazione Z e il lavoro, arrivando però a una conclusione sorprendente: cinque anni dopo il lockdown, è proprio la nuova generazione a guidare il cosiddetto “return to office trend”. Lo studio, pubblicato ad aprile 2025, evidenzia come, contrariamente alle aspettative, i lavoratori più giovani stiano guidando il ritorno in ufficio, mostrando una preferenza per i contatti in presenza e per gli spazi fisici dedicati al lavoro rispetto alle call e allo smart working. Il sondaggio, condotto su oltre 12.000 dipendenti di vari settori in 44 Paesi, ha rilevato che la Generazione Z è più propensa a lavorare in ufficio rispetto alle fasce d’età più anziane.

@thatcorporatelawyer Are you team WFH, in office or hybrid?! ‍ #work #worklife #millennials #generations #office #corporate #relatable Time to Pretend - MGMT

Il report segnala anche importanti differenze geografiche nelle tendenze di rientro in ufficio. Nei Paesi del Medio Oriente, ad esempio, la media è di tre giorni e mezzo/quattro giorni a settimana in presenza, mentre nel Regno Unito e in Canada si scende a circa due giorni. Anche negli Stati Uniti si registra una preferenza per il lavoro ibrido, con una media leggermente superiore ai due giorni in ufficio. I lavoratori più giovani (fino a 24 anni) sono presenti in ufficio in media tre giorni a settimana, un dato superiore rispetto a tutte le altre fasce d’età. Lo studio ha anche messo in evidenza un crescente divario generazionale negli atteggiamenti nei confronti del lavoro. Questo rappresenta una sfida importante per i datori di lavoro, che devono cercare di costruire ambienti e culture aziendali capaci di soddisfare sia le esigenze dei lavoratori più giovani sia quelle delle generazioni più anziane, che possono offrire maggiore esperienza. Sebbene i giovani sembrino più entusiasti dell’ufficio, le risposte al sondaggio indicano che apprezzano anche la flessibilità. È emerso infatti che i lavoratori sotto i 34 anni danno priorità all’equilibrio tra vita privata e lavoro e alla flessibilità, mentre gli over 55 sono più attenti alle condizioni fisiche dell’ambiente di lavoro, come temperatura, rumore e qualità dell’aria. Ma non è tutto. Un altro recente report sul tema, 2025 Gen Z and Millennial di Deloitte, ha rilevato che il 26% del campione di Gen Z intervistati si è sentito più coinvolto e legato alla propria azienda dopo l’introduzione, da parte del datore di lavoro, di un regime di lavoro in ufficio almeno part-time. D’altra parte, però, il 18% ritiene che il ritorno obbligatorio in ufficio abbia comportato una diminuzione della produttività. Contrariamente agli stereotipi sul lavoro e ai meme che incoraggiano il quiet quitting la Generazione Z sembra essere legata al lavoro e al luogo fisico di lavoro.

Di questa opinione è anche Mark Dixon, fondatore e CEO del gruppo IWG, che ha dichiarato al Financial Times che la Generazione Z «non solo è in rapida ascesa come gruppo demografico di notevole influenza, ma è anche incredibilmente laboriosa [e] si aspetta un sano equilibrio tra la propria vita professionale e gli impegni personali». A confermare questa tendenza ci sono anche numerosi account TikTok di giovani della Gen Z che lavorano in ambito corporate e raccontano con orgoglio la loro vita da ufficio “9 to 5”. Una di queste è Jemima Grace, una lavoratrice londinese che documenta su TikTok la sua quotidianità in azienda. Uno dei suoi video più recenti ha superato i 4 milioni di visualizzazioni e mostra la routine mattutina, la scelta dell’outfit da ufficio, l’arrivo in azienda, le e-mail, la pausa pranzo, il caffè, i meeting e infine il rientro a casa. L’hashtag #corporategirlies conta oltre 179.000 video, tutti con uno stile simile a quello di Jemima Grace, che, intervistata sempre dal Financial Times, ha affermato che questi contenuti aiutano la Generazione Z a orientarsi nel mondo del lavoro. I giovani crescono e cambiano abitudini, priorità e visioni del mondo. Studiare i loro comportamenti e bisogni è certamente fondamentale, ma cercare di darne una definizione definitiva e univoca rischia di rivelarsi inefficace, soprattutto considerando la rapidità con cui le nuove generazioni si trasformano. Forse non diventeranno mai gli impiegati alienati di Severance, ma anche i ragazzi della Generazione Z sono cresciuti e stanno entrando nel mondo del lavoro in modo più simile alle generazioni precedenti di quanto molti si aspettassero.