
«Oggi ai media manca autorevolezza», intervista a Luca De Gennaro L’ascesa e la caduta dei media per i giovani, raccontata da chi li ha portati al successo

Il 31 dicembre segnerà l’ultimo giorno in cui sarà possibile vedere i canali musicali di MTV in giro per l’Europa. La notizia, annunciata lo scorso ottobre, ha scatenato un’ondata di indignazione e nostalgia in giro per l’internet, riportando ancora una volta al centro il tema della crisi permanente che i media tradizionali attraversano da quasi quindici anni, dall’avvento dei social. Ma era davvero così inaspettato? MTV, le radio e i magazine di nicchia sono stati media che, tra gli anni ’80 e i 2010, hanno saputo canalizzare lo zeitgeist di intere generazioni e subculture.
Eppure in molti ignorano quanto sia stato difficile, se non impossibile, per questi stessi media tenere il passo con la rivoluzione tecnologica imposta dalle nuove piattaforme digitali. I segnali erano già presenti da ormai una decina d’anni, ma per capire cosa si è rotto nel rapporto tra media tradizionali e nuove generazioni, abbiamo parlato con chi ha vissuto in prima persona l’epoca d’oro dei media per giovani e ne ha anche in parte determinato il successo sul suolo italiano, Luca De Gennaro. Leggendario DJ, anchor di Radio Capital, attualmente responsabile dei contenuti musicali di Paramount Global, nonché ex capo del dipartimento Talent & Music del primissimo MTV Italia.
Oggi sui social si parla molto di carriera non-lineare, e la sua ne è un grande esempio. Partito come disc jockey, poi conduttore radiofonico, manager televisivo, giornalista e critico musicale, e ora anche docente e scrittore. È stata una progressione naturale o un cambiamento dettato dalla necessità?
Luca De Gennaro: Naturalmente dobbiamo riportare tutto a mezzo secolo fa, siccome ho iniziato a lavorare nelle prime radio libere nel ‘76, quando ero al liceo. All’inizio era un hobby e ricordo che quando il proprietario della radio di Genova mi diede il primo assegno mensile gli chiesi: «Ma perché mi stai dando dei soldi? Io vengo qui a divertirmi».
Poi la carriera ha iniziato a intrecciarsi da sola. A vent’anni volevo cambiare aria, mi sono trasferito a Roma, volevo esplorare nuove cose, entrare nel mondo adulto e a quel punto non bastava più quel poco che ti dava la radio privata per campare. Quindi ho iniziato a integrare tutte le mie attività: radio, discoteca, scrittura di articoli, e poi via via televisione, eventi, libri, università. La mia missione è sempre stata prendere la musica e portarla al pubblico attraverso qualunque mezzo fosse necessario. Tutto il resto è arrivato con il tempo.
Nel 2025 i media dedicati ai giovani sono praticamente scomparsi, inglobati dai social. Com’era lavorare in qualcosa per giovani, fatto da giovani?
LDG: Quando MTV arrivò in Italia nel 1997 non si aspettava altro. Ebbi l’occasione di entrare nel primo team che lanciò il canale in TV, facendo anche scelte radicali: pensa che lavoravo alla RAI da 15 anni e l’idea di lasciare tutto, trasferirmi a Milano e rivoluzionare la mia vita faceva paura, anche perché mi ero appena sposato ed ero diventato padre da pochissimo. A un certo punto però dissi a mia moglie che non potevo lasciar passare quell’occasione, MTV era il mezzo giovanile più importante del mondo e rifiutare era fondamentalmente impensabile.
Un aneddoto inedito? È vero che fu MTV a cercarla?
LDG: Sì e no. Il primo responsabile italiano del primo nucleo di MTV era un mio ascoltatore quando ero a Radio RAI. Si era fatto vivo dicendo che ci sarebbe stato bisogno di gente come me. Poi comunque ho fatto il colloquio come tanti altri, si è creata l’opportunità e l’ho colta.
Qual è stata la chiave del successo di MTV Italia? Il palinsesto era molto diverso dalla casa madre americana.
LDG: MTV Italia, a un certo punto, era quasi un esempio per gli altri paesi. America e Inghilterra guardavano i risultati straordinari di un canale che funzionava molto meglio di altri mercati, era leader assoluto sul pubblico giovane. Se volevi investire sui giovani, investivi su MTV, per questo non aveva problemi di pubblicità. Molti canali semplicemente replicavano i format anglosassoni, noi invece abbiamo investito sul locale.
Per questo MTV è stata l’ultima vera scuola di nuovi volti in Italia: Cattelan, Camila Raznovich, Victoria Cabello, Marco Maccarini, Giorgia Surina, un’intera generazione di conduttori ha incominciato proprio lì. Come anche I Soliti Idioti, se devo essere sincero, a volte mi dava fastidio quando dicevano che fossero il fenomeno di YouTube, erano roba nostra [ride].
Nei suoi ultimi libri parla degli anni ’80 e poi degli anni ’90 come decenni cruciali per musica e subculture. Cosa è avvenuto dopo? Cosa sono stati i 2000?
LDG: Gli ultimi due libri parlano di due periodi di cinque anni: Pop Life analizza dal 1982 al 1986, con l’arrivo di MTV e del compact disc; e Generazione Alternativa prende dal 1991 al 1995, l’era dei Nirvana, del Lollapalooza, ma anche delle boy band e delle pop star. Quando MTV è arrivata in Italia nel ‘96, lo scenario stava già cambiando: c’era un sottobosco di musica italiana che aveva bisogno di una voce e io dissi al mio capo: «Dovremmo essere noi quella voce».
I primi Subsonica, i Bluvertigo, poi Meganoidi, Africa Unite, Afterhours, così come le nuove figure femminili, tipo Elisa e Carmen Consoli. E subito dopo il primo rap italiano: Club Dogo, Fabri Fibra, Mondo Marcio. Ricordo ancora quando vidi per la prima volta un live di rap italiano una serata a Roma e dissi subito che era completamente in linea con il DNA di MTV, quindi ci dovevamo fare portavoci di questo nuovo genere. Con il tempo mi verrebbe da dire che quello sia stato l’ultimo periodo in cui la categoria “giovani” dettava legge, siccome il mercato lo decidevano i 15-35enni. Oggi, invece, lo decidono i pre-adolescenti, perché sono loro a influenzare TikTok, Spotify, le classifiche e cosa è rilevante.
Qual è la sua opinione sul panorama mediatico attuale? Cosa è andato storto nel rapporto tra media tradizionali e Gen Z?
LDG: Ci sono troppi media, come dicevano i Police «too much information». Siamo bombardati da troppi impulsi e questo fa perdere autorevolezza. Quando eravamo piccoli, se l’aveva detto la radio, allora era vero, se un giornale pubblicava una cosa, quella cosa era vera. Oggi non possiamo credere a tutto quello che viene scritto per acchiappare click.
Proprio l’altro giorno qualcuno mi ha chiesto «perché non c’è più un’entità come MTV?», perché oggi chiunque è un media. Una volta MTV era il media e gli artisti erano il contenuto. Tutti volevano essere su MTV, perché significava arrivare a quel pubblico preciso, però da YouTube in poi gli artisti hanno capito che potevano trasmettere direttamente dai propri canali. E quando un artista diventa un media più potente del media stesso, la battaglia è persa.
C’è stato un momento della sua carriera che non dimenticherà mai?
LDG: Se devo pensare a un personaggio che mi ha veramente affascinato, direi David Bowie. Ho avuto la fortuna di passare mezz’ora con lui. Per me era quasi una divinità. E in quel momento capisci che tutti gli anni di lavoro che hai fatto hanno un senso. È come l’esame di maturità: quando ti promuovono, tutto assume coerenza.
Ultima domanda: cosa si augura per i media del futuro?
LDG: Di ricercare autorevolezza. Creare contenuti di cui ci si possa fidare. Bisogna uscire dalla cialtroneria, dal pressapochismo, dalla superficialità che vedo nei media contemporanei. Chi spicca davvero lo fa perché unisce immediatezza e intelligenza, ma soprattutto affidabilità. È questo secondo me l’unico modo per emergere.












































