
Da ChatGPT a Grok, presto preferiremo fare sesso con l'AI Da intelligenza artificiale a intimità artificiale
Negli annali della storia di Twitter, ora X, c’è un tweet del 2016 pubblicato dal tabloid inglese The Sun che riportava una notizia tanto shockante quanto surreale: «REVEALED: Women will be having more sex with ROBOTS than men by 2025». Il post era inizialmente diventato virale per la sua assurdità, poi anno dopo anno si è trasformato in un meme, complice la data specifica, tanto da innescare un conto alla rovescia ironico verso l’anno in corso. Oggi quel tweet conta oltre 126mila like e 125mila retweet. Eppure, se inizialmente l’articolo del The Sun poteva sembrare solo l’ennesimo titolo clickbait, senza saperlo aveva intercettato, seppur in modo grossolano, uno dei nodi più urgenti della nostra epoca: il crescente impatto dell’AI nelle vite accademiche, lavorative e ora anche personali della popolazione mondiale. Non a caso, negli ultimi giorni, Sam Altman ha annunciato che OpenAI permetterà contenuti per adulti, inclusa l’erotica su ChatGPT nell’ambito di una policy che mira a «trattare gli adulti come adulti».
Altman non è il primo miliardario tech ad investire sull'AI +18; già quest'estate Elon Musk (chi se non lui) aveva lanciato la nuova versione del suo modello linguistico, Grok 4. Ma la vera novità è l’introduzione dei Companion, chatbot antropomorfizzati progettati per offrire una forma di compagnia virtuale. Uno in particolare, di nome Ani, ha destato non poche perplessità.
Sexting Grok. How is this supposed to prevent population collapse? @elonmusk pic.twitter.com/fFgvXNJ2Bf
— Jeremy Judkins (@jeremyjudkins_) July 14, 2025
Capelli biondi raccolti in due codini alti, calze a rete e un abitino corto che, con un semplice comando, si trasforma in un babydoll trasparente lasciando intravedere un completino in pizzo. Ani sembra uscita da un manga anni Duemila, richiama particolarmente Misa di Death Note, ma è, de facto, una bambola gonfiabile del web 4.0. Un chatbot +18 capace di rispondere a domande come «cosa sai dell’olocausto?» con tono lascivo e seducente, un’AI sessualizzata che alimenta il fenomeno delle relazioni parasociali tra esseri umani e intelligenze artificiali. Quello che un tempo poteva sembrare un problema marginale, legato a community di incel o a individui isolati dal tessuto sociale, oggi si estende a fasce sempre più ampie della popolazione.
Una recente ricerca di Common Sense Media ha rivelato che il 75% degli adolescenti americani ha interagito almeno una volta con chatbot pensati per offrire compagnia emotiva, mentre il 52% dichiara di farlo regolarmente più volte al mese. Secondo Forbes, il rischio peggiore dell’AI antropomorfizzate sta nella creazione di relazioni sbilanciate, in cui l’utente proietta bisogni emotivi su un’entità programmata per rispondere in modo prevedibile e gratificante. Nel 2024, l’Association of Computing Machinery ha pubblicato un report che solleva preoccupazioni etiche legate proprio alla parasocialità delle AI antropomorfe. Il documento spiega come molti chatbot inducano l’utente a «riempire gli spazi vuoti» delle risposte predittive, facilitando una forma di manipolazione emotiva. In pratica, una relazione senza confronto, senza crescita e senza intimità, solo una continua corsa alla gratificazione immediata.
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Sono proprio questi i motivi per cui, nel 2025, si parla sempre più spesso di relationship recession, come sottolineato anche da Forbes in un report pubblicato a inizio anno. A differenza del passato, il calo delle nascite non sembra più legato alla scelta consapevole di ridurre la dimensione del nucleo familiare, ma a una crescente difficoltà nel formare coppie stabili. In altre parole, mancano le relazioni, non solo i figli. Ad aggravare questo quadro, c’è la crescente diffusione di quella che è stata definita male loneliness epidemic, ovvero un senso diffuso di solitudine tra molti uomini, che faticano a costruire legami autentici o a trovare contesti in cui esprimere vulnerabilità. In alcuni casi, questa solitudine sfocia in conseguenze gravi, mentre in altri viene banalizzata o strumentalizzata online, finendo per essere svuotata di significato e utilizzata come slogan da comunità tossiche e reazionarie.
È anche in questo contesto che si inserisce il crescente successo dei nuovi Companion di Musk. Il loro arrivo ha generato una certa inquietudine, soprattutto perché sembrano rispondere non solo al bisogno di compagnia, ma a una domanda molto più profonda e ambigua: quella di relazioni emotivamente accessibili, personalizzabili e soprattutto unidirezionali. La loro diffusione suggerisce che, per una parte della popolazione, sia ormai più semplice instaurare un dialogo con un’intelligenza artificiale piuttosto che affrontare conversazioni reali con amici, partner o figure professionali. Un riflesso di come la società contemporanea abbia progressivamente esternalizzato l’intimità, delegandola a strumenti che, per quanto sofisticati, restano pur sempre programmati per replicare, non per costruire, connessioni umane.
Nel suo pezzo uscito lo scorso marzo sul New Yorker, lo scienziato e filosofo Jaron Lanier rifletteva su quanto sia ancora rilevante distinguere tra un partner umano e uno artificiale. È una domanda che fino a poco fa sembrava assurda, come una distopia simil-Black Mirror, che invece oggi si insinua silenziosa nelle pieghe della quotidianità. Perché il punto non è tanto se sceglieremmo mai di innamorarci di un’AI, ma cosa cambia nel mondo intorno a noi nel momento in cui qualcuno lo fa. L’intimità artificiale non riguarda solo chi la vive in prima persona, ma altera i parametri dell’amore, della connessione, del desiderio.
In una società che fatica a sostenere il peso dell’empatia vera, forse non è un caso che proprio la semplicità di questi legami sintetici stia diventando un rifugio. Non si sa ancora che tipo di ferite o trasformazioni porterà questo cambio di paradigma, ma è coscienza che, storicamente, ogni volta che la tecnologia ha riscritto le regole dell’interazione umana, dal telefono ai social media, lo ha fatto con una velocità che non ha lasciato spazio all’elaborazione collettiva. Stavolta, però, la posta in gioco sembra ancora più alta: perché a essere ridefinito non è solo la comunicazione interpersonale, ma ciò che si è disposti a considerare amore.












































