A Guide to All Creative Directors

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L’era delle serie tv cancellate troppo presto

Facciamo il punto mentre cerchiamo di rimettere insieme i pezzi del nostro cuore spezzato

L’era delle serie tv cancellate troppo presto Facciamo il punto mentre cerchiamo di rimettere insieme i pezzi del nostro cuore spezzato

Che ci affezioniamo a fare? No, non ci riferiamo alle persone, ma alle serie tv. Nell’epoca della sovrabbondanza di contenuti, della proliferazione delle piattaforme e della rincorsa ossessiva alla novità, gli show hanno raggiunto un punto di saturazione e, con loro, gli spettatori. Costantemente stimolato, spinto dalla FOMO delle conversazioni social e influenzato dai trend del momento, il pubblico stesso è arrivato ad un punto di ebollizione in cui la quantità eccessiva di racconti seriali ha finito per sovrastarlo, quasi soffocarlo. Ormai va così: dopo un’intera serata a interrogarsi su quale nuovo titolo iniziare, dopo aver ponderato i pro e i contro della propria scelta e dopo aver calcolato quanto tempo avrebbe richiesto la visione di una stagione, lo spettatore si ritrova con la sua nuova serie tv preferita improvvisamente cancellata. Una pratica che ha preso piede con una velocità destabilizzante, non permettendo nemmeno agli spettatori di darsi il tempo di capire cosa stia accadendo, cominciando un nuovo show e vedendolo depennato prima ancora di essere arrivato alla fine.

 

E quindi la domanda torna: che ci affezioniamo a fare? A quanto pare non ci sono regole né in guerra, né in amore, né tantomeno quando si decide di produrre un nuovo prodotto seriale, nemmeno dopo la conferma per una seconda stagione. È il caso recente di Étoile, serie originale Prime Video firmata Amy Sherman-Palladino e Daniel Palladino (Una mamma per amicaLa fantastica signora Maisel), cancellata bruscamente nonostante il via libera per due stagioni prima ancora dell’uscita prevista nel 2025 e un finale tutt’altro che aperto, ma spalancato. Il che è anche comprensibile da parte dei coniugi-showrunner, la cui scrittura non poteva che essere influenzata dall’opportunità di proseguire con l’esplorazione del legame e delle differenze delle due scuole di danza protagoniste, una americana ed una francese, e lo scambio culturale tra i ballerini. Stando a quanto riportato, Étoile non avrebbe soddisfatto le aspettative dei vertici di Prime Video e Amazon MGM Studios, unico appiglio a cui poterci aggrappare vista la (discutibile) politica delle piattaforme di non voler rilasciare informazioni sui dati di visione dei propri utenti. Solo una supposizione, dunque, poi confermata dalla cancellazione della serie, ma che va anche controcorrente all’idea stessa di serialità e, nel caso delle finestre streaming, della loro valenza di libreria.

 

@tayaphobia This is so awful actually what if I die #etoile #étoile #cheyennetoussaint #tobiasbell #gabinroux #genevievelavigne original sound - Etoile

Partiamo dalla concezione stessa di narrazione seriale. Sebbene siano multipli gli esempi di show che, anche solo dalla prima stagione, sono riusciti a catturare l’attenzione del pubblico, le storie a episodi sono per loro medesima natura destinate ad evolvere in progressione, ad avere un andamento molto più orizzontale nella trasformazione e crescita dei personaggi e delle situazioni in cui sono inseriti, dotandoli della possibilità di un tempo di costruzione più esteso che spesso non si limita solo a una sola stagione. Sono molti gli esempi di show che hanno fatto il boom arrivati alla loro seconda o, a volte, terza stagione. Breaking Bad è stata un diesel che ha messo il turbo superato il suo debutto nel 2008. Un’atmosfera drammatica e distesa che serviva a seminare le basi per ciò che sarebbe stato poi uno dei fari seriali nel corso dei suoi successivi anni. Per non parlare della dimensione comedy, che avrebbe potuto privare il mondo della miglior serie comica mai fatta, The Office, la cui cancellazione dopo la prima stagione era pericolosamente vicina. Sei episodi, ripresa pedissequa della struttura narrativa e umoristica della versione britannica da cui trae ispirazione e di cui è diretto remake. L’ideatore Greg Daniels ha dovuto pregare per convincere la produzione a dare una seconda chance allo show, cercando una propria linea che fosse scollegata dall’ironia dell’originale di Ricky Gervais e trovando un futuro fatto di premi e amore dei fan, oltre che di nove stagioni – e un prossimo spin-off, The Paper.

I tempi sono ovviamente cambiati, la velocità in cui siamo immersi riguarda anche, e soprattutto, l’audiovisivo e nella quantità di proposte filmiche e seriali è anche chiaro che produttori e investitori hanno molti più titoli da produrre e devono capire presto su quale cavallo puntare. Ma il tempo è altresì fondamentale per permettere allo spettatore di conoscere una storia, addentrarsi a fondo, incuriosirsi e lasciare che qualcosa monti al suo interno, accrescendo un interesse che, se prima era tiepido, diventa infine un’ossessione. Un qualcosa che si crede essere nato col binge-watching, ma che ha radici ben lontane, dai cofanetti con tutti gli episodi di una serie fino alle convention per andare a fare foto con i propri attori/personaggi preferiti. E il tempo è un indicatore a cui le produzioni pensano, ma all’inverso di come dovrebbero. Per loro il tempo è denaro e in termini di realizzazione di una serie ciò implica un investimento ingente il cui riscontro deve essere immediato. Altrimenti arrivederci e grazie, si passa al prossimo show. Ma per il pubblico il tempo è sempre stato l’indicatore fondamentale per scoprire, informarsi, rimanere intrigato da un titolo e cominciare ad approcciarlo. Prendersi del tempo da trascorrere insieme è essenziale. E se i produttori investono soldi che non intendono più erogare allora gli spettatori non investono più tempo se qualcosa deve abbandonarli, salutarli, dire addio all’improvviso

@simonesuperbored

yes, and? - Ariana Grande

E questo cortocircuito è in atto. Se abbiamo paura che la nuova serie da poco cominciata, fresca di listino e in mezzo a una vastità di opportunità di visione, verrà presto cancellata, non proveremo nemmeno a guardarla, rendendo le visualizzazioni e il responso più tiepido rispetto a quanto ideatori e produttori avrebbero voluto, finendo per depennarla dalla loro lista e passare direttamente alla successiva. Se siamo fortunati, invece, magari allungano quella che doveva essere solo una miniserie, quindi auto-conclusiva, ma che se è tanto piaciuta deve rispondere alle leggi del mercato. La soluzione diventa perciò una: guardare show già finiti. Conclusi, completi, magari anche storici, così da poter fare un po’ di recupero. Il catalogo funziona come biblioteca per riscoprire più che per andare in avanscoperta, per rimettersi in pari con cult del passato che hanno un loro inizio, uno sviluppo e, cosa più importante, una fine. Le piattaforme, in questo caso, svolgono solo in parte la loro funzione di catalogo, riducendosi a contenitore spesso di prodotti di terzi di cui acquistano i diritti di riproduzione, ma claudicano quando si tratta di porre cura e adeguato trattamento nei propri di titoli e mostrandosi insicuri sulla loro offerta originale. Un finire per produrre e distribuire storie monche, pendenti, che rimarranno comunque sempre di loro proprietà, sulla loro piattaforma, come esempio del proprio cattivo metro di giudizio, chissà se in primis nel realizzarle o nel non aver dato loro fiducia nel continuare. E chissà, anche, che impatto potrà avere sulla scrittura seriale, che potrebbe sentirsi sempre più scoraggiata dal ragionare in prospettiva, limitando la creatività e cercando di dare almeno un senso di conclusione ad ogni stagione – per questo un’operazione recente come Overcompensating, assolutamente incompleta nella sua prima stagione, ha un finale che sembra un atto rivoluzionario. Che il numero esponenziale di serie costringa a un ridimensionamento è normale, ma non possiamo rimetterci noi e, soprattutto, il nostro cuore spezzato.