
Stiamo accidentalmente “drogando” diverse specie di pesci? Forse abbiamo sottovalutato le conseguenze della dispersione dei farmaci nell'ambiente
L’impatto delle attività umane sugli ecosistemi naturali è ormai una realtà ampiamente documentata. Tra le forme più note di inquinamento ci sono la plastica, i pesticidi e gli scarichi industriali, ma negli ultimi anni sta emergendo con maggiore chiarezza un’altra forma di contaminazione più silenziosa, meno visibile e per questo spesso trascurata: quella farmaceutica. Ogni volta che assumiamo un medicinale, come un antibiotico, un antidepressivo o un ansiolitico, una parte di esso non viene assorbita dal nostro organismo e finisce – attraverso l’urina – nel sistema fognario. Gli impianti di trattamento delle acque reflue, pur essendo in grado di rimuovere molti inquinanti, non riescono a filtrare del tutto queste sostanze chimiche, che finiscono per accumularsi nei fiumi, nei laghi e in altri habitat acquatici. I farmaci che vengono utilizzati per curare ansia, infezioni o disturbi cronici entrano così in contatto con gli animali che vivono in questi ambienti, alterandone in modi ancora poco conosciuti il comportamento, la fisiologia e, in alcuni casi, la loro stessa sopravvivenza.
Dolphins in the Gulf of Mexico are now testing positive for fentanyl, along with other pharmaceuticals. pic.twitter.com/3i43WemyLu
— Stone Age Herbalist (@Paracelsus1092) December 6, 2024
Tra le sostanze più comuni nelle acque reflue ci sono la caffeina, la metformina (un farmaco per il diabete), gli ormoni contenuti nei contraccettivi, residui di cocaina, vari antibiotici, analgesici come il paracetamolo e, soprattutto, gli psicofarmaci come gli antidepressivi e le benzodiazepine. La concentrazione di queste molecole nell’ambiente è generalmente molto bassa, al punto che un essere umano che dovesse accidentalmente ingerire un bicchiere d’acqua di fiume non ne subirebbe effetti evidenti. Ma per gli organismi acquatici, spesso molto più piccoli e sensibili, anche micro-dosi possono avere effetti significativi. Come riporta Vox, uno studio del 2007 ha dimostrato che il contatto con minime quantità di estrogeni sintetici, come quelli presenti nella pillola anticoncezionale, può compromettere la capacità riproduttiva dei pesci maschi – causando, nel lungo termine, il collasso delle singole popolazioni. In altri casi, i farmaci influenzano il comportamento: alcuni antidepressivi aumentano l’audacia dei pesci, altri alterano la loro aggressività. Anche le benzodiazepine sembrano avere un effetto ansiolitico non solo sugli esseri umani, ma anche sugli animali: pesci che assumono involontariamente microdosi di farmaci come l’oxazepam o il clobazam diventano più inclini a esplorare il proprio territorio e meno propensi a formare gruppi, rendendosi così potenzialmente più vulnerabili ai predatori.
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Un recente studio condotto in Svezia, pubblicato sulla rivista Science, ha analizzato l’effetto del clobazam, una benzodiazepina comunemente usata per trattare l’ansia e l’epilessia, su un campione di giovani salmoni dell’Atlantico durante la loro migrazione verso il mare. I ricercatori hanno impiantato nel corpo dei pesci dispositivi che rilasciavano piccole dosi del farmaco, paragonabili a quelle che potrebbero trovarsi nei corsi d’acqua contaminati. I salmoni sono stati poi rilasciati in un fiume che includeva due dighe – un ostacolo particolarmente stressante per questi animali. I risultati hanno mostrato che i salmoni esposti al clobazam erano più numerosi tra quelli che riuscivano a completare il viaggio, e tendevano a superare gli ostacoli più rapidamente rispetto ai loro simili che non avevano assunto il farmaco. I ricercatori ipotizzano che questa differenza sia dovuta a una ridotta socialità e a una maggiore propensione al rischio: i pesci "sedati" tendevano a nuotare da soli, piuttosto che in gruppo, e a passare attraverso le dighe senza troppi indugi, forse anche perché meno spaventati dalla presenza di predatori. Come hanno spiegato gli stessi autori dello studio, qualsiasi variazione nei comportamenti istintivi di una specie può avere ripercussioni sull’intero equilibrio ecologico.
Il caso del clobazam rappresenta solo la punta dell’iceberg. Le sostanze farmaceutiche immesse nell’ambiente sono migliaia, e per la maggior parte di esse non esistono studi approfonditi sugli effetti sugli ecosistemi. Di fronte a questa complessità, diversi esperti sottolineano l’urgenza di considerare la contaminazione farmaceutica come una vera e propria minaccia ecologica, alla pari della distruzione degli habitat o dei cambiamenti climatici. Anche se gli effetti visibili sono ancora poco chiari, il fatto stesso che il comportamento di una specie venga modificato da una sostanza chimica progettata per un altro scopo dovrebbe bastare a definire la cosa come una forma di inquinamento.














































