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Tutte le controversie sul ritorno della pelliccia

Un trend che non offende solo gli animalisti

Tutte le controversie sul ritorno della pelliccia  Un trend che non offende solo gli animalisti

Tutta questa nostalgia non può far bene, e il trend delle pellicce ne è la prova. Come lo racconti ai brand che negli ultimi anni hanno rimosso i tessuti animali dalle proprie collezioni, dimostrando il proprio impegno per una moda senza crudeltà, che adesso l’indie sleaze e i cappotti da mob wife sono tornati? Con la conclusione del fashion month che ha presentato le collezioni e i trend del prossimo autunno, diventa evidente che il problema pellicce ha ricominciato a farsi sentire. Miu Miu, Simone Rocha, Coperni, Saint Laurent, Bottega Veneta, Burberry, e ancora Diesel, Givenchy, Loewe e Louis Vuitton le hanno portate in passerella, offrendo una palette di tipologie e colori variegata da cui poter pescare stili, silhouette e lunghezze diversi. La varietà stessa di pellicce che hanno presenziato alle ultime Fashion Week solleva una controversia piuttosto anacronistica circa l'eticità, perché se da un lato utilizzare prodotti animali “nuovi” nei propri design è ormai fuori luogo, dall’altro sembra che i materiali sostenibili non siano ancora del tutto riusciti a sostituirli. Aziende come Mylo e Renewcell stanno fallendo, la prova che la industry sta andando a due velocità di verse: su un binario lo sviluppo di nuove forme e materiali in grado di mantenere alta la desiderabilità dei clienti, sull’altro la totale negligenza delle iniziative che creano alternative green all’avanguardia. 

La pelliccia vera, si sa, rema contro ogni impegno per la sostenibilità, promuovendo la crudeltà contro gli animali e un sistema obiettivamente obsoleto di fare moda. La pelliccia finta, a sua volta, comporta un’altra serie di problematiche, primo tra tutti l’utilizzo di microplastiche, che non solo non vengono smaltite una volta buttate via, ma vanno ad inquinare le riserve idriche già nel processo di produzione, finendo nel nostro piatto e infine nel nostro corpo. Prodotta con il PET o l’acrilico, i costituenti delle pellicce finte sono composti da materiali a base di petrolio e polyacrylonitrile, entrambe sostanze altamente nocive per l’ambiente e per l’uomo. Fortunatamente, il trend mob wife è emerso sui social dopo quello della moda vintage, perciò la maggior parte dei consumatori è già consapevole dei lati positivi che comporta salvare gli abiti usati. Nel caso delle pellicce, recuperare il cappotto della nonna o comprare da un negozio di seconda mano risparmia la vita degli animali, protegge il portafoglio, e volta le spalle ai brand di fast fashion che supportano pratiche di produzione non etiche. Le problematicità purtroppo persistono anche nelle migliori delle ipotesi: con l’aumentare della domanda per le pellicce, vere, finte o vintage che siano, aumentano anche le fabbriche che le creano seguendo pratiche scorrette. E così il ciclo si ripete. 

Fortunatamente, negli ultimi anni non sono stati solo alcuni brand a vietare la vendita di pellicce, bensì conglomerati interi come Kering governi, come l’Unione Europea e lo stato della California, e persino le Fashion Week stesse, con Copenhagen e Londra che fanno da capofila impedendone l’utilizzo alle sfilate. Le associazioni animaliste stanno protestando contro i brand che producono ancora pellicce vere, da Max Mara a Fendi, mentre nel caso della pelletteria rimangono famosi i casi di show crashing degli attivisti PETA alle sfilate di Hermes, di Burberry, di Gucci e di Coach lo scorso settembre. Nella parentesi brand di lusso, dalle passerelle delle ultime Fashion Week è affiorato poi un trend vantaggioso, il tromp-l’oeil: le pellicce di Gabriela Hearst erano in verità composte da cashmere mentre quelle di Diesel erano in denim. Di fronte al numero crescente di design che includono appliqué o addirittura cappotti in simil-pelliccia, resta in dubbio il ruolo delle imprese fondate che creano alternative sostenibili, in grado di emulare i materiali animali evitando sprechi, crudeltà o danni inutili. Se nomi affermati come Mylo e Renewcell (rispettivamente produttori di pelle vegana e promotori di una moda circolare) stanno affrontando il fallimento pur avendo trovato soluzioni concrete alle domande che coinvolgono tutta la industry, succederà lo stesso anche per le società che producono pellicce ecologiche?