A Guide to All Creative Directors

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Abbiamo ammazzato le ere della musica pop

I fan e l’industria musicale hanno rovinato i rollout degli album

Abbiamo ammazzato le ere della musica pop I fan e l’industria musicale hanno rovinato i rollout degli album

Domenica sera Charli xcx ha pubblicato sul suo profilo TikTok un video in cui, con grande sincerità, ha comunicato ai suoi ascoltatori che non vuole concludere l’era del suo album brat. Ha spiegato come, negli ultimi giorni, i post relativi alla “brat summer 2.0” fossero ironici, ma contenessero anche un fondo di verità. L’artista britannica ha riflettuto molto di recente sul ciclo vitale nella musica, soprattutto quando progetti raggiungono un alto livello di popolarità nella cultura mainstream. Nonostante “brat” sia stata una delle parole chiave del 2024, l’ottavo album di Aitchison è stato pubblicato meno di un anno fa. Il suo rollout è stato sicuramente intenso e ha portato uno dei momenti di mania più rilevanti nella musica pop degli ultimi dieci anni, mescolando elementi di diverse subculture (tra cui il revival della club culture anni 2010 e l’indie sleaze) e portandoli all'apice del pop. L’album ha visto una versione deluxe uscire pochi giorni dopo il lancio ufficiale e un album di remix quattro mesi dopo, tutto entro i primi 365 giorni di vita di brat. Ma allora perché sembriamo già così stufi? Quello di Charli xcx non è un caso isolato. Dalla fine della pandemia, infatti, si è assistito a un continuo rigetto delle “ere pop” così come erano concepite un tempo. Se prima le radio mandavano in onda i singoli degli album per quasi due anni dalla loro uscita, ora sembra che, dopo un iniziale momento di ossessione, gli album vengano rapidamente dimenticati. Ma cosa è successo?

@charlixcx

i’m not readyyyyyyyyyy!

original sound - Charli XCX

Per comprendere appieno il panorama disastroso attuale del marketing pop, bisogna tornare indietro di circa dieci anni. Il decennio 2010 non è stato soltanto il culmine della musica pop in termini qualitativi, ma ha rappresentato un ponte tra il vecchio modello musicale fisico e quello moderno dello streaming. Fino a qualche anno fa, il successo di un album non si misurava solo attraverso i numeri di Spotify, ma in base a quante copie fisiche venivano vendute. E quale modo migliore per promuovere un album se non attraverso i singoli? Per anni i singoli sono stati la linfa vitale del ciclo di vita di un progetto musicale, importanti tanto quanto il tour stesso. Basti pensare a 1989 di Taylor Swift, un album definito negli anni da critici e fan come la «Bibbia del pop»: la sua era è iniziata con il singolo pre-drop «Shake It Off» ad agosto 2014 ed è terminata all’inizio del 2016 con l’ultimo singolo, «New Romantics». Durante l’intera era, ben sette singoli sono stati estratti da 1989, un numero oggi impensabile. Swift stessa, nel suo ultimo progetto, ha rilasciato soltanto due singoli, uno dei quali privo di un vero video musicale. Allo stesso modo, l’era Lemonade di Beyoncé è tecnicamente durata dal 2016 al 2019: tra il visual album e l’headlining al Coachella, la promozione è cessata solamente ad aprile 2019 con l’uscita su Netflix del documentario dedicato al “Beychella”, accompagnato da un album live. Anche per Beyoncé è evidente una differenza radicale tra i progetti passati e quelli attuali: se per Lemonade l’artista aveva promosso un intero visual album con cinque singoli radiofonici, per l’attuale Cowboy Carter ha scelto di promuovere radiofonicamente soltanto due singoli pre-rilascio, senza video musicali.

Come sottolinea lucidamente l’utente Flags12345 sul subreddit r/popheads, «lo streaming ha ucciso il singolo post-album». L'utente spiega che quando un album arriva sulle piattaforme, il pubblico può già ascoltare ogni brano immediatamente, rendendo inutile estrarre tracce successive per le radio, ormai già consumate dagli ascoltatori. Il risultato è che le “ere” musicali si accorciano drasticamente: il pubblico  consuma l’album in un weekend, le etichette discografiche incassano gli stream iniziali e passano rapidamente al progetto successivo, abbandonando tutto ciò che non diventa immediatamente virale. Una tendenza che conferma come il marketing pop degli ultimi cinque anni sia diventato una corsa esclusivamente orientata alle classifiche settimanali, lontanissima dai lunghi cicli promozionali del passato. Non è un caso se oggi tutti gli artisti rilasciano nuova musica il venerdì, cercando di accumulare il massimo degli stream durante il weekend – quando il pubblico ha più tempo libero – per entrare in classifica nella Billboard Hot 100. Questa strategia ha ormai saturato il mercato, come sottolineato dalla YouTuber Camryn Suzanne, soprattutto nel 2024, anno caratterizzato dal ritorno simultaneo di molti grandi nomi dell’industria pop. Quanti di questi progetti, tuttavia, sono rimasti impressi nella memoria collettiva? Suzanne sostiene che la mancanza di hype, unita all’assenza di singoli forti e di una strategia di marketing incisiva, abbia causato l’oblio della maggior parte dei progetti nel giro di meno di sei mesi. L’assenza di una direzione artistica coerente e di un universo autonomo stanno facendo morire lentamente il pop come genere. Basti pensare al recente disastro di Katy Perry con l’album 143, confrontato con il capolavoro del 2010, Teenage Dream.

L’ossessione delle etichette per il picco virale su TikTok ha ribaltato la logica stessa del pop, oggi si scrive pensando ai primi 15-30 secondi che dovranno dominare la For You Page, non a un ascolto continuo, come ha anche sottolineato Tyler, The Creator negli ultimi mesi dopo aver rilasciato il suo nuovo album Chromakopia. Su Reddit, diversi fan osservano che i brani sotto i tre minuti sono ormai la norma e che ponti, outro e terze strofe vengono cancellati per massimizzare replay e, quindi, stream; molti parlano di «shrinkflation musicale», cioè di canzoni che sembrano bozzetti incompleti ma garantiscono più passaggi orari e costano meno a chi le produce. Così l’album, nato per dare coesione narrativa a un progetto, si riduce a mera cornice del singolo di lancio e una volta che lo snippet ha fatto il giro dei social, l’“era” si spegne e l’artista passa al successivo tentativo di trend. Nel flusso infinito delle playlist, gli ascoltatori saltano dopo pochi secondi se il ritornello non arriva subito; di conseguenza, autori e producer iniziano i pezzi in medias res, tagliano i bridge e evitano qualsiasi crescendo che richieda attenzione prolungata. In questo ecosistema, l’album diventa un lusso per nostalgici — un oggetto concettuale che la maggioranza non ha più il tempo e l'interessa di attraversare dall’inizio alla fine (come aveva detto Beyoncé qualche anno fa «nessuno fa più album, sono solo progetti».) Finché la metrica del successo resterà il numero di loop in un weekend, a vincere saranno brani usa-e-getta: micro-hit predisposte a morire il lunedì, quando l’algoritmo chiede già la prossima dose da 90 secondi. R.I.P. caro album.