
Il ritorno di "The Last of Us" ci ricorda che c’è spazio per i videogiochi anche sullo schermo
Alla faccia di "Un film Minecraft"
14 Aprile 2025
È bastato un episodio della seconda stagione di The Last of Us per tornare in pace col mondo dei videogiochi nell’audiovisivo, messo a dura prova da Un film Minecraft. È vero, al botteghino sta raggiungendo risultati stellari, sta portando gente nelle sale ed è sempre un sintomo di salute quando un titolo va talmente bene da trascinarsi dietro un numero stratosferico di spettatori e incassi. Ma è altrettanto inconfutabile che il fenomeno del videogioco sandbox sviluppato da Mojang viaggi su un binario indipendente dal cinema o da qualsiasi altro contenitore che non sia direttamente ricollegabile all’open-world di riferimento. Il successo del film ha fatto suscitare svariate polemiche anche nei confronti dei fan del Minecraft videogame per il trattamento riservato alle sale cinematografiche, lasciate sporche e devastate e tutto a causa (ma non solamente) della frase «Chicken jockey» che sembra aver scatenato nel pubblico reazioni scomposte ed esagerate, con chi ha persino introdotto delle vere galline all’interno dei cinema.
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Un atteggiamento che non contribuisce ad aiutare la nobilitazione di un universo videoludico che da anni prova a legittimarsi anche sul grande schermo. Non che ne abbia poi realmente bisogno visto che, nel panorama attuale, il mercato dei videogiochi sembra avere di fronte a sé una strada ben più rosea se si guarda ai profitti e alle possibilità intrattenitive per gli spettatori del domani. Resta comunque il fatto che i tentativi per fare il salto tra cinema e serialità continuano a non mancare e un’opera come The Last of Us, già di per sé straboccante di materiale narrativo ed emotivo nella sua versione originale e giocabile, ne è il risultato più compiuto e felice. Non serve altro che uno sguardo alla prima puntata del suo ritorno per capirlo. Intanto la trasposizione degli ideatori Craig Mazin e Neil Druckmann - quest’ultimo anche direttore creativo del videogioco della Naughty Dog insieme a Bruce Straley - accoglie il pubblico seguendo tutte le regole di quanto si ri-entra in un mondo.
L’opening è la chiusura della stagione precedente, il conflitto che si svilupperà nel corso della seconda viene seminato fin dall’inizio e la prima immagine che abbiamo della Ellie di Bella Ramsey è durante un combattimento che ci ricorda che la ragazza sa come si sopravvive. Sono passati cinque anni da quando con il Joel di Pedro Pascal si sono lasciati alle spalle i componenti della Luce e hanno cercato riparo in una comunità che, finalmente, sembra permettergli di vivere un’esistenza normale. E il rapporto tra il surrogato di questo padre e il surrogato di questa figlia adolescente si sciorina nella più classica delle relazioni familiari, con l’aggravante di pesi e segreti che porteranno a nefaste conseguenze, con un legame di cui la serie promette di svelare le più dolorose incrinature.
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— chris (@chrisdadeviant) April 14, 2025
Ciò che più conquista subito della seconda stagione di The Last of Us, dunque, è il suo saper dialogare con e per la serialità. Lo show prima imposta l’architettura narrativa della stagione e poi pensa a come stupire lo spettatore, tirando i primi fili delle connessioni che stabiliranno i vari personaggi e ci ricorda da dove sono partiti e come sono arrivati a quel momento. La tensione è crescente dal principio, perciò promette di deflagrare col suo proseguire. E in una parentesi temporale in cui Un film Minecraft sembra volerci dire che è solo il caos a dominare per accontentare il pubblico, The Last of Us ci dice di poter desiderare di più come spettatori, di poter pretendere la qualità sia se si è fan del videogioco o solo della sua versione seriale. Anche di non aver paura di accogliere storie che puntano a fare male, perché l’intrattenimento non deve essere solo anestetizzante. A volte, può essere una ferita che non si rigenera, un morso che si infila nella carne e che affonda fin giù, nel profondo.