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Gli USA stanno per bannare TikTok?

No, ma le discussioni che si stanno facendo sono preoccupanti

Gli USA stanno per bannare TikTok? No, ma le discussioni che si stanno facendo sono preoccupanti

Negli scorsi giorni, la Commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti, e nello specifico il commissario Brandon Carr ha inviato una lettera a Tim Cook e Sundar Pichai, i CEO di Apple e di Alphabet, per chiedere loro di rimuovere TikTok dagli app store di Apple e Google a causa di una serie di preoccupazioni relative alla sicurezza dei dati sull’app. Secondo Carr «TikTok funziona come un sofisticato strumento di sorveglianza che raccoglie grandi quantità di dati personali e sensibili. In effetti, TikTok raccoglie di tutto, dalle cronologie di ricerca e di navigazione ai modelli di battitura dei tasti e agli identificatori biometrici, tra cui i volti degli utenti - che secondo i ricercatori potrebbero essere utilizzate in tecnologie di riconoscimento facciale non correlate - e le impronte vocali. Raccoglie i dati di localizzazione, le bozze dei messaggi e i metadati, oltre a raccogliere il testo, le immagini e i video memorizzati negli appunti di un dispositivo». Come già accaduto in passato, quando l’ex-presidente Trump invocò un ban totale dell’app, il responsabile di questo regime di sorveglianza è il governo cinese. Alle accuse già mosse dagli Stati Uniti la società di TikTok, ByteDance, aveva risposto ridirigendo i flussi dei dati nei server dell’americano Oracle (il cosidetto Project Texas che rappresenta il singolo perno intorno a cui ruota la sopravvivenza dell’app negli Stati Uniti) anche se, stando sempre al comunicato di Carr, quei dati risulterebbero inaccessibili. 

La richiesta di Carr è solo la punta dell’iceberg di una questione assai più complicata, che prende le sue mosse da un report di Buzzfeed di qualche settimana fa in cui si legge, attraverso una serie di registrazioni trapelate, che «gli ingegneri cinesi hanno avuto accesso ai dati statunitensi tra il settembre 2021 e il gennaio 2022, come minimo». Alcune di queste registrazioni parlano di un misterioso e anonimo Master Admin di Pechino che possiede un accesso universale ai dati dell’app. La questione è subito degenerata in una polemica sul presidente Biden, accusato di non aver proseguito la linea dura inaugurata dal suo predecessore nei confronti della Cina, senza far seguito ai precedenti ordini esecutivi che avrebbero obbligato ByteDance a disinvestire dal TikTok statunitense – cosa che secondo il The New York Times non è mai accaduta. Al di là delle speculazioni politiche, comunque, come lo stesso Highsnobiety ha sottolineato in un recente articolo, il caso solleva di nuovo la spesso ignorata questione della compravendita dei dati degli utenti da parte delle tech companies che però non riguarda solo TikTok. Molte app, e specialmente i più famosi social media, raccolgono, comprano e vendono dati da molto tempo e persino lo scandalo di Cambridge Analytica, in cui la società di consulenza raccolse i dati di 87 milioni di account Facebook per usarli a scopo di propaganda politica nel 2018, senza subire nessuna forma di conseguenza penale oltre alla salatissima multa da 5 miliardi di dollari comminata a Facebook. 

Come nota il Washington Post, la lettera di Carr ha più risonanza mediatica che peso politico dato che il commissario «non può imporre da solo il divieto a TikTok, poiché la FCC non regolamenta gli app store». E considerato che i rappresentati di Apple e Alphabet non hanno rilasciato commenti è difficile, in mancanza di ulteriori pressioni politiche, che la richiesta contenuta nella lettera si traduca in realtà. Dunque, per il momento, il funzionamento della app non dovrebbe essere compromesso – anche se le preoccupazioni sollevate dalla lettera di Carr restano reali. È chiaro che un eventuale ban dell’app potrebbe avere serie ricadute economiche e politiche – e non è escluso che l’industria dei social media americani lo caldeggi, per liberarsi di un pericoloso rivale. L’unica ricaduta che ci si può augurare, comunque, dato lo stato delle cose attuali, è una più trasparente, attendibile e responsabile gestione dei dati degli utenti da parte delle tech companies – dopo tutto si sa che quando un servizio come quello dei social media è gratuito, sono gli utenti e i loro dati a essere messi in vendita.