
E se ci fosse un’app per recensire le sfilate? Letterboxd, GoodReads, Rotten Tomatoes e…
Che senso ha guardare un film se non è seguito da un one-liner su Letterboxd? Vale la pena andare al cinema se la pellicola non ha ricevuto almeno il 70% su Rotten Tomatoes? Come potrebbe sopravvivere l’intero BookTok senza Goodreads? Negli ultimi anni, complice la saturazione delle super app e il bisogno di ritrovare community basate su interessi affini, i siti dedicati alle recensioni sono diventati il vero buzz dell’entertainment system, ciononostante, in tutta questa rivoluzione di parola popolare, perché a nessuno è mai venuto in mente di mettere le stelle alle sfilate? L’esempio lampante delle app di recensioni è stato Letterboxd, passato dall’essere una piattaforma dall’estetica sgarrupata frequentata solo da cinefili hardcore a diventare onnipresente su premiere e red carpet, fino a rappresentare oggi un punto di riferimento quasi imprescindibile per il giornalismo cinematografico. Le clip dei “Top 4” degli attori più famosi spopolano regolarmente su TikTok: milioni di utenti commentano, condividono e criticano le loro scelte (il video del cast di Wicked, per esempio, ha superato 1,7 milioni di like e 12,7 milioni di visualizzazioni).
I numeri delle app di review
@mjwazhere i want to start my child’s letterboxd from the very first film they watch
original sound - guss
Anche Goodreads, la piattaforma di riferimento per lettori e autori, ha superato i 150 milioni di iscritti già a settembre 2023, diventando parte integrante dell’ecosistema culturale di TikTok. Sempre Letterboxd, a sua volta, ha registrato una crescita impressionante: dai 1,8 milioni di utenti del marzo 2020 ai 17 milioni della fine del 2024, come riportato dal New York Times. IMDb resta un colosso consolidato, con oltre 83 milioni di utenti registrati, mentre SEMRush riporta che Rotten Tomatoes supera i 100 milioni di visite al mese. In altre parole, cinema, letteratura e musica condividono un elemento chiave: l’accessibilità. Sono arti democratiche, universali, capaci di generare community globali attraverso la pratica, sempre più virale, della recensione. E la moda?
Il sistema moda, ormai l’abbiamo capito, cerca da anni di raccontare una favoletta di democrazia e “apertura”, soprattutto da quando il lusso non vende più. Si parla di sfilate per strada e eventi aperti al pubblico, ma c’è un ma (anzi due): in primis, gli eventi generalisti raramente tendono ad avere lo stesso peso di quelli “ufficiali”, e poi c’è anche da dire che in una marea di voci istituzionali, le opinioni del popolo perdono d’importanza, o quantomeno non fanno lo stesso rumore di una Vanessa Friedman o un Angelo Flaccavento.
Quando tutto ruota intorno all'hype
Eppure, alcuni strumenti sono diventati nel tempo dei semi-indicatori del sentimento popolare, come il Lyst Index. La piattaforma, che dichiara oltre 150 milioni di shopper l’anno, viene spesso citata come se fosse un barometro del successo di un brand, come se fosse una raccolta di recensioni. Parametri come Lyst misurano solo l’attenzione digitale, non trasformandosi in un vero termometro del sentimento popolare. I fattori presi in considerazione, come menzioni, condivisioni, engagement, riflettono infatti la viralità più che la solidità strategica e creativa. Di conseguenza, il sistema tende a favorire i brand più esposti mediaticamente, penalizzando invece marchi consolidati ma meno “instagrammabili”. Così un marchio può scalare l’indice pur avendo una collezione mediocre, semplicemente grazie a un picco di attenzione social. A complicare il quadro c’è la totale opacità della formula, ad ora nessuno conosce il peso effettivo di clic, ricerche, visualizzazioni o tempi di permanenza sulle pagine, lasciando l’impressione che il Lyst Index sia più una black box di trend digitali che uno strumento di analisi oggettiva.
Ma, a ben vedere, non esiste ancora un vero corrispettivo di Letterboxd o Goodreads per la moda: non c’è uno spazio in cui le collezioni possano essere recensite e valutate dal pubblico. Laddove cinema, letteratura e musica hanno trasformato il giudizio in parte integrante dell’esperienza culturale, la moda continua a funzionare secondo logiche verticali e poco permeabili, lasciando la critica nelle mani di giornalisti e insider.
Il pubblico ha opinioni e vuole condividerle
anna sui ss26 — absolutely stunning, another nyfw favorite! so delicate and feminine with pastel tones, bohemian and romantic elements, flowy silhouettes and layers with fun accessories pic.twitter.com/MlImAoCHGs
— (@pradapearll) September 14, 2025
L’assenza di una piattaforma apposita per le recensioni della moda non è nemmeno una questione di domanda, come dimostrano i dati dei social media. Su X.com, la community Fashion Twitter conta oltre 273 mila iscritti, a cui si aggiungono migliaia di utenti che, durante e dopo ogni fashion week, commentano in diretta le collezioni, creando veri e propri dibattiti paralleli rispetto alla critica ufficiale. Lo stesso accade su TikTok, dove sotto l’hashtag #fashionshows si trovano quasi 900 mila post, con un totale di visualizzazioni che sfiora i 18 miliardi. Numeri che provano quanto esista già un pubblico vasto, curioso e partecipe, disposto a consumare e produrre contenuti legati alla moda con la stessa intensità con cui si recensisce su altre app.
Eppure la moda continua a restare circoscritta, mantenendo il controllo del discorso all’interno di cerchie ristrette e autoreferenziali. Nonostante la domanda di partecipazione sia evidente, l’industria difende ancora un sistema elitista, costruito negli ultimi decenni per preservare un’aura di esclusività. Così il giudizio rimane confinato agli insider, mentre la voce del pubblico, pur rumorosa e costantemente online, non trova mai un vero spazio di legittimazione. De facto, l’assenza di un’app dedicata alle recensioni di moda rappresenta l’ennesima conferma che il sistema non vuole né dialogare con il pubblico generalista né aprirsi a un confronto diretto con esso.
Il problema è che questa chiusura ha le stesse radici dell’abbassamento delle vendite e della crisi del comparto del lusso: se agli individui aspirazionali non viene concessa la possibilità di sentirsi parte del sistema, come si può pensare di rafforzarlo o rinnovarlo? Continuare a verticalizzare la moda significa correre il rischio che l’industria, vittima di sé stessa, finisca per restringersi fino a scomparire, proprio come sta accadendo, in parte, alla Milano Fashion Week. Ma allora, esiste davvero una soluzione a tutto questo?














































